Partiti e politici
Il caso Grillo e lo scontro politico e morale consumato sul corpo di una donna
“Se l’accusato fosse stato il figlio di Matteo Renzi?”. È la domanda più ricorrente che si legge negli accesi scontri tra opposte tifoserie che si consumano sulle piazze social quando viene trattato il processo che coinvolge Ciro – figlio di Beppe Grillo – e i suoi tre amici Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, accusati di stupro di gruppo da Silvia, una giovane ragazza italo svedese.
Un processo in cui lo stesso lavoro dell’accusa e della difesa subisce oggi l’intralcio della sovraesposizione mediatica e della folle politicizzazione di una vicenda che con la politica non dovrebbe aver nulla a che vedere, ma in cui la politica è entrata a gamba tesa: da una parte la delirante difesa del figlio da parte del comicoleader genovese – lui che negli anni emetteva condanne ed esponeva a pubbliche gogne chi riceveva un avviso di garanzia per abuso d’ufficio – dall’altra il giustizialismo da “specchio riflesso” di tanti ex garantisti di professione che da tempo aspettavano di ripagare con la stessa moneta il padre poco nobile del partito giustizialista per eccellenza. A condire il tutto la scelta della leghista Giulia Bongiorno di entrare nel processo in veste di avvocato della giovane: tutto lecito ma forse inopportuno.
C’è poi il moralismo di quel solito pezzo di Italia che vuole farsi giudice di come una donna sceglie di vivere la sua sessualità: da una parte i commenti bigotti di chi, per difendere i quattro accusati, dipinge la presunta vittima come un a poco di buono dagli “insaziabili desideri sessuali” (cit. Corriere della Sera), dall’altra quelli di chi, seguendo lo stesso pregiudizio, sostiene che una donna che fa sesso di gruppo è sicuramente una vittima di stupro perché “ma ti pare?”. In realtà, che piaccia o no, il sesso di gruppo è molto più diffuso di quanto si possa credere, sia nelle abitazioni private, dove lo fanno gruppi di amici, coppie aperte o semplici sconosciuti che hanno voglia di svagarsi, sia in locali in cui in tempi non pandemici migliaia di persone di tutte le età si incontrano per farlo. Giusto? Sbagliato? Immorale? Perverso? Non è un problema del popolino, ognuno col suo corpo fa ciò che vuole: il processo di cui fin troppo si sta discutendo serve proprio a decidere se Silvia quel sesso di gruppo voleva farlo o se è stata indotta a farlo in modo illecito.
Il corpo di una donna che denuncia uno stupro non è una banca, non è una fondazione: ridicolo mettere sullo stesso piano reati così diversi tra loro per animare il solito gioco delle parti di chi, non avendo grandi idee, sposta il dibattito pubblico nelle aule dei tribunali. Il corpo di una donna che denuncia uno stupro non è un racconto erotico da dare in pasto a masse sessualmente represse: ignobile raccontare in modo quasi ossessivo, sui giornali e in tv, i particolari della presunta violenza subita da una persona, perché quei riflettori possono essere un danno ulteriore a chi ha già vissuto un dramma. Il processo che coinvolge Ciro Grillo è un crocicchio di tutti i peggiori vizi che affliggono l’opinione pubblica, la politica, un certo giornalismo: vizi assai più perversi del sesso di gruppo e decisamente meno piacevoli; vizi che non hanno colore politico e dove i ruoli cambiano rispetto al nome più o meno eccellente che finisce nel tritacarne mediatico. Se l’accusato fosse stato il figlio di Matteo Renzi, assisteremmo, purtroppo, alle stesse scene indegne.
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