Costume
Il granchio blu e le vestali del patriarcato
Ieri su la Repubblica un’intellettuale molto à la page ha scritto un pezzo molto sciatto, moralista e superficiale sul femminicidio, incolpando di un reato odioso, l’omicidio di una donna per mano di un uomo, nientepopodimeno che l’intera società.
Se un amico non lo avesse postato sui social me lo sarei perso, come tendenzialmente mi perdo gran parte delle concioni dell’intellettuale medesima e dei suoi accoliti, ma le vacanze sono fatte anche per far girare la mente in praterie nuove e poco battute, quindi l’ho letto e ho letto un’altra intellettuale che sulle stesse pagine oggi rincarava la dose. Con imbarazzo per la grossolanità del pensiero e dispiacere per la triste fine di un quotidiano che negli anni ha saputo rappresentare un luogo di pensiero anche spettinato e controcorrente, almeno prima che calasse la cappa dell’antiberlusconismo militante (di cui quello che leggiamo oggi è tarda manifestazione) a farne un’otre grondante moralismo e pensieri finti scomodi.
Basta ovviamente non leggerla, si dirà, come si può non leggere, anzi ignorare, quel generale scappato dal cast di “Vogliamo i colonnelli”, che come un poeta amatoriale si è scritto e autopubblicato un libro di stronzate fascistoidi, che se le istituzioni hanno un senso lo porterà ad un rapido congedo.
Opposti estremismi, di cui sarebbe bello potersi non occupare, senonché, ben più nel campo che in quello conservatore (dove moltissime voci si sono levate a tacitare Vannacci), idee estreme nel senso di parziali, minoritarie e scalcinate proliferano senza opposizione. Un granchio blu intellettuale, che si riproduce indisturbato per assenza di predatori.
Un’assenza che non fa mai bene, perché nessuna buona idea, di quelle che davvero portano un Paese è una civiltà da qua a là, si è mai sviluppata nel comodo di circoletti in cui ci si da reciprocamente ragione, e dove chi pensa che stai dicendo scemenze è costretto o preferisce stare fuori. Oppure è, con infinita mancanza di fantasia (ché anch’essa prospera dove c’è diversity, non unanimità della diversity, cose ben diverse), marchiato come fascista.
Invece a me, che fascista certamente non mi considero, piacerebbe che qualcuno avesse il coraggio e la voglia di scrivere che:
Il patriarcato è una stronzata, perché è un concetto usurato e così a grana grossa da tenere dentro tutto (come nel “e ho detto tutto di Totò”). Pensare, come si pensa, che gli uomini siano delle sorte di pitbull, magari anche carini ma sempre pronti a uccidere davvero (femminicidio) o figurativamente (mansplaining e tutto il resto) e che la famiglia sia la gabbia di ferro che ospita potenzialmente ogni atrocità è un’idiozia, ancora più idiota dell’idea che le droghe leggere vadano mantenute illegali perché sono il viatico all’eroina. È una stronzata, o nel migliore dei casi una rappresentazione stereotipata che si fa del Male, come il diavolo con le zampe caprine e le corna, a beneficio delle menti più semplici. Almeno in Barbie, film politico come non se ne vedevano da tempo, si sforzano a fare ideologia con un prodotto godibile, non con due editoriali tirati via.
La società si muove, in senso centrifugo a partire dai luoghi più dinamici per arrivare in provincia e il suo movimento, e quello dell’economia, disegna il territorio e i rapporti tra le persone assai più di ogni pistolotto, peraltro sempre coraggiosamente rivolto a quello che sono già d’accordo. La famiglia, che è anche soggetto economico ma per questi attivisti i soldi puzzano e non se ne deve parlare, si sta liquefacendo da quel dì. Il problema semmai è capire cosa sostituirà la famiglia (che è anche in Costituzione, bella solo quando fa comodo) in società come la nostra, chiamate a sfide demografiche violente.
In totale simpatie con le istanze dei movimenti per i diritti civili, il loro allargamento per via di legge non rappresenta oggi una priorità assoluta e deve essere possibile affermarlo pur continuando a ritenersi parte del campo progressista. L’Italia è un paese in cui i giovani andranno in pensione con niente a età decrepita anche per mantenere un numero sempre crescente di anziani, in evidente crisi di identità fra un passato di lavoro e un futuro di rendita, con uno scollamento sociale ed economico spaventoso tra classi e territori e pochissime energie e idee per fare fronte a questi disastri. Sinceramente, per me la famiglia queer e la lotta al patriarcato non sono prioritarie. Non sono contrario, ma non mi interessano, non vado a votare per quello. La democrazia è composizione di interessi e io sulla bilancia metto il lavoro, lo sviluppo economico, i territori, l’innovazione e il fine vita. Dovessi anche essere l’unico, io voterò e leggerò chi mi stimola, anche mettendomi in discussione, su queste cose, il resto è nice to have.
Monopolizzare l’agenda opposta alla destra con priorità ricavate da una lettura molto parziale e superficiale del Paese, peraltro verificate e rimandate in camere dell’eco che raggiungono sempre e solo i già convinti può funzionare per vendere i gadget culturali dei paladini della lotta al patriarcato, non certamente per convincere mezza persona in più. Qui sta la differenza tra chi fa politica e i granchi blu, i predatori alloctoni del dibattito pubblico, gli/le attivisti/e. L’attivismo è il McDonald’s della politica, sembra la stessa cosa di un pasto normale, ma è pieno di sale e schifezze e fa malissimo. L’attivismo, magari qualcuno lo scrivesse, è una forma borghesemente decadente di fare politica, urlando senza sosta le proprie indiscutibili e urgenti priorità con le orecchie tappate alle argomentazioni altrui. Che questa forma di decadenza dell’organizzazione della politica abbia preso il controllo del maggior partito progressista italiano è segno di una malattia grave.
Ecco, chi avesse il coraggio di dire pubblicamente queste cose e magari di argomentarle e discuterle con un sostenitore/trice delle tesi opposte in un confronto con la sola regola di non potersi dare dell’-ista qualcosa, avrebbe il mio voto e i miei soldi di lettore.
Nella foto: un vero Patriarca di un vero Patriarcato
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