Partiti e politici

Il Millennium Bug della sinistra

7 Marzo 2018

Vi ricordate il Millenium bug?

Il bug informatico che avrebbe potuto colpire tutti i sistemi del mondo nel passaggio temporale tra il 1999 e il 2000.

Ecco, il bug del passaggio di Millennio è la migliore metafora che mi è venuta in mente per raccontare le sensazioni di oggi.

Non viviamo solamente il day after di un disastro elettorale complessivo, ma siamo oggi l’epicentro di una crisi di sistema. Crisi latente da tempo, ma che negli ultimissimi anni sta esplodendo con sempre più forza in tutta Europa e che sta imponendo mutamenti profondi nelle forze progressiste di tutti i sistemi politici.

Definitivamente allentato ogni rapporto con il ‘900 ( inteso come epoca storica sociale e politica), la sinistra italiana non è ancora entrata ancora nel nuovo millennio. I richiami al voto basati sull’identità di sinistra (in ogni sua forma) non hanno funzionato per nulla.  Esattamente come, altrettanto prevedibile, non hanno funzionato i richiami al voto in nome della stabilità e della difesa dal “populismo”.

Le riflessioni sul futuro non potranno che partire da qui. Il resto, la riflessione tattica che in molti coviamo nei pensieri, mi sembra un palliativo omeopatico che preferirei affrontare in altro luogo.

Il tracollo elettorale che riguarda tutto l’orizzonte progressista in Italia era piuttosto prevedibile e, come sempre accade, contiene al proprio interno sia elementi sistemici che questioni endogene alla democrazia italiana.

Lo dico subito, giusto per fugare ogni dubbio: la mia valutazione è che se Campo Progressista avesse vinto la sua battaglia (unità e soprattutto netta discontinuità di un campo del centrosinistra) avrebbe forse attenuato l’impatto contingente dell’onda di destre e populisti, ma non ne avrebbe comunque evitato del tutto l’affondo. Perché, purtroppo, è più complessa di così.

Se guardiamo anche solo velocemente la cartina d’Italia vediamo alcune immediate sovrapposizioni con il voto britannico sulla Brexit e quello delle elezioni francesi (giusto per fare due esempi continentali): Milano svolge la funzione che altrove avevano svolto Londra e Parigi.

La regola, se di questo si può trattare, racconta un dato ormai quasi stabilizzato: quanto più si sta dentro i flussi delle opportunità e della ricchezza potenziale (i centri delle grandi città) tanto più il voto è progressista. Tanto più ci si addentra nelle periferie sociali, quanto più il voto assume le forme della protesta, del populismo, della ribellione elettorale, della rottura degli schemi. Fino a qui, per altro, il meccanismo è finanche intuitivo.
Quello che però riguarda il nostro bug è il fatto che tutte le sinistre tradizionalmente intese “si affermano” quasi solo dove ci sono benessere e opportunità (o diritti garantiti ereditati dal passato). La vera rottura sistemica con il secolo scorso sta qui.

Oggi, se la vogliamo brutalizzare, i risultati elettori italiani dicono che la sinistra politica è diventata uno spazio elettorale/valoriale di chi se lo può permettere. Significa che si vota a sinistra per un orizzonte valoriale che ci appartiene e non per vederci tutelare i nostri interessi materiali. Significa che la sinistra è oggi una rappresentazione valoriale importante, ma non è più rappresentanza di interessi reali. Questo riguarda sia la sinistra riformista liberaldemocratica che la sinistra identitaria o alternativa. Sia chiaro: i valori della sinistra, per chi scrive, sono le fondamenta della vita, lo sguardo quotidiano, l’essenza. Il punto è che rivendicarli non è più sufficiente per essere votati.

La fotografia dell’Italia è impietosa. Un Paese profondamente segnata da diseguaglianze. La provenienza sociale, il genere, la provenienza territoriale (città/campagna – Nord/sud) e le origini dei genitori influiscono in modo impattante sui destini delle persone.

Eppure, in questa macroscopica ingiustizia, la sinistra non c’è. O meglio, spesso c’è nelle analisi, nell’interpretazione, nella lettura, anche negli slogan. Sarebbe ingeneroso non riconoscerlo.  Manca nelle risposte pubbliche e concrete, nella percezione quotidiana, nel posizionamento profondo e quindi, ovviamente, nella partecipazione e nei voti.

Chi soffre la crisi oggi non si sente rappresentato dalla sinistra e dunque vota altro. La sinistra non è percepita solamente establishment, ma establishment mediatico, sradicato e post politico, destinata ad accettare la realtà (riformista) o soccomberne sventolando vessilli storici (radicale).

E così a questo giro, tutti noi progressisti, abbiamo pagato il conto. Il vento di destra che soffia da tempo non ha trovato argini concreti. La liquidità del mondo ci è piombata addosso tutta insieme come una bacinella d’acqua.

La speranza è che ora non lasci più alcun alibi e che imponga a cambiare davvero tutto.

Serve una storia radicalmente nuova che riguardi tutto il campo dei progressisti largamente inteso. Il resto è sopravvivenza.

Gli elementi di analisi della complessità sono piuttosto chiari.  La crisi economica, intesa come crisi strutturale di sistema che svalorizza sempre più il lavoro ed è dipendente da meccanismi finanziari imperscrutabili. Il rapporto tra crisi economica e movimenti migratori, come sempre accaduto nella storia moderna. La crisi della rappresentanza, della società mediata e dei corpi intermedi.  La società del just in time e dell’eternità del presente che si è scordata non solo il pensiero palingenetico o ideologico, ma perfino l’orizzonte temporale del futuro.  La fragilità decisionale/protettiva dello stato nazione e contemporaneamente l’incompiutezza della democrazia europea. Una rivoluzione culturale profonda che segna il passaggio dal secolo dell’uguaglianza al secolo delle identità.
Insomma, raccontato con pennellate generiche, così si è generato il bug della sinistra anche in Italia. Molto attrezzata, culturalmente vittoriosa nel 900, inadatta, nella sua forma attuale, ad affrontare il nuovo secolo.

Una sinistra che oggi si trova in cerca di senso, di identità, di funzione sociale. Solo infine di voti. (E quando dico sinistra intendo davvero tutte le sinistre possibili, a partire da quelle in cui credo o milito io stesso).

Ho scritto queste parole consapevole della loro incompiutezza e delle migliaia di variabili non considerate principalmente per un motivo: perché sento il bisogno di iniziare a ragionare ad alta voce, con altre e altri del lungo periodo.

Dopodiché potremmo ragionare di orizzonti politici, recinti, sigle, simboli. E poi, infine i nomi.

Chiudo consegnando qualche appunto e riflessione raccolto in queste settimane con un’ultima nota. Quando parlo di sinistra, sia chiaro, mi riferisco a un orizzonte progressista largo che travalica le forme tradizionali della sinistra 900esca. La mia riflessione vuole giocare e tenere insieme le istanze del progressismo nel “quale mi trovo a casa”: la sinistra quindi, ma anche il femminismo, l’ambientalismo, il cattolicesimo sociale e il civismo.

Appunti di viaggio

Il Movimento 5 Stelle: Io sono politicamente anni luce lontano dal Movimento 5 Stelle però davvero è il momento di smettere di ironizzare sui dirigenti o sugli elettori del Movimento 5 stelle giocando su una loro presunta ignoranza (o ingenuità).
Anzitutto perché è una semplificazione sbagliata che, come ampliamente dimostrato, non è modo efficace per far perdere voti. Secondo perché gli elettori non considerano il congiuntivo una variabile utile per orientare un voto (compresi gli studenti che a maggioranza pare abbiano votato Di Maio).
Terzo perché ogni volta che diciamo “popolare” dovremmo avere chiara la fotografia di un’Italia in cui i laureati non arrivano al 20% del totale. Infine perché un partito che prende oltre il 30% dei voti è a tutti gli effetti un partito popolare (nel senso che prende voti circa da un terzo dell’elettorato italiano) e quindi rappresenta forze e fragilità dell’Italia intera. La stessa che vorremmo rappresentare noi.

Militanza politica, attivismo, società: E’ il momento di interrogarci con più decisione su cosa sia oggi l’attivismo politico e sul rapporto sempre più complesso tra “militanza” politica e società. Già Michels all’inizio del secolo scorso ragionava su questi temi, quindi non si tratta certo di una riflessione originale o innovativa. Però quando parliamo di “Bolle” sociali e digitali, dovremmo anche tenere in conto la diminuzione quantitativa dell’attivismo politico tradizionale e la divaricazione sempre più marcata dei sentimenti e della complessità tra la militanza a sinistra e il suo elettorato potenziale.

La Sinistra e la Destra. La Destra e la Sinistra esistono eccome. Interessi sociali divergenti, valori competitivi e alternativi.  Rimango convinto che l’unica ideologia dominante oggi sia appunto quella che teorizza il superamento tra destra e sinistra. Esistono destra e sinistra nel senso che ne esisteranno sempre le ragioni profonde e partigiane. Esistono nella società e anche negli elettori. La vera novità consolidata è che non è affatto detto che chi si ritiene di sinistra voti automaticamente un partito di sinistra (tanto più solamente perché questo si definisce tale o perché si definisce l’unico “non populista e non di destra”).

La Sinistra e il futuro. L’innovazione. La sinistra è innovazione o non è. Quando la sinistra si limita a difendere le conquiste del passato si pone in una situazione difensiva che nel giro di pochi anni la rende subalterna.  Immaginate una curva gaussiana (U rovesciata) che rappresenta l’innovazione tecnologia o digitale. Ecco, potrebbe essere che nei prossimi anni la trasformazione tecnologica intorno a noi sia davvero dirompente e inimmaginabile. Non siamo in grado di prevedere che tipo di lavori esisteranno tra 10 anni, quale impatto effettivo avrà l’automazione dei processi produttivi, quale formazione sarà necessaria. Ecco, francamente è frustrante che le riflessioni tra fiscalità, tecnologia, lavoro, reddito e salario emergano nella discussione pubblica perché posti con più forza da Manager globali. E’ il momento per la sinistra di entrare nella discussione vera, quella che riguarda lo sviluppo del mondo e il rapporto tra tecnologia, ambiente, lavoro e reddito o salario.

Il Civismo italiano. L’Italia è un Paese che da nord a sud vede consolidarsi ogni anno forme straordinarie di trasformazioni sociali bottum up. Associazionismo, liste civiche, gruppi informali, spazi pubblici, collettivi, cooperative e imprese sociali, start up e imprese sostenibili, gas e così via. Insomma nella lettura del Paese non può mancare uno sguardo positivo sul fatto che la sinistra esiste socialmente, ed è anche una cosa seria. Non è detto si definisca tale, ma è sicuro che queste esperienze riescano ad attualizzare i nostri valori con grande efficacia. Quando scrivo di civismo, personalmente intendo questo. La potenzialità di rappresentare politicamente un cambiamento sociale che è già in atto.

Facciamo come? Podemos, Sanders, Corbyn, Tsipras – altri potrebbero dire Macron – e così via sono casi molto interessanti e completamente differenti l’uno dall’altro. Risposte al Bug della sinistra. Radicali e innovativa ognuno a modo suo. Bene studiarli, male cadere nell’esterofilia. Non basta dire “dovevamo essere più radicali” o “più antipolitici” o “più antisistema” per emulare quei risultati.  Non basta mitizzarli o dire (di nuovo, ancora, un’altra volta) facciamo come loro (o come uno di loro) per prendere quei voti. La storia italiana è una storia differente, che dovrà elaborare risposte differenti.

Come? Ricercare, discutere, studiare, capire. Provare a ritrovare un pensiero lungo. La mia preoccupazione più grande dopo il voto non è lo sconforto di un risultato complessivo, ma l’assoluta consapevolezza che senza una storia nuova e diversa, che coinvolga tutti i progressisti, siamo tutti destinati a nuotare in un fiumiciattolo che piano piano diventerà sempre più pozzanghera.  

Quindi: Come promesso, di politica, tattica e altro, direi che ne parliamo la prossima volta.

 

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