Partiti e politici
Il Laboratorio Marche. Ovvero: le elezioni del Gattopardo
Più o meno ingiustamente, delle Marche si sta parlando molto poco. Le elezioni regionali, da queste parti, vengono vissute come un appuntamento molto poco sentito: i candidati sono pochi e, come si dice, «la Regione appare come un ente distante dai cittadini». E non è un caso, in questo senso, che durante questa campagna elettorale una delle frasi più ripetute ovunque è: «Bisogna portare la gente a votare», con successive interpretazioni dell’astensionismo a presunto vantaggio dell’uno o dell’altro candidato.
A dispetto di questa situazione, per così dire, sospesa tra il menefreghismo e la certezza che a prevalere sarà il Pd, i dirigenti dei vari partiti definiscono le Marche come «un laboratorio politico di rilevanza nazionale». Frase di circostanza che viene periodicamente ripetuta da queste parti: era già successo nel 2013, quando prima delle politiche davano tutti per certo (o quasi) un accordo tra il Pd bersaniano e il centro montiano per governare, citando come esempio proprio l’attività legislativa dell’assemblea anconetana, dove i democratici sostenevano Gian Mario Spacca, figlio prediletto della (ex) potentissima famiglia Merloni. Le cose sono andate a finire diversamente, con il Movimento Cinque Stelle che registrò un trionfo di dimensioni colossali tra Pesaro e Ascoli, superiore addirittura al già notevolissimo risultato nazionale.
Adesso – primavera del 2015 – la situazione è cambiata. Dopo uno stucchevole tira e molla, tra giri di valzer e appetiti insaziabili, il Pd ha deciso negare a Spacca la possibilità di un terzo mandato, scegliendo come candidato sindaco l’ex amatissimo sindaco di Pesaro Luca Ceriscioli. Non è stata una passeggiata: prima di arrivare a questa decisione si è dovuti passare per un congresso regionale boicottato dai più e per il progressivo logoramento del segretario successivamente eletto, Francesco Comi. Così, primarie dello scorso primo marzo si sono presentate come regolamento di conti tra le due anime in conflitto del Pd marchigiano: da una parte chi non voleva chiudere del tutto le porte a Spacca (il candidato, va da sé, era proprio un membro del governo regionale, Pietro Marcolini) e dall’altra chi voleva fare piazza pulita dell’ingombrante passato, con Ceriscioli a suonare la grancassa. La vittoria dei secondi è stata sontuosa: il primo giugno, a urne chiuse, si provvederà a fare piazza pulita degli avversari. Di quelli che non hanno cambiato fronte, almeno.
Il cambiamento sarà reale? Difficile dirlo. A scorrerle, le liste sono piene di nomi che hanno governato (e con mucho gusto) al fianco di Spacca per lunghissimi anni. Quindi la domanda corretta dovrebbe essere: a parte il presidente, cosa cambierà di preciso nel governo regionale?
Fuori dai giochi del centrosinistra, Spacca ha così portato la sua creatura («Marche 2020» si chiama) a un centrodestra in netto affanno e senza alcun nome buono da proporre come candidato. Una fusione a freddo che potrebbe giovare all’ex governatore (in questo modo riuscirà a rientrare in consiglio regionale, salvo cataclismi) ma che ha lasciato di stucco la base di Forza Italia, o quel che ne resta. Insomma: come si fa la campagna elettorale ad un uomo che per dieci anni è stato un acerrimo nemico? Situazione che si fa ancor più imbarazzante se ci mettiamo pure che Spacca continua a ripetere che lui «non rinnega nulla» del suo governo. Un’operazione gattopardesca spacciata per «accordo intorno a un programma di governo che guarda al futuro». Politichese strettissimo che in tanti, troppi, faticano a comprendere. Spacca, dal canto suo, porta avanti una personale guerra contro tre Matteo: Renzi, Salvini e Ricci, l’attuale sindaco di Pesaro, l’autentico cuore pulsante del Pd marchigiano. Lo scontro, per ora, è aspro, ma c’è già chi dà per certo un nuovo accordo tra Spacca e il Pd per garantire la stabilità della maggioranza, da consumarsi a urne rigorosamente chiuse.
Schiacciato nella diatriba c’è rimasto il centro: l’Udc appoggia Ceriscioli, Area Popolare sta con Spacca. Del problema, però, pare non interessarsi nessuno, forse a causa delle stime non proprio rosee sulla consistenza elettorale di questi due movimenti.
Chi gode ed è accreditato come seconda forza è il Movimento Cinque Stelle, che tiene e non crolla. La sinistra, unita sotto il cartello delle Altre Marche, candida l’anconetano Edoardo Mentrasti, con la speranza piuttosto flebile di riuscire ad eleggere un consigliere. In ascesa, infine, c’è Francesco Acquaroli, candidato di Lega Nord e Fratelli d’Italia: l’evanescenza del centrodestra potrebbe favorirlo e qualcuno comincia a mormorare frasi al miele su un sorpasso ai danni di Spacca che avrebbe dell’incredibile (ma non dell’impossibile, a ben guardare).
Dicevamo del fantomatico «Laboratorio Marche». Nella tranquilla regione al plurale abbiamo un Pd che corre con l’appoggio dei centristi e di una lista civica che raccoglie i resti di Verdi e Socialisti, con la non improbabile ipotesi di arrivare a una maggioranza monocolore. A questo guardano i dirigenti democrat: è possibile vincere da soli? A Ceriscioli l’ardua risposta, nella difficile operazione di criticare il governatore ma non il governo che negli ultimi 10 anni ha imperversato con il Pd in prima fila. Il centrodestra di Spacca, invece, propone la formula del ‘blocco moderato’ da contrapporre al ‘panrenzismo’ imperante. L’idea, considerando che l’Italia è un paese di maggioranze silenziose che appaiono soltanto il giorno delle elezioni, non è peregrina. Il problema è che il passaggio di Spacca da sinistra a destra appare ai più come l’ennesima affermazione di un trasformismo che tanto ha schifato l’opinione pubblica negli ultimi anni.
Nelle intenzioni di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ‘Il Gattopardo’ doveva essere un ritratto di una società siciliana che cambia maschera ma non modo di essere. In realtà è nelle Marche che oggi tutti i protagonisti dello scenario politico hanno qualcosa da farsi perdonare. Tutti hanno qualcosa che non possono raccontare ma devono assolutamente nascondere, in un modo o nell’altro: tra biglietti di andata e ritorno dal Pd a Forza Italia (e viceversa), qualcosa cambierà di sicuro. Ma è probabile pure che tutto rimarrà come prima.
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