Costume

Il fascino discreto dell’epistocrazia

2 Giugno 2020

Qualche mese fa ho promesso a mia figlia Elena di inventare una storia su un gatto. Non un gatto qualsiasi, e nemmeno il nostro gatto. La storia avrebbe dovuto riguardare il gatto preside, un gattone persiano di pelo bianco che abita vicino alla scuola elementare dei miei figli. In epoca pre-coronavirus, prima del suono della campanella, il gatto preside sbucava all’improvviso nel giardinetto della scuola davanti alla porta di ingresso delle prime e delle seconde. Con aria feroce e pelo ritto il gattone inseguiva i bambini che si allontanavano dall’entrata. Insomma, il gatto verificava con puntualità e severità che i bimbi entrassero a Scuola. E tutti abbiamo cominciato a chiamarlo gatto preside.
Ho promesso ad Elena di inventare una storia sul gattone perché mi piaceva (e in fondo piaceva anche a lei) l’idea che un animale si prendesse a cuore l’entrata degli scolari a Scuola. Biologicamente, chissà quali sono le ragioni del suo comportamento. Forse, quando tutti i bimbi sono entrati, il custode gli da’ qualcosa da mangiare. Ma nel mondo della fantasia il gatto preside meritava un racconto che ne descrivesse le vere motivazioni. Ci ho pensato spesso, generando solo storie tristi e sconfortanti. Ad esempio, mi ero immaginato che il gatto preside avesse avuto un bambino come padrone; passato in un’altra famiglia, il gatto preside non si era rassegnato alla perdita e ogni giorno cercava il suo piccolo amico tra gli alunni che andavano a scuola. Una storia sfigata e irraccontabile; una storia anche inadeguata alla dignità del gattone persiano. No: il gatto preside non cerca nessuno, ma verifica con attenzione che tutti i bimbi entrino a scuola. E poi, entrati i ragazzi, dove va a rifugiarsi il gatto preside? Mistero. La fretta di andare al lavoro dopo aver portato i bimbi a scuola mi ha sempre impedito di seguire il micione dopo il suo lavoro. In pieno lockdown ho fatto un’escursione trasgressiva sino alla scuola, con la scusa di comprare il giornale: del gatto preside, vero motivo della passeggiata, nessuna traccia.
E poi, la storia è venuta da sé. Qualche giorno fa la viceministra all’Istruzione, Anna Ascani ha fatto una proposta molto bella: regaliamo ai bambini l’ultimo giorno dell’anno scolastico. Vale a dire, facciamo in modo che i bimbi possano ritrovarsi, magari in un luogo all’aperto, con i loro insegnanti. Un modo per suggellare un anno drammatico e speriamo non ripetibile; e una promessa di rivedersi a settembre in aula. La proposta mi piaciuta subito proprio perché pragmatica e simbolica allo stesso tempo.
L’ultimo giorno di scuola sarebbe stato il trionfo del gatto preside. Ce lo vedevo, il gattone, a gironzolare intorno ai bimbi riuniti fuori dalla Scuola; sospettoso, ma contento. Ecco qua la storia in pochi flash: il gatto preside sente nuovamente le voci dei bimbi, rifiuta un’immonda scatoletta di cibo per gatti, miagola disperato ai padroni per poter uscire. Lo accontentano, infastiditi dal miagolio inusuale. Non appena la porta di casa si socchiude, il gatto preside si lancia fuori e trova tutti questi bimbi che chiaccherano e saltellano in giardino. Che razza di disordine è mai questo? Ma, visto che da tanto tempo non vede bambini davanti al portone della scuola, e gli sono mancati molto, per una volta il gatto preside decide di essere indulgente; il gatto decide di fidarsi degli esseri umani. E poi, ci sono piacevoli brandelli di ordine nel caos generale: sembra che la lezione venga fatta fuori, chissà cosa salta in testa a quelle pazze delle maestre. Ci saranno le pulci nelle aule? Sospettoso e borbottante sul degrado dei costumi moderni, iI gatto preside si accuccia vicino al gruppetto dei bimbi e assiste ad una bella lezione sulla tabellina del 6. Magari qualche bimbo lo accarezza. Lui però non fa le fusa, non è una cosa da farsi durante una lezione. Sei per nove, cinquantaquattro.
Ma poi, puf!, qualche giorno fa l’idea dell’ultimo giorno di scuola è stata bocciata dal Comitato Tecnico Scientifico (CTS), che affianca la Protezione Civile nella gestione dell’emergenza COVID-19. L’ultimo giorno di Scuola prevede inevitabilmente attività sociali e i bambini non sono immuni dal coronavirus, sebbene siano in massima parte risparmiati dai sintomi più gravi. Povero gatto preside, non troverà nessuno. Qualche giorno dopo, ancora un colpo di scena: il CTS precisa che non è contrario all’iniziativa, a patto che si svolga senza assembramenti e rispettando le regole di distanziamento e protezione individuale. Adesso il cerino è consegnato a livello locale. Quello che voleva essere un prezioso simbolo di una Società matura, diventa una scelta individuale, comunale, di presidio scolastico. Non ho ancora capito se da noi si farà, oppure no. Ci si rimette al buon cuore delle persone.

E’ possibile che il gatto preside, in tanti anni di attenta sorveglianza, abbia imparato qualche parola umana; forse anche qualche innocua parolaccia. Ma non credo sappia il significato del termine epistocrazia. Epistocrazia, ovvero il governo dei sapienti, o più propriamente una società dove ha diritto di voto solo chi possiede la conoscenza delle cose. Per taluni la salvezza, di fronte alla partecipazione al gioco democratico di gentaglia che esibisce idee bislacche o violente; di quelli che sono facile preda dei populismi beceri e razzistoidi; degli imbecilli (perdiana, votano anche loro!) che trovano inaspettati legami tra vaccini, George Soros e rete telefonica 5G. C’è anche la variante epistocratica più ipocrita, quella che appartiene a buona parte della sinistra: noi siamo gente seria, l’ultimo baluardo prima del degrado; pazienza se non abbiamo molte idee, ora dovete scegliere tra loro e noi. In genere non finisce come si auspica, e governano i barbari; fino al successivo gioco di palazzo che rimescola le carte e riporta i sapienti in auge.
In realtà, commentatori autorevoli sostengono che una certa dose di epistocrazia ci sia anche nelle democrazie più sbracate, quelle che possono degenerare nella volgarità. Ad esempio, le istituzioni di garanzia come la Corte Costituzionale sono composte da gente non eletta, che ha vinto un concorso, che ha un’indubbia competenza. Sono loro, la barriera. I giornali sono altri contropoteri che dovrebbero evitare il cortocircuito tra vaccini e 5G. L’arrivo del coronavirus, poi, ha dilatato all’inverosimile la richiesta di epistocrazia indiretta: tutti i ministeri più importanti, ogni Regione (che ha competenza in ambito sanitario) e la Protezione Civile si sono dotate di commissioni tecniche di esperti. Virologi e medici sono da settimane in televisione. I temi trattati, anche su facebook, hanno preso una piega davvero inaspettata: si discute di epidemiologia, di sensibilità e selettività degli esami sierologici, di permeabilità del tessuto delle mascherine. Sui giornali ci sono simulazioni degli starnuti in metropolitana, con nubi di inquietanti goccioline che si spargono in tutte le direzioni. Viene voglia di portarle sempre, le mascherine, in metropolitana, COVID o non COVID. Anche il gatto preside, se potesse seguire la TV, avrebbe di che preoccuparsi: il coronavirus si diffonde anche ai gatti, che apparentemente possiedono recettori cellulari del virus simili agli umani. La conoscenza sanitaria è diventata un valore così elevato che anche i politici hanno cominciato ad adeguarsi.
Sono un ricercatore: dovrei essere proprio io a lamentarmi che l’algebra di R0 vada a sostituire in televisione qualche reality? No, no, per carità, e lo dico con sincerità. Ben venga la conoscenza, finalmente. Però, ci sono aspetti della realtà attuale che suonano un po’sinistri.

Le persone crescono a Scuola (se ci vanno) con l’idea che conoscenza faccia rima con responsabilità. Invece, l’epistocrazia all’italiana si basa su due presupposti fondamentali: l’obbligo di de-responsabilizzarsi e, nel dubbio, dire no. L’ultimo giorno di scuola, ad esempio, è logico derubricarlo (e stigmatizzarlo) come attività potenzialmente rischiosa se si guarda ai bambini e alle loro famiglie come corpi che potenzialmente sono infettabili. Se però si considera che la società è fatta anche di interazioni, sogni, aspettative, insomma: cultura, non lo so mica da che parte penda la bilancia. Invece siamo prigionieri del presente, peraltro con distorsioni inaccettabili. Per esempio, l’aiuto economico ancora non è arrivato a tutti. Per esempio, da settimane ci si balocca in Parlamento con la data delle elezioni e sulla legittimità dei DPCM. Per esempio, non esiste collaborazione tra opposizioni e governo. Per esempio, si propongono osservatori della movida (proibita). Per esempio, abbiamo le conferenze stampa di un premier da canale di reality. Per esempio, arriviamo ultimi tra i paesi occidentali nel fare la valutazione epidemiologica della penetrazione del virus. Per esempio, non c’è un piano (noto) di cosa fare se il virus dovesse ripresentarsi con una seconda ondata di infezioni. Per esempio, si mette osservazione l’Umbria perché passa da 10 a 20 casi di contagiati in una settimana, ma il fallimento del sistema sanitario lombardo ha invece mille giustificazioni. Per esempio, i Sindaci, invece di occuparsi di questioni che toccano i fondamenti della nostra esistenza come cittadini (e animali) sociali, sono oberati di richieste di protocolli per riaprire sagre, fiere e palestre nel contesto della Fase 2. I cittadini stiano attenti, applichino distanziamento sociale, e poi si dedichino liberamente alla festa pagana di uscita dalla notte del virus. Individualmente.
E poi, eravamo abituati a vedere molti politici litigare faziosamente su tutto in pubblico: ora diamo un caloroso benvenuto anche agli scienziati. Conosco, anche soggettivamente, limiti e vanità di chi fa il mio mestiere; mi piace meno il fatto che ci si nasconda dietro la solita politica per dire: noi analizziamo i dati, le scelte sono vostre. Quali scelte? Se vado da un medico e mi dice che mi devo operare, che scelta ho?
In un suo famoso film Luis Bunuel dipinge magistralmente alcune famiglie borghesi che passano da un evento sociale all’altro; eventi sempre di classe, sempre assolutamente conformi all’etichetta. La polvere è tutta sotto al tappeto. A volte la realtà riemerge, ma viene ricacciata fuori anche con violenza. E, tuttavia, nel passare da un evento all’altro, i protagonisti non riescono mai a mangiare. Parlano, litigano, fanno sesso, si scambiano denaro; ma qualcosa gli impedisce sempre di mangiare. E’ il Fascino discreto della borghesia, il titolo del film.

Adesso noi siamo preda del fascino discreto dell’epistocrazia. Siamo molto eleganti e alla moda, parliamo di R0, ma non riusciamo mai ad assumerci responsabilità. Quelle che si assume il gatto preside, ad esempio.

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