Partiti e politici

Il fuoco dell’intolleranza brucia a Quinto di Treviso e la Lega soffia sopra

16 Luglio 2015

Dopo tanto soffiare sul fuoco, a parole, finisce che il fuoco arriva davvero. E brucia gli oggetti, le cose vere, non quelle della propaganda. La testimonianza arriva da un video (visibile a fine articolo), oltre che dalla cronache locali. La vicenda vede come scenario Quinto di Treviso, Comune veneto di circa 10mila abitanti, chiamato a ospitare 101 profughi in alcuni appartamenti. La reazione di una parte degli abitanti del posto è stata deprecabile: sono entrati nelle case, hanno preso televisori e mobili presenti all’interno, dandoli pubblicamente alle fiamme. Un rogo che racconta il livello di tensione.

La Lega, in un esercizio di equilibrismo lessicale, appoggia totalmente la protesta, ma si dissocia dalle violenze. Ma per un attimo immaginiamo se un atto violento fosse stato commesso dalle “zecche” di sinistra, come Matteo Salvini definisce con il suo stile sempre british i suoi contestatori: quale sarebbe stata la reazione? Sicuri che non ci sarebbe stata una ferma critica, senza se e senza ma? Ma vista la serietà della questione è opportuno tralasciare questo tipo di polemiche. Perché bisogna ammettere: il problema è complesso e per questo necessiterebbe di una discussione seria, che non soffi sul fuoco dell’intolleranza. Ma così non è, purtroppo. Non a caso pure i militanti di Forza Nuova hanno annusato l’aria di voti facili e hanno piazzato le loro bandiere a Quinto di Treviso.

Nella querelle è così stato coinvolto il Prefetto, reo della decisione presa sui profughi. Dall’altra parte della barricata, a sostenere i cittadini, è accorso il presidente della Regione Veneto, il volto vincente del leghismo Luca Zaia, recentemente eletto con un consenso schiacciante. «Il prefetto sappia che questa è una dichiarazione di guerra. Io non ho nulla contro la dottoressa Marrosu, ma immettere decine di clandestini in appartamenti sovraffollati e senza corrente è una indecenza che va subito sanata», ha incalzato l’ex ministro dell’Agricoltura. Se le affermazioni hanno ancora un significato, Zaia parla di “guerra”, aumentando il livello di tensione. Peccato, perché le parole sono sempre importanti. Il fuoco che brucia a Quinto di Treviso, infatti, viene alimentato da certe dichiarazioni, che poi finiscono per foraggiare comportamenti violenti. Benché ufficialmente vengano biasimati.

Immancabile è arrivata la presa di posizione del leader leghista, Matteo Salvini, che ha portato la «solidarietà alle famiglie di Quinto di Treviso» perché «quello che sta accadendo è intollerabile». Infine il numero uno del Carroccio ha invitato a mandare «via il prefetto se non è in grado di gestire. Questi immigrati devono andar via. Sia chiaro: noi non avalliamo alcun tipo di violenza».

In questo clima di propaganda spinta, invece che di confronto rigoroso e serio, il Prefetto Maria Augusta Marrosu ha giustamente osservato: «I residenti che hanno fatto danneggiamenti verranno denunciati. Chi si è comportato male sono gli italiani, non gli stranieri». Ecco, questo è bene dirlo: in molti temono violenze future da parte dei profughi, ma finora, nel recente passato, gli autori delle violenze sono italiani.

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