Partiti e politici
Il lungo letargo del senso collettivo e delle comunità di ideali
Circondati da città mezze vuote, e dai feed dei social media pieni di immagini di festa in famiglia e tra amici, è forse più facile guardare con il distacco che serve il tempo che stiamo vivendo. Una lunga stagione globale di incertezze, tribolazioni, guerre, assenza di progetti condivisi. Un tempo che sembra privo di ogni senso di comunità politica e pubblica, da un lato, e di ogni capacità di ricordare e fare memoria dall’altro. Sembra incredibile pensare a quanto siano vicine le due Pasque vissute nel pieno di una pandemia mondiale, che comportava pesanti effetti sulla vita e la libertà di ciascuno. Sono passati solo tre e quattro anni da quelle due primavere. Un tempo breve, eppure completamente scomparso e rimosso, sia nella memoria di quel che è stato sia nelle conseguenze anche virtuose che una presa di coscienza di certi limiti di sistema avrebbe potuto e dovuto comportare. A livello di dibattito pubblico se ne riparla, solamente, perchè qualcuno ogni tanto chiede una commissione di inchiesta al solo scopo di incastrare gli avversari politici e i nemici personali. E questo è tutto.
Ma pensiamo anche a fatti più vicini nel tempo, seppure più lontani nella geografia, come l’invasione dell’Ucraina operata dalla Russia di Putin, o la serie di crudeltà e morti che che sono tornati a generarsi in Medioriente dallo scorso 7 ottobre in poi. Del primo evento abbiamo celebrato da poco il secondo anniversario, e ha smesso di tormentarci davvero da quando le ferree politiche della banche centrali hanno iniziato a funzionare nella lotta all’inflazione. Dell’attacco terroristico di Hamas e della violentissima e sproporzionata reazione israeliana continuano a occuparsi solo sparute minoranze, pezzetti di opinione pubblica e classe dirigente italiane che, mentre parlano di quel che succede là, sembrano interessati principalmente a essere riconosciuti e visibili qua. Del resto, difficilmente potrebbe andare diversamente, data la totale irrilevanza dell’azione italiana – ed europea, dovremmo dire, per onestà – e la mortificante incapacità della comunità internazionale di orientare in alcun modo virtuoso il sanguinoso corso degli eventi.
È in questo quadro più grande, che ci troviamo politicamente afasici, e inetti. Incapaci di fissare i punti importanti di quel che succede, perchè di importante sembra non succedere mai niente, se non lontanissimo dalla nostra sfera di influenza. Forse è una sensazione personale, un sentimento che trasferisco su altri perchè lo so con certezza mio, ma sembra netto il progressivo e costante disimpegno dall’azione pubblica, e dal dibattito che la riguarda, di intere generazioni adulte, che sono proprio in questi anni nel cuore della loro vita matura. E altrettanto dovrebbero essere al centro dei percorsi che portano dall’opinione pubblica alla decisione politica. E invece, sempre di più, sento attorno un’onda lunga di quel che si chiamava riflusso, un arrendersi al conformismo dell’esistente, una perdita di senso critico lavata con autoassoluzioni perchè “ci penseranno i più giovani”. L’accettazione del fatto che There Is No Alternative – “non c’è alternativa” – come celebrava un fortunato e a suo modo profetico slogan politico caro a Margareth Thatcher. L’assenza di alternative al capitalismo, che per la Lady di ferro era insieme convinzione e strumento di propaganda globale, ha ampiamente travalicato i confini del solo discorso economico, ed è diventato una regola di fatto che pervade ogni ambito della vita, riducendo davvero gli spazi di critica ad angoli marginali dell’esistenza, e il dibattito a orpello consolatorio per un’umanità che davvero sembra conoscere una sola dimensione: quella del consumo, se può permetterselo, al presente. Del resto, avrebbe detto la voce dei critici radicali del sistema presente, è appunto questo l’obiettivo naturale e il terminale necessario del sistema, di ogni sistema.
Il razzismo sui campi da calcio e, soprattutto, nella società; le polemiche sul reddito di cittadinanza; il modello di sviluppo perduto di un paese che perde industrie da anni; le battaglie antivacciniste; la drammatica questione demografica; il caro-casa a Milano contrapposto alla perdita abissale di valore immobiliare in quasi tutto il paese; il progressivo disinvestimento in sanità pubblicà e istruzione; l’ultimo scivolone degli influencer più famosi d’Italia; la parità di genere, il welfare che serve a sostenerla davvero. Tutto finisce nello stesso calderone, assieme a molte altre cose, senza nessuna opposizione sociale all’oblio, senza che i politici e neppure gli intellettuali si oppongano al flusso. Anzi, lo seguono, illudendosi così di non scomparire. Così, chi sa interpretare il potere in modo mimetico, nascondendo e adeguando anzitutto la propria storia a questo scialbo presente, ha buone ragioni per credere di poter durare, dopo tante leadership volubili, narcisistiche e brevi. Non ci sono alternative, del resto, nè comunità in grado di costruirle.
Jacopo, sento gli stessi fallimenti, perfino dentro di me. Un’omologazione vincente che cancella le singolarità: è omologazione perfino l’illusione di rivendicare un io assoluto e libero, e non solo da parte dei no vax. Perfino menti che reputavo illuminate cascano nella trappola: come Agamben. Stringo i denti, mi rifiuto. Ma da me posso poco, quasi niente. la domanda, di nuovo, è sempre la stessa: che fare? . Dire, o scrivere, non basta più.