Partiti e politici

Il lungo arrocco di Giorgia in una campagna elettorale fatta di silenzi e rinvii

19 Maggio 2024

Nell’apparente disinteresse della società italiana, si avvicinano le elezioni europee del 9 giugno. Diverse indagini demoscopiche dicono infatti che la maggioranza degli elettori italiani, se interrogata, ammette di non avere chiaro per cosa si vota alle “europee”, a cosa serve il parlamento, cosa siano i gruppi politici europei. Uno degli evidenti fallimenti della missione dell’Unione, quella di far capire se stessa, anche una atavica responsabilità del pigro e qualunquista popolo italiano.
Sia come sia, la data del voto si avvicina e la settimana che si chiude e quelle che abbiamo davanti, sembrano suonare uno spartito di prudente attesa, di astuta procrastinazione. Una di quelle musiche che più creare suspence puntano ad addormentare la platea. A dirigere l’orchestra naturalmente è Giorgia Meloni.
Sul fronte delle cose sicuramente importanti, anzitutto in chiave europea, c’è la vittoria di Giancarlo Giorgetti sul Superbonus. Il ministro dell’economia ha ottenuto di spalmare su dieci anni le detrazioni fiscali promesse a chi ha usufruito del generosissimo incentivo lanciato nel 2020 dal governo Conte 2, vincendo le resistenze di parte della maggioranza che chiedeva di mantenerne le caratteristiche attuali, e cioè la detrazione in cinque anni, con un impatto maggiormente negativo sui conti pubblici, è un beneficio più tangibile su imprese e famiglie beneficiari che, sia detto per inciso, sono tutti iscritti alle liste elettorali.
Sarebbe stato difficile immaginare un esito diverso da quello voluto da Giorgetti, dopo che la sua quasi omonima presidente del Consiglio ha più volte pubblicamente dato al superbonus molte colpe del dissesto dei conti pubblici, e anche qualche ragione, e per di più potendo contare su una silenziosa acquiescenza delle opposizioni, Cinque Stelle a parte E tuttavia, c’è stato da discutere. Abbiamo letto molte volte della contrarietà di Tajani, dei dubbi di qualche leghista, e altrettante volte degli aut aut di Giorgetti: “o me, o il super bonus”. Potere dell’infinità campagna elettorale italiana, nella quale posizionare se stessi finisce per contare sempre di più che posizionare il paese.

Con un Giorgetti sospeso tra gli altari della credibilità di custode del rigore e il rogo che tocca al cattivo che dice no a tutte le richieste di prebende, per Meloni è tutto molto più semplice. Il parafulmine politico e mediatico è questo arcigno commercialista che viene dal Lago Maggiore, e a lei resta lo spazio di gestione della propaganda. La esercita in vari modi. Lo fa attivamente, accogliendo in Italia Chico Forti, condannato per omicidio in Florida e sempre dichiaratosi innocente. La procedura per l’estradizione di Forti è iniziata molto tempo fa, ben prima che questo governo fosse. Si conclude adesso e non sarà mai chiaro – come non lo è mai, in questi casi – per quale merito decisivo. Certo colpisce vedere una presidente del Consiglio accogliere con tutti gli onori un condannato per omicidio in un paese alleato. Non si discute qui il merito giudiziario della vicenda, ma l’opportunità istituzionale. È vero, siamo di fronte a un processo anomalo, che Forti non potè appellare, e che l’ha sempre visto definirsi vittima di un errore e di un complotto. Tuttavia, accoglierlo al rientro non è solo celebrare una vittoria diplomatica, ma sottolineare una vicinanza specifica a chi accusa il sistema statunitense di aver mistificato e falsificato. Succederebbe lo stesso per chi rischia 4 anni di detenzione senza processo in Ungheria, e 24 anni, se il processo, una volta avvenuto, portasse al massimo della pena?

Oltre la propaganda attiva, c’è poi quella silente. Quella seguendo le cui regole si può decidere di rinviare ogni decisione a dopo il voto. Almeno tutte quelle rinviabili. Come ad esempio quella che riguarda i vertici di molte aziende ed enti controllati dal governo, come Rai, Cdp, Fs e vari altri. Decidere subito avrebbe immesso altri elementi di tensioni con gli alleati. Farlo dopo vuole dire scommettere su diversi rapporti di forza, ovviamente immaginato, da Giorgia, come vantaggiosi per sè. Dovesse prendere davvero il triplo dei voti di Lega e Forza Italia, confermando e anzi rafforzando le proporzioni delle elezioni politiche, anche la trattativa per le poltrone avrebbe altro agio e altre prospettive.

Nel complesso, l’impressione che si ricava è quella di una campagna elettorale fatta al minimo dei giri, da parte della presidente del Consiglio, che si limita a collezionare i passaggi chiave, uno dopo l’altro – “chiamatemi Giorgia”, per dirne uno – evitando tutto il resto. Sperando che niente vada storto. Ora che, in ossequio regole fuori tempo salta anche il confronto tra lei ed Elly Schlein, a Meloni non resta che attendere e tirare a campare per un’altra ventina di giorni. Nella settimana in cui uno dei gli uomini di punta del suo blocco politico europeo, il premier slovacco Robert Fico, ha subito un attentato per ragioni politiche, la presidente del Consiglio è tornata – seppure in video collegamento – sul palco di Vox, quello dell’estrema destra spagnola da cui gridò, anni fa, il primo e più famoso: “yo soy Giorgia, yo soy una mujer”.Perchè, al di là delle convinzioni, tutto sanno che in epoca di bassa affluenza portare a votare tutti i propri elettori naturali è importante. E per questo, da quel palco, è tornata sulle parole d’ordine della lotta al gender e alla maternità surrogata. Un colpo al centro, insomma, e un colpo a Vannacci. A quale commissione portare i voti, con quali alleanze, ci penserà dopo il voto. Dopotutto, proprio come i leader, anche gli elettori italiani vivono le europee come un sondaggio sulla popolarità dei partiti in Italia: e se dovesse servire qualche accordo col diavolo, o dovesse essere indispensabile giocarsi il jolly di qualche incoerenza in sede europea, se ne faranno sicuramente sicuramente una ragione.

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