Partiti e politici
Il conte, il commissario e la “Camera dei mercati”
Il Conte ed il Commissario, ovvero di come emerse la “Camera dei mercati” in una banale giornata di maggio.
Queste giornate di fine maggio saranno inevitabilmente di forte contrapposizione, che si espliciterà (e poi sfumerà) nel classico derby tra opposte tifoserie, oppure nella forma d’un alienato repulisti delle liste degli amici su Facebook. In questo speciale girone calcistico, da un lato vi è chi oggi agita la bandierina del fuorigioco alla sovranità popolare, dall’altro chi esalta lo stop di petto del presidente. Era rigore? Insomma è un giorno caldo al bar sport politico del belpaese. Pochi riascoltano con attenzione il discorso di Mattarella (*), pochi cercano sul sito del fondo monetario internazionale il curriculum di Cottarelli o le voci minacciose del suo think tank neoliberale (*), pochi riflettono sull’operazione politica portata avanti dal quirinale. Perché gli italiani in fondo non amano molto la politica, con i suoi equilibrismi ed eterno divenire, dove il giallo non è mai completamente giallo ed il rosso rosso, magari amano piuttosto l’azzeccagarbuglite normativa, la competizione, magari la tattica, ma disdegnano la politica, come metodo d’analisi del divenire sociale.
Torniamo allora al punto critico, politico di questa vicenda: Perché Mattarella ha respinto questo governo? Fondamentalmente questo respingimento è stato motivato da un preciso indirizzo di natura appunto politica, non tecnica. Si può discutere se un “niet” di questo tipo ad una nomina ministeriale chiave, qualora essa sia ritenuta imprescindibile dal Presidente del Consiglio in pectore, pertenga o meno alle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica (i precedenti citati sono tutti fondati su basi tecniche o d’opportunità, non su indirizzi programmatici, e riguardarono i ministeri della giustizia e della difesa, giammai gli esteri o l’economia), ma una riflessione sui moventi “politici” dell’azione di Mattarella al momento non interessa troppo le tribune dei suoi sostenitori al bar. Un sottotesto sembra dire “non importa, l’importante che se la piglino in quel posto”, e questo tristemente ci ricorda i canti sotto le finestre del quirinale il giorno dell’incoronazione di Mario Monti, il giorno in cui Silvio non se l’era poi “presa in quel posto”, quanto piuttosto ci arrivò una bella stangata dal “commissario” del gran capitale.
Che questo governo potesse rappresentare oggettivamente una jattura, anche solo per la flat tax, non cambia in nulla il segno dell’operazione politica del Presidente; egli ha infatti agito con finalità chiare, rivendicate, e a conferma degli intenti, le sue stesse parole, che vanno rilette con attenzione: “Ho chiesto, per quel ministero, l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza […] [che] non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell’Italia dall’euro. […] L’incertezza sulla nostra posizione nell’euro ha posto in allarme gli investitori e i risparmiatori, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende. L’impennata dello spread, giorno dopo giorno, aumenta il nostro debito pubblico e riduce le possibilità di spesa dello Stato per nuovi interventi sociali. Le perdite in borsa, giorno dopo giorno, bruciano risorse e risparmi delle nostre aziende e di chi vi ha investito. E configurano rischi concreti per i risparmi dei nostri concittadini e per le famiglie italiane. Occorre fare attenzione anche al pericolo di forti aumenti degli interessi per i mutui, e per i finanziamenti alle aziende. In tanti ricordiamo quando – prima dell’Unione Monetaria Europea – gli interessi bancari sfioravano il 20 per cento. È mio dovere, nello svolgere il compito di nomina dei ministri – che mi affida la Costituzione – essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani. […] Quella dell’adesione all’Euro è una scelta di importanza fondamentale per le prospettive del nostro Paese e dei nostri giovani”.
A poco vale ricordare oggi il precedente celebre caso Scalfaro-Berlusconi-Previti del 1994, allora il Presidente della repubblica mosse una formale critica “di garanzia” circa l’opportunità d’una nomina a ministro della Giustizia dell’avvocato difensore dello stesso premier, ed indusse Berlusconi a dirottarlo alla Difesa (*). No, il caso di oggi è completamente diverso; qui con tutta evidenza non si tratta di una iniziativa da “Garante istituzionale”, si tratta piuttosto di uno stop esplicitamente tarato sulle conseguenze economiche ipotizzate a seguito d’una determinata “nomina” politica. D’una possibile “risonanza” negativa dei mercati ad una direzione politica. A sigillo e conferma di questa precisa volontà lo stesso immediato incarico a Cottarelli, ex “ministro forbici” del governo Letta, catapultato direttamente dal fondo monetario internazionale.
Ma il Presidente della Repubblica, almeno in Italia, non svolgeva funzioni di indirizzo politico. Gli articoli 1, 55, 70 e 139 della Costituzione e sopratutto gli articolo 87 ed 88 gli precludono questa prerogativa. Da qui il carattere innovativo, rivoluzionario di questa azione.
Cari sostenitori del Presidente. Dismettete per un secondo la maglia del Palermo e osservate a volo d’uccello l’operazione “politica” di Matterella. Essa eleva a valori costituzionali lo spread, la reazione dei mercati, il contenimento dell’inflazione, l’area euro, la tutela dei risparmi. Lega cioè le agende di governo a dei pivot che evidentemente non hanno attualmente alcuna caratura costituzionale. Nessuna di queste voci fa oggi parte integrante della Costituzione, nè di alcun trattato da essa recepito ai sensi dell’art.11 della stessa carta; da parte dei protagonisti pentaleghisti non si è posta in essere alcuna azione (che sia documentabile) di messa in discussione d’un qualche cardine costituzionale. Perciò provate a rifletterci; dopo oggi, anche un mero programma redistributivo keynesiano, di per sé perfettamente costituzionale, che venisse filtrato alla luce di queste nuove e strette maglie mercantili, evidentemente già domani non lo sarebbe più, per il semplice fatto che inevitabilmente politiche sociali di questo tipo incontrerebbero senz’altro l’ostilità dei mercati, ovvero dei centri di potere elevati da Mattarella a rango neocostituzionale. Nella Costituzione reale del paese é avvenuta l’affermazione, prima sottocutanea, oggi palese, di una sovradeterminazione macropolitica alle prerogative di governo, una dimensione nella quale un potere nuovo, emergente, pretende di affermare la propria “camera di rappresentanza”, ex ante, capace di esplicitare il proprio posizionamento negli attuali equilibri, forzando allo scopo le prerogative del Presidente della Repubblica. Ed è precisamente alla luce di questo, che gli eventuali tatticismi e rigidità Salviniane (volte al ritorno alle urne), gli stessi risultati elettorali, le prerogative tecniche (o meno) del Presidente, ovvero tutte queste effimere quotidianità, appaiono per quello che sono, minuzie, quisquiglie, boutade della domenica sportiva, rispetto all’enormità del processo di innovazione politica che circonda questi fatti di cronaca.
É precisamente in quell’alibi giustificativo, in quelle stesse righe del Presidente, che si esplicita oggi una vera faglia postdemocratica, che rappresenta una novità davvero cataclismatica, della cui portata molto presto ci accorgeremo, perché essa è la prima asseverata con tale rilevanza, almeno in Italia. Nemmeno il governo Monti nel 2011 rappresentò una tale rottura dell’ordine costituzionale (essendo allora Berlusconi dimissionario), mentre questo stop di oggi, si, indubbiamente rappresenta un cambio di passo. Solo l’agenda Tsipras, dettata a Varoufakis nelle notti del drammatico negoziato con la Troika (FMI, CE e BCE) nel 2015, ha una dimensione innovativa comparabile (*). L’enormità di un ministro rifiutato per “le possibili reazioni negative dei mercati” alla sua nomina, in base ad un processo preventivo alle intenzioni non dichiarate, pone la stessa maggioranza parlamentare, ovvero la sovranità rappresentativa, in uno stato di fattuale subordinazione ad una novella e volubile “Camera dei mercati”. L’emergere di questi poteri nuovi, capaci di tale rivoluzionaria formalizzazione sovracostituzionale (qui citare l’art. 81 non è ovviamente pertinente) é un fatto senza precedenti nella storia repubblicana. La successiva iniziativa Cottarelli rappresenta semplicemente la formalizzazione di questo trasferimento di potere dai centri dalla sovranità rappresentativa a quelli della sovranità percettivo-finanziaria.
Quello di Conte non sarebbe stato un governo di alternativa, ma non è certo questo il punto centrale, guardiamo oltre. L’iniziativa di indirizzo politico di Mattarella, chiaramente, mostra piuttosto il segno di un passaggio di fase, in cui alla stessa sovranità popolare, alle sue maggioranze rappresentative, si affianca un ulteriore filtro mercantile, in sostanza preannunciando la bocciatura preventiva di ogni possibile alternativa, almeno per via elettorale, al neoliberismo. Questo è il fulcro di quello che è successo ieri, un cambio di passo che ovviamente sarà gravido di conseguenze.
Post edit, 29 maggio: Usciva contemporaneamente a questo articolo un comunicato dell’associazione nazionale giuristi democratici, che contiene molte delle osservazioni che trovate nel testo, ne riporto pertanto alcuni passaggi salienti: “[…] il Presidente della Repubblica non può intervenire, se non con una moral suasion. Nell’esercizio della sua funzione di garanzia deve impedire abusi, per esempio rifiutando la nomina di persone che non diano affidamento di adempiere le funzioni pubbliche con disciplina ed onore, come richiede l’art. 54 della Costituzione, ma non può imporre correzioni dell’orientamento politico espresso dalla maggioranza. La motivazioni addotte dal Presidente Mattarella per giustificare il suo veto alla nomina di Paolo Savona, al contrario, tendono ad affermare che il potere di scelta dei ministri, sotto il profilo dell’opportunità e delle opinioni politiche, spetti al Presidente della Repubblica. Non convincono poi le ragioni addotte. Quando il Presidente dichiara che: “la designazione del ministro dell’Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari”, facendone da ciò discendere il rifiuto della nomina di Paolo Savona, attribuisce agli “operatori economici e finanziari” un potere di interferenza nei meccanismi della democrazia costituzionale che non ha ragione di essere. Secondo il nostro ordinamento sono le scelte degli elettori che determinano la nascita del Governi, non le reazioni dei mercati finanziari.”
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