Partiti e politici

Il dilemma della Lega: Salvini o Zaia?

10 Maggio 2020

Salvini e la Lega sono un po’ in crisi di consensi, da un paio di mesi a questa parte, come ho ricordato settimana scorsa qui, su Gli Stati Generali. Dopo la buona performance elettorale delle ultime politiche del 2018 e l’ottima prova delle europee dello scorso anno, oltreché delle diverse amministrative, accompagnate dal diffuso sostegno al governo giallo-verde, qualcosa si è incrinato nel rapporto tra gli italiani e quel partito.

Una discesa repentina, nelle diverse dichiarazioni di voto demoscopiche, che hanno visto la Lega perdere almeno 5-6 punti percentuali da fine febbraio ad oggi, più o meno in corrispondenza (e la coincidenza non è certo casuale) della fase caratterizzata dallo scoppio e dalla successiva escalation della pandemia del Corona. Salvini si è trovato un po’ spiazzato dal fenomeno socio-sanitario, sia dal punto di vista comunicativo che da quello più specificamente politico e programmatico. Non sembrano funzionare più né le sue parole né le sue proposte, o quanto meno funzionano peggio di un recente passato, quando il leader leghista pareva in grado di dettare i temi e l’agenda politica del nostro paese, ben intercettando le paure degli elettori.

Alcuni analisti sottolineavano peraltro che quei timori fossero ingigantiti o addirittura creati a regola d’arte da Salvini stesso, proprio per poter dare risposte funzionali al bisogno di sicurezza in un mondo pieno di ipotetiche insicurezze crescenti. Ma da quando paure e timori sono divenuti reali, con i pericoli di contagio e di morte così diffusi, parole e proposte salviniane paiono non incontrare più le richieste e le attitudini della popolazione. I possibili aiuti economici europei, in cui tanti sperano per risollevare il paese dai problemi economici e sanitari, sono diventati quotidianamente materia di scontro con il governo e con la stessa UE, non per “migliorarli” con le doverose contrattazioni, ma per rifiutare tout-court le offerte, dichiarate irricevibili.

Ma contare unicamente sulle proprie forze, pensano gli italiani, potrebbe non essere sufficiente, e le idee di Salvini a questo proposito non incontrano il loro favore, per una larga maggioranza. L’attuale leader leghista non “funziona” più come prima, dunque, tanto che alcuni commentatori hanno iniziato ad ipotizzare che, per mantenere elevata la fiducia nella Lega, sia forse meglio cambiare cavallo, da Salvini a Zaia. Zaia è stato uno dei pochi Presidenti regionali che sia riuscito a governare con buoni risultati la pandemia avanzante, secondo l’opinione pubblica, ed è diventato in breve tempo uno degli uomini politici giudicati più favorevolmente dai cittadini, con un tasso di fiducia secondo solamente a quello di Conte. Perché dunque non affidarsi a lui, per cercare di riprendersi i consensi perduti?

Per un motivo molto semplice, come ha ricordato in un bell’articolo su Italia Oggi del 9 maggio Martino Loiacono: con Zaia, la Lega tornerebbe ad essere confinata nell’area settentrionale del paese, perdendo quell’afflato nazionale portato da Salvini, unica possibilità per diventare il partito egemone nella coalizione di centro-destra. Il miglioramento della sua performance nordista non riuscirebbe a supplire al peggioramento di quella meridionale.

Il confronto tra la Lega “bossiana” e quella “salviniana” è facile da effettuare: nel massimo splendore di Bossi (nel 1996 e poi ancora nel 2008), la Lega Nord aveva un bacino elettorale nelle regioni settentrionali pari al 98% del totale dei suoi voti. Nel 2018, la prima elezione con Salvini leader, già questa quota nordista si era ridotta al 60%, diventata poi del 52% alle europee e, nelle odierne dichiarazioni di voto, è addirittura scesa sotto il 50% dei votanti. Oggi dunque, il bacino più corposo leghista proviene non più dal Nord ma dal resto dell’Italia, e la Lega è diventata un vero partito nazionale, quanto meno dal punto di vista elettorale.

L’afflato troppo veneto-centrico di Zaia, sebbene molto ben accetto dai suoi corregionali e anche dalle altre regioni settentrionali, riporterebbe la Lega entro i suoi antichi confini, non permettendo quel salto nazionale capace di portarla ai vertici della politica italiana. Meglio allora perdere qualche consenso oggi, cercando di recuperarlo in una prossima “fase 3”, che snaturare il percorso individuato da Salvini, sempre ovviamente se ci riuscirà.

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