Partiti e politici

Il grande anticipatore: Silvio, il re della comunicazione politica televisiva

12 Giugno 2023

Silvio Berlusconi ha vissuto 86 anni, ma è come se ne avesse vissuti 500. Sia come quantità di vite diverse in una sola, sia come intensità di ognuna di quelle stesse vite.
Nei giorni a venire leggeremo del Berlusconi capo di governo, capo di partito, leader di coalizione, imprenditore, editore, uomo di sport, “nemico dei comunisti”, leggeremo del suo braccio di ferro infinito con la magistratura, della rivoluzione liberale mancata, delle sue controverse vicende personali e intime, dei suoi rapporti con Putin, con Gheddafi, e chi più ne ha più ne metta. Se ne parlerà in Italia, come all’estero. A dimostrazione che le sue vite sono state tante e che in ognuna di esse ha lasciato un segno profondissimo.
Uno dei segni indelebili lasciati da Berlusconi ha sicuramente a che fare con la comunicazione politica. Dal video della “discesa in campo” in poi, Silvio ha letteralmente segnato un’epoca, avviando una fase che per molti aspetti stiamo ancora vivendo. La fase piena della personalizzazione, della spettacolarizzazione, del marketing politico e, per alcuni, anche del populismo. È una delle ragioni per cui è stato tanto odiato in Italia e ancor di più all’estero. Si sente spessissimo dire che “da Berlusconi in poi” la politica è peggiorata, abbandonando quella presunta “età dell’oro” che l’aveva preceduto. L’età dei partiti di massa, delle grandi ideologie, della politica “piazze e sezioni” che coinvolgeva e mobilitava tanta gente, a partire da credenze condivise forti e stabili.

La verità – almeno per me – è che Berlusconi è stato un grande interprete dei cambiamenti culturali e sociali, prima che politici. Ha sicuramente contribuito a plasmarli quei cambiamenti, ma prima di tutto li ha intercettati in anticipo. Senza Berlusconi sarebbero arrivati ugualmente, anche se in ritardo. Ce lo dice la storia recente delle democrazie occidentali, non solo quella italiana.
Quando registra quel memorabile annuncio della discesa in campo, Silvio ha ben chiara tutta una serie di evoluzioni che la politica italiana – e occidentale – stava attraversando. Decide di chiamare il partito “Forza Italia” perché si rende conto che le ideologie novecentesche sono finite e che non ha alcun senso rifondare un partito che si richiami a qualsiasi ideologia o area culturale precedente. Sa che gli elettori stanno diventando volatili e disorientati e sa che si può, per la prima volta, provare a parlare a tutti. Forza Italia è il primo partito “pigliatutti” (Catch-all) del nostro paese, e lo è a partire dalla scelta del nome: meno divisivo che mai e privo della parola “partito” che era diventata un disvalore dopo gli anni di “Mani pulite”.

Rileggiamo le parole scelte per l’inizio di quello spot:
“L’Italia è il paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato da mio padre e dalla vita il mio mestiere di imprenditore. Qui ho anche appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica, perché non voglio vivere in un paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare. Per poter compiere questa nuova scelta di vita ho rassegnato oggi stesso le mie dimissioni da ogni carica sociale nel gruppo che ho fondato. Rinuncio dunque al mio ruolo di editore e di imprenditore, per mettere la mia esperienza e tutto il mio impegno a disposizione di una battaglia in cui credo con assoluta convinzione e con la più grande fermezza.”
Quel video dura oltre 9 minuti, ma il succo è tutto qui, nel primo minuto. Cosa ci dice questo minuto? Tante cose. Intanto è tutto focalizzato sul protagonista, come persona prima che come (futuro) politico. Ci sono riferimenti agli affetti, alla famiglia, al curriculum e alle capacità personali. Poi è mirato, fin dalle primissime parole, a tutti gli elettori: “L’Italia è il paese che amo” parla a tutti, non a uno specifico gruppo sociale. In sintesi, il messaggio di Berlusconi è molto chiaro: caro elettore, so che sei disorientato e che ti senti tradito dalla politica. Ma c’è un’alternativa, ci sono io, con la mia storia, le mie competenze e i miei successi. Vota per me… per un “nuovo miracolo italiano”.

Cosa aveva intuito in anticipo Berlusconi? Che un’era politica era finita e aveva portato via con sé tutti i suoi simboli: le ideologie, il voto di appartenenza e fedele, le grandi fratture e le classi sociali, la fiducia nelle istituzioni e nella politica di professione. Da quel momento, il nuovo brand politico, anche a causa della televisione come medium dominante, sarebbe stato il leader. Tanto più in un sistema partitico “terremotato” come il nostro. E poi, da uomo di televisione, aveva capito che l’annuncio andava fatto così, con l’unico materiale utile alla logica televisiva: con un video, in cui il protagonista parla in prima persona. Ancora oggi, c’è chi si candida o lancia nuovi partiti con un comunicato stampa; questo ci dice quanto fosse “avanti” rispetto alla concorrenza. E quanto fosse consapevole della potenza della logica televisiva, quella per cui ogni volta bisogna lasciare il segno, più con la comunicazione non verbale che con quella verbale. Ce l’ha ricordato con la firma del “contratto con gli italiani” nello studio di Porta a Porta, con tanto di scrivania “notarile”, così come spazzolando la sedia di Marco Travaglio nel 2013 in un’infuocata puntata di “Servizio Pubblico” su La7. E ancora nel 2018, quando, pur non essendo il leader del partito più votato nel centrodestra, esce dalle consultazioni con Mattarella, lasciando il microfono a Salvini, ma scandendo con un conteggio manuale (molto televisivo) tutti i punti espressi dalla sua coalizione a Mattarella. Nessuno ricorda nulla né della puntata di Servizio Pubblico, né delle parole di Salvini: tutti ricordano benissimo quei gesti, praticamente indelebili nella nostra memoria.
Allo stesso modo potrei proporre un gioco ai nostri lettori: vi ricordate qualche proposta politica delle elezioni di 10 o 20 anni fa? Probabilmente farete fatica. Ma se vi dicessi “aboliremo l’ICI”, “aboliremo l’IMU” o “restituiremo l’IMU” sicuramente attiverei facilmente un cassetto della vostra memoria. Provate a fare lo stesso gioco con le proposte di qualsiasi altro candidato premier, girerete a vuoto per parecchio tempo.

Ecco perché Berlusconi era un grande interprete del suo tempo, un grande conoscitore della società in cui era immerso e che sicuramente aveva anche contribuito a creare con le sue TV commerciali.  Fatto sta, che molti anni dopo la sua discesa in campo c’erano ancora tantissimi politici che esultavano riempiendo una sala, mentre lui pensava solo a dove fosse la telecamera. Inutile dire che fine hanno fatto i primi in confronto alla sua longevità politica.
Berlusconi è stato una sorta di archetipo del leader politico televisivo. Nessuno ha interpretato la fase della centralità della TV come lui. L’arrivo del digitale e dei social network ne hanno in parte oscurato le grandi qualità, ma anche questa è una mezza verità. Quando a settembre scorso approda addirittura su TikTok, scatenando l’ilarità di tanti osservatori, anche per lo stile e il linguaggio utilizzati, ma soprattutto perché sembrava incredibile che un 85enne potesse parlare alla generazione più giovane di elettori, in realtà ci ha fregato un’altra volta. Quel video è il secondo più visto in assoluto tra quelli pubblicati dai leader politici italiani. Ma soprattutto aveva una funzione “latente” che in pochi avevano intuito: che quella sera si parlasse di lui ovunque, sui quotidiani online come in televisione. E così fu, dimostrando di aver capito anche le logiche del sistema ibrido dei media: frammentato e con pubblici diversi, ma anche integrato, per cui se lasci il segno su un mezzo di comunicazione, quel segno rimbalzerà ovunque… e avrai dominato l’agenda.
Chiudo con un ricordo personale.

Il 12 novembre 2011 Silvio Berlusconi si dimette da Presidente del Consiglio e chiude l’esperienza di governo nata l’8 maggio del 2008, pochi giorni dopo una schiacciante vittoria elettorale del centrodestra alle elezioni politiche. Al posto di Berlusconi arrivò Mario Monti, col suo governo “tecnico”, incaricato di fare una serie di riforme e appoggiato da una larghissima maggioranza. Dopo circa un anno, all’interno di una parte cospicua dell’allora Popolo delle Libertà, comincia a farsi strada l’idea che Monti potesse ereditare la leadership di Berlusconi. La mattina di domenica 16 dicembre del 2012, al teatro Olimpico di Roma, viene lanciata l’operazione “Italia Popolare”: decine e decine di parlamentari del PdL sul palco, il suggello dell’allora segretario Angelino Alfano, e una vaga intenzione, appena abbozzata, di cambiare passo, da Berlusconi a Monti. Alla fine dell’evento c’era comunque grande soddisfazione per la riuscita: “la sala era piena, è andata bene”. All’ora di pranzo tutti tornarono a casa con l’idea che qualcosa da quel momento potesse cambiare nel PdL e nel centrodestra italiano. Alcuni però, una volta a casa, si sintonizzarono su Canale 5 e trovarono una spumeggiante Barbara D’Urso con un ospite d’eccezione: Silvio. Immediatamente arrivò la domanda sull’evento del teatro Olimpico e sull’ipotesi che Monti potesse prendere il suo posto alla guida del PdL. L’ipotesi fu rigettata con un sorriso a 32 denti, davanti a 5 milioni di italiani. La sala piena era servita a poco, “Italia Popolare” era nata e morta nel giro di due ore. E Berlusconi confermò tanto le sue doti di comunicazione, quanto la natura “personale” del suo partito. Dal 1994, il primo di una lunga serie.

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