Partiti e politici

Il fallimento di Matteo Salvini

24 Settembre 2015

Si può parlare di fallimento nel caso di un leader che ha preso in mano un partito quando era al 3%, l’ha portato a raddoppiare i consensi nel giro di un anno (alle Europee dello scorso anno) e a ottenere il 15/16% che, secondo i sondaggi, vale oggi la Lega Nord?

Vista così, sembra difficile; soprattutto dal momento che Matteo Salvini è onnipresente in televisione, uno dei più richiesti nei talk show, dei più seguiti sui social network e ormai, inevitabilmente, a guida di un centrodestra che sta cercando senza troppo successo di andare oltre Silvio Berlusconi.

Eppure l’azione politica di Matteo Salvini si scontra con i mille limiti che lui stesso ha imposto al partito, e che piano piano stanno emergendo e ostacolando il progetto nazionale cui lavora ormai da parecchio tempo. Difficoltà esemplificate dal flop del partito iper-personalistico “Noi con Salvini” (che aveva lo scopo di far sbarcare al sud una lista gemella della Lega Nord), di cui oggi – dopo i deludenti risultati delle regionali – non si sente praticamente più parlare.

Le difficoltà, però, si vedono anche in quei sondaggi che per lunghissimo tempo sono stati la benedizione di Salvini, attraverso i quali, settimana dopo settimana, si assisteva alla crescita impetuosa che sembrava non avere fine. E invece, ormai almeno da marzo 2015, la Lega Nord non cresce più. È rimasta bloccata su un comunque lusinghiero 15/16%.

Inevitabile, quando si decide di occupare una posizione di estrema destra e di andare a braccetto con CasaPound; una scelta che può garantire una rapida crescita, soprattutto in periodi di crisi, ma che crea una barriera insormontabile per troppi elettori, limitando così le crescita stessa e, di conseguenza, impedendo di poter realisticamente puntare al governo.

Ma la mancata crescita della Lega Nord salta ancora più all’occhio se si considera che gli ultimi mesi sono stati all’insegna della “emergenza profughi”. Com’è possibile che il partito che più di ogni altro punta sulla paura dell’immigrazione, fino a sconfinare nella xenofobia, non riesca ad avvantaggiarsi di una situazione così difficile come quella cui abbiamo assistito e cui continuiamo ad assistere?

In parte, sicuramente, perché l’elettorato più ostile all’immigrazione – già da prima che scoppiasse la cosiddetta emergenza – si era spostato sulla Lega Nord; in parte (penso) anche perché Salvini in un momento così terribile, così delicato, non è riuscito a imporre la sua narrazione. È, anzi, rimasto “vittima” dell’impeto di umanità che – a fasi alterne e in maniera del tutto emotiva – ha coinvolto buona parte dei cittadini italiani ed europei. Impeto registrato anche dalle solite statistiche sul timore nei confronti dell’immigrazione, che non hanno rilevato nessuna impennata.

Salvini è finito in una sorta di black out mediatico: le sue parole non si sono sentite proprio nel momento in cui sarebbe stato normale che risuonassero più del solito. Non solo: pur di uscire da questo black out è arrivato a dire che ospiterebbe un profugo che scappa dalla guerra “nel suo bilocale”. Un modo per ottenere di nuovo un cono di luce, visto che fino all’altroieri non faceva altro che ripetere “ospitateli a casa vostra” a tutti quelli che contestavano la sua linea sui profughi.

Infine, il fallimento di Salvini si osserva anche nella partita che si sta giocando a Milano – territorio d’elezione di Salvini, che qui è stato per anni consigliere comunale – in vista delle elezioni del prossimo anno. Mentre il centrosinistra lavora incessantemente (e non senza intoppi) per trovare un possibile successore di Pisapia, il centrodestra è ancora fermo al palo.

Peggio ancora (per Salvini): la Lega Nord, ovvero il partito nettamente più forte dell’intero centrodestra, non è in grado di esprimere nemmeno un possibile candidato (se non con l’idea, accantonata, che l’onere lo assuma Salvini stesso, rischiando non poco). Se si parla di possibili candidati del centrodestra, si fanno i nomi di Paolo Del Debbio (che sarebbe in quota Forza Italia), addirittura di Silvia Sardone (Forza Italia), pure di Maurizio Lupi (Nuovo Centrodestra, arcinemico della Lega).

Dal Carroccio non giunge nemmeno un nome. Segno che nel partito iperpersonalizzato di Matteo Salvini non c’è traccia di quella classe dirigente che è invece cresciuta all’ombra di Bossi e Maroni e che ha garantito alla Lega di poter vivere la sua seconda giovinezza. Fa ancora più impressione che questo si stia mostrando in tutta la sua evidenza nella città in cui la Lega Nord, nel 1993, elesse il primo sindaco di Milano del centrodestra: Marco Formentini.

@signorelli82

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