Partiti e politici
il congresso del pd è già finito
Nell’indifferenza generale si è conclusa la prima fase del congresso del Pd, quella della votazione degli iscritti.
Stando ai dati ancora ufficiosi, avrebbero partecipato circa 270mila tesserati: furono circa 300mila nel 2013 e quasi 460mila nel 2009. Una tendenza che potrebbe preoccupare un Segretario uscente meno vincista ed egocentrico di Renzi, che invece ha commentato entusiasta il suo ottimo risultato (anch’esso ancora ufficioso): “68%, numeri impressionanti”, ha scritto su Instagram (en passant prendiamo nota del cambiamento di social network, che sarà probabilmente la novità più significativa di questa campagna congressuale).
Altri numeri impressionanti sono attesi per la fase teoricamente più avvincente: quella del voto degli elettori democratici, spesso definita “le primarie del Pd” (perché il Segretario è automaticamente il candidato premier del partito). L’asticella dell’affluenza viene posta a due milioni di voti, cioè a -800mila rispetto a quella del 2013; ma alcuni sondaggi suggeriscono che essa potrebbe attestarsi intorno al milione e mezzo, un vero e proprio crollo.
Eppure lo stato maggiore del partito non sembra darsene pensiero; anzi, l’impressione è che si punti a liquidare frettolosamente la gazebata, quasi fosse una formalità da sbrigare. La ragione è evidente: le ultime consultazioni (il referendum del 17 aprile e quello del 4 dicembre) sono state nettamente sfavorevoli per il Pd e per il suo (allora) leader e c’è il fondato il timore che il 30 aprile possa manifestarsi un voto anti-renziano del tutto strumentale.
Per questo il Congresso del Pd, che quattro anni fa riempiva i talk show e le pagine dei giornali, oggi è raccontato con parsimonia e persino le campagne degli aspiranti segretari appaiono sottotono: in particolare quella di Renzi, che ha rinunciato alla consueta tournée teatrale e per il momento resta lontano dalle luci del palcoscenico. Il Segretario uscente sa bene che può contare su una solida platea di fans, che potrà essere mobilitata con poche apparizioni pubbliche dell’ultimo momento, e su una altrettanto solida base di iscritti che, pur non amandolo, hanno capito che solo una sua netta vittoria congressuale può salvare il partito dall’affondamento; è quanto basta per ottenere il risultato voluto, senza correre il rischio di svegliare il can che dorme dell’elettorato ex democratico.
Tutto lascia immaginare che i risultati dei gazebo saranno analoghi a quelli di oggi: bassa affluenza e trionfo di Renzi con oltre il 60%. Solo allora partiranno la narrazione del grande successo e la celebrazione del voto palingenetico degli elettori: e pazienza se, alla fine dei conti, Renzi avrà ottenuto tra il milione e il milione e mezzo di voti, cioè ne avrà persi tra i 400 e i 900mila in soli 3 anni e mezzo. Numeri impressionanti, appunto, ma non abbastanza per impressionare il vincitore.
La rielezione di Renzi è dunque talmente scontata che non varrebbe neppure la pena di seguirne il rituale, se non fosse per l’allarme che risuona da questa stanca campagna. Se neppure il procedimento democratico più importante nella vita del più grande partito italiano è in grado di produrre contenuti politici innovativi e di suscitare interesse e partecipazione, significa che la nostra democrazia è davvero gravemente malata: gli elettori hanno ormai così poca fiducia nelle istituzioni che rinunciano a concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale (art.49 della Costituzione).
All’indomani del 30 aprile, dietro le fanfare del carro del trionfo di Renzi, potrebbe intravvedersi un enorme, desolante vuoto. Speriamo che qualcuno sia in grado di riempirlo prima che lo facciano i nostri demagoghi (populisti ormai è un termine inadeguato a descriverli), quelli che già ci sono e quelli che potrebbero arrivare
((immagine da Europa Quotidiano)
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