Partiti e politici
Il Movimento 5 Stelle: un partito camaleontico
Ma voi ve lo ricordate il V-Day dell’8 febbraio 2007? Vi ricordate la retorica anti-establishment del partito fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio? Fate mente locale. Rievocate le «scatolette di tonno», la casta, la volontà di non definirsi un partito (quando di fatto lo è) e tutta la propaganda sulla democrazia diretta. Vediamo assieme cos’è cambiato e cosa potrebbe cambiare in futuro nel M5S attualmente guidato da Vito Crimi.
Le elezioni politiche del 2013 hanno senza dubbio segnato uno snodo chiave nella storia del M5S e per certi versi anche in quella della Repubblica italiana. Il 25,55% di voti alla Camera dei deputati aveva portato per la prima volta nel terzo millennio un partito neopopulista ad avere un peso considerevole in Parlamento. Neopopulista sì, per alcuni più di destra, per altri più di sinistra. Ebbene sì, perché rispolverando il programma elettorale delle politiche 2013 si può osservare quell’impronta marcata del primo Movimento, con punti riferiti all’introduzione del referendum propositivo, l’abolizione di Equitalia, ecc… Non elenchiamoli tutti, anche perché alcuni rappresentano delle fandonie al limite del grottesco, però ad esempio il limite di due mandati o la partecipazione diretta a ogni incontro pubblico da parte dei cittadini via web, vanno ricordate perché “chi dimentica è complice”. Volenti o nolenti, il M5S della prima fase ha rappresentato una rottura, un elemento politico che mai si era visto in Italia in grado di raccogliere consensi da un elettorato eterogeneo.
Con tutti i limiti e le contraddizioni del caso, il Movimento 5 Stelle per qualche anno è stato quello e tutto sommato poteva andare bene così perché incarnava la volontà dei suoi elettori e utilizzava quelle forme comunicative che tanto avevano fatto breccia nei cuori dei pentastellati. Una leggera flessione si era riscontrata alle Europee del 2014 quando il M5S aveva proposto quei famosi sette punti meno immediati per l’elettorato, eccezion fatta per il numero 7 che recitava «referendum per la permanenza nell’Euro»… Ricordiamo inoltre che dal 2014 al 2019 il Movimento apparteneva all’EFDD, il gruppo politico europeo Europa delle Libertà e della Democrazia Diretta. Presidente dell’EFDD: Nigel Farage (sì, il leader del Brexit Party).
E poi, tra qualche inutile plebiscito sulla piattaforma Rousseau e quello stile comunicativo prettamente populista che, come evidenzia il professor Graziano, si struttura sulla «derisione e demonizzazione dell’avversario» si è arrivati alle elezioni politiche del 2018: l’epopea dei pentastellati. Un programma elettorale che si apriva con «via subito 400 leggi inutili: stop alla giungla delle leggi» faceva da monito ad una campagna in pieno stile pentastellato. Consiglio anche la lettura del punto 8 sull’immigrazione, giusto per rinfrescare le idee. In quella tornata elettorale il partito guidato da Luigi Di Maio è risultato il primo in Italia con il 32% dei voti. Un italiano su tre aveva preferito il M5S alle altre forze politiche e di conseguenza la formazione di un governo non poteva prescindere dall’appoggio del gruppo parlamentare “giallo”.
Da lì in poi il resto è storia. La creazione del Governo Conte I, l’appoggio a politiche sull’immigrazione di stampo leghista (anzi, salviniano), l’accordo sulla flat tax, quota 100 e via discorrendo. Poi la fine dell’esperienza di governo giallo-verde e l’inizio del Conte II terminato solo pochi giorni fa. Una nuova maggioranza, la rimozione coatta dall’immaginario comune della precedente esperienza, la nuova impronta europeista.
D’altronde, nella storia della Repubblica tanti partiti hanno cambiato linea, indirizzo e visione, si pensi alla Lega Nord e l’attuale Lega di Matteo Salvini o al PD, ma difficilmente si potrà ritrovare un’inversione di rotta così netta. Il M5S, ad oggi, non ha un’identità forte, non è più quello del Vaffa-Day ma non è nemmeno quello del Conte I. Non è più anti-establishment, ma d’altronde per andare contro al sistema bisogna evitare di “diventare sistema”. E quindi, che cos’è il M5S? È quello di Alessandro Di Battista che esplicita un suo potenziale addio in caso di nuova alleanza con Matteo Renzi o è quello di Luigi Di Maio, l’uomo che incarna alla perfezione tutte le sfaccettature/evoluzioni/involuzioni del Movimento? O magari è quello di Giuseppe Conte? Per ora la “bolla” sembra tenere, ma con queste prospettive il futuro difficilmente sarà roseo per i pentastellati.
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