Partiti e politici
Il caso di Via Craxi: la toponomastica tra Politica, Storia e Riconciliazione
La decisione dell’amministrazione di Sesto San Giovanni di intitolare una via a Bettino Craxi ha riacceso una polemica vecchissima. Non è infatti la prima volta che, fra Milano e provincia, si propone o si decreta l’intitolazione di un luogo pubblico all’ex segretario del Partito Socialista Italiano e Presidente del Consiglio. I tentativi, riusciti o meno, di dedicare una strada, una piazza o un parco a Craxi hanno sempre suscitato un aspro dibattito, sia fra i politici che tra i comuni cittadini.
Così Roberto Di Stefano, sindaco di Forza Italia di Sesto San Giovanni, ha motivato il mese scorso l’iniziativa, poi concretizzatasi il 9 febbraio: “L’intitolazione di una via a Craxi è innanzitutto il riconoscimento a un politico e rappresentante delle istituzioni del nostro Paese che iniziò il proprio percorso a Sesto San Giovanni come dirigente locale della sezione del Psi e che, anche lontano da Sesto San Giovanni, ha sempre dimostrato con azioni importanti e concrete la propria vicinanza alla nostra città”.
Di Stefano ha anche subito messo le mani avanti, conscio che una simile azione avrebbe causato malumori da più parti: “Nel 2010 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dichiarò che ‘la figura di Craxi non può venir sacrificata al solo discorso sulle sue responsabilità sanzionate per via giudiziaria’. Craxi va considerato come figura di leader politico e di uomo di governo impegnato nella guida dell’esecutivo e nella rappresentanza dell’Italia sul terreno delle relazioni internazionali. Il nostro Stato democratico non può consentirsi distorsioni e rimozioni del genere”.
Le parole pronunciate otto anni fa dall’ex Presidente della Repubblica hanno senz’altro un fondo di verità. Nessun personaggio storico può essere ridotto a questa sua azione o all’altra, a un lato piuttosto che a un altro della sua personalità. E d’altro canto anche il discorso di Di Stefano potrebbe sembrare accettabile. Nel bene o nel male, Craxi ha segnato la storia italiana. Deputato per sette legislature di seguito, Presidente del Consiglio dei Ministri per quasi quattro anni di fila, segretario del terzo partito più importante della nazione dal 1976 al 1993, ha senza dubbio dato una svolta al modo di intendere la politica. Piero Fassino, ad esempio, dice di lui: “Craxi è stato un politico della sinistra, nel solco della storia del socialismo riformista. Ha rivitalizzato il Psi, ha intuito prima di altri quanto l’Italia avesse bisogno di una modernizzazione economica e istituzionale”. Nichi Vendola, dal canto suo, sostiene che “Craxi abbia interpretato un’idea della modernizzazione dell’Italia che in qualche maniera era dentro il tempo in cui cominciava ad aprirsi la stagione della globalizzazione liberista”.
Di certo, sul modo in cui l’opinione pubblica percepisce Craxi grava una fine davvero ingloriosa. Una condanna a cinque anni e sei mesi per corruzione nel processo ENI-SAI, quattro anni e sei mesi per finanziamento illecito per le tangenti della Metropolitana Milanese. Dieci anni precisi di condanne, che Craxi non ha mai scontato, diventando latitante e sfuggendo alla giustizia italiana rifugiandosi ad Hammamet, in Tunisia, dove muore nel gennaio del 2000.
Una figura quindi ambigua e controversa e, soprattutto, con la fedina penale macchiata di peccati capitali, almeno per un politico. Non c’è quindi da meravigliarsi se in un contesto come quello italiano, in cui la corruzione e i guai giudiziari e la scarsa trasparenza dei partiti politici sono avvertiti come un problema da un’ampia parte della popolazione, l’idea di intitolare una strada a un soggetto come Craxi faccia storcere il naso a molti. Da qui la domanda base: “Come si valuta se dedicare o no una via a un personaggio?”
Per rispondere al quesito bisogna ben avere in testa una scala di valori e di significati, perché è in base a queste che poi si può giungere a valutazioni diverse sulla stessa materia. Per quanto riguarda in particolare i secondi, nella fattispecie ci si dovrà chiedere che cosa significhi, nella percezione individuale e soprattutto in quella collettiva, e che importanza abbia dedicare un luogo pubblico a qualcuno.
Per alcuni, forse per la maggioranza, intestare una strada a una persona è una sorta di attestato di merito, una certificazione che quell’uomo o quella donna possono svolgere da modello positivo per le generazioni che verranno. La possibilità di ricevere questo attestato di merito dipende da quanto il soggetto candidato si conformi alla gerarchia di ideali che i valutatori hanno in mente. Il 22 gennaio del 2017, su Famiglia Cristiana, proprio in merito all’ipotesi di una via per Craxi, Elisa Chiari scrive: “Un conto, infatti, è il giudizio sull’operato politico di una persona, sul quale ognuno è libero di pensare ciò che crede. Tutt’altro conto è dedicare una strada o un luogo pubblico: quello è un onore extra che le istituzioni fanno a qualcuno che ritengono meritevole. E qui sta il nodo: possono le istituzioni onorare qualcuno che delle istituzioni medesime ha rifiutato le regole?” Data questa premessa è inutile sottolineare che la risposta dell’autrice è negativa.
Il 2 gennaio 2010, sul sito difesadellinformazione.com, l’avvocato Antonello Tomanelli pubblica un interessante articolo dal titolo Una strada a Craxi: l’omaggio del sindaco a chi è morto delinquente. Tomanelli affronta l’argomento con un approccio giuridico, evidenziando come ancora oggi l’intitolazione di strade, piazze e monumenti sia regolata da una legge vecchissima che risale addirittura al regime fascista, la 1188/1927. Un provvedimento che aveva il fine di “rimuovere il ricordo di chi non era gradito al neonato regime”. “Una legge distruttiva” prosegue l’autore, che non si preoccupava affatto di “guidare le amministrazioni locali nella scelta dei criteri da adottare per consegnare degne personalità alla memoria delle future generazioni”. Questo ha portato a un vuoto normativo, che “ha consentito ad alcune amministrazioni, da ultimo quella di Milano, di dedicare strade al pregiudicato Bettino Craxi” (in realtà nel capoluogo meneghino ancora non esiste una via intitolata a Craxi). Una decisione che, al contrario andrebbe presa “sull’ovvio presupposto che una strada o una piazza debbano essere intitolate a soggetti che possano fungere da modello per le generazioni future”. Come volevasi dimostrare. La questione andrebbe risolta dal punto di vista legale, secondo Tomanelli, guardando alla legge 13/1958, inerente la “concessione di ricompense al valore civile”, attraverso medaglie concesse a singoli individui per premiare ” atti di eccezionale coraggio che manifestano preclara virtù civica e per segnalarne gli autori come degni di pubblico onore”. L’articolo 11 prevede però che: “Non possono conseguire ricompense al valor civile e, avendole conseguite, le perdono di diritto coloro che siano incorsi nell’interdizione perpetua dai pubblici uffici”. A quest’ultima Craxi è andato incontro con le sue condanne, perdendo così qualsiasi diritto a vedersi tributare un luogo pubblico.
Un ultimo esempio non riguarda Craxi, ma Giorgio Almirante. A Luino, in provincia di Varese, l’ex consigliere Mario Contini ha proposto di intitolare una via al leader storico del Movimento Sociale Italiano. La risposta dell’ex vicepresidente del consiglio comunale Alessandro Franzetti, riportata da VareseNews, appare chiara: “Ritengo estremamente sbagliata la proposta dell’ex consigliere Contini di intitolare un luogo pubblico a Giorgio Almirante, che nel 1938 fu uno dei firmatari del ‘Manifesto della Razza’ e fu poi segretario di redazione della rivista ‘La difesa della razza’. “Soprattutto in un periodo come questo” prosegue Franzetti “c’è bisogno di proposte inclusive e abbiamo bisogno di esempi positivi”.
Esistono però – e per certi versi per fortuna – modelli diversi di pensiero. Il 2 gennaio 2010 su macchianera.net Filippo Facci pubblica un articolo dal titolo «Via Stalin» invece va bene. A inizio secondo paragrafo scrive: “Bettino Craxi, ‘latitante’, è lo statista che negli anni Ottanta ha portato il nostro paese al quarto posto mondiale e che ci ha strappato a una prospettiva greca o polacca: e Stalin? Che cosa gli dobbiamo? Erano latitanti o condannati anche Silvio Pellico o Giuseppe Mazzini, mentre è assodato che Giulio Cesare prosperò anche grazie alle ruberie di Crasso, e allora che facciamo?” Dimenticando di evidenziare le enormi differenze tra le fattispecie di Pellico, da un lato, e di Craxi dall’altro. Patriota il primo, condannato per cospirazione contro un regime oppressore, quello austriaco; politico il secondo, condannato in un contesto democratico per corruzione e finanziamento illecito ai partiti, come già ricordato. Tuttavia subito dopo aggiusta il tiro e pone una questione interessante: “[…] soppesare col bilancino storico il peso effettivo della toponomastica italiana rischia di far dimenticare che i nomi per vie e piazze non sono mai stati scelti con ricerca storiografica ma con lottizzazione partitica e correttezza politica e ignoranza storica, se non storica ignoranza”.
Già, perché stabilire chi, in base ai suoi meriti, può avere l’onore di vedersi intitolato un luogo pubblico, significa per proprietà transitiva determinare quali sono quei valori che la comunità deve perseguire, e qui entriamo con tutta evidenza nel campo della politica. Facci, al contrario, sembra proporre un altro criterio, quello del ruolo storico del personaggio in esame. Si scaglia infatti contro “gli ovattati benpensanti alla torinese” che “cincischiano nella loro narcotica correttezza politica e, nel respingere una ‘Via Craxi’, ne propongono una dedicata ad Alda Merini”. Nulla da obiettare contro la Merini, anzi: “Va benissimo, come tutto ciò che da noi è inoffensivo e gradevole senza tuttavia incidere né fare la storia di niente”. Ecco quindi un nuovo possibile criterio di scelta: quello del ruolo storico. Intitolare una via a un soggetto, a livello di significato, vuol dire riconoscerne l’importanza nel corso degli eventi di una città, una regione o una nazione. Sul piano dei valori è questa rilevanza oggettiva e asettica il criterio della scelta. Se la persona in questione abbia compiuto delle azioni considerabili come positive o negative dalla società, in questo contesto non interessa più. Certo, se si decide di applicare questo metodo bisogna poi essere coerenti. Facci, invece, nel suo scritto sembra criticare l’intitolazione di una via a Stalin – considerato un sanguinario dittatore – mentre pare approvare l’idea di una strada per Craxi – ritenuto una figura importante della nostra Storia.
Un’argomentazione simile, ma nel complesso molto più ordinata di quella di Facci, viene proposta su Fanpage da Marcello Ravveduto, in Bettino Craxi e la toponomastica, il simbolo di una crisi irrisolta. Scrive l’autore: “Ogni volta che si tenta di inserire Craxi nell’Empireo degli italiani memorabili si rinfocola l’Italia dei Guelfi e dei Ghibellini”. La ratio di partenza è ancora una volta quella secondo cui una strada andrebbe intitolata, nella nostra nazione, agli “italiani memorabili”, quelli che hanno lasciato un segno nella Storia del Belpaese. Ma perché con Craxi ci sono così tante difficoltà? Questa è la teoria di Ravveduto: “Non riusciamo ad uscire dalla logica dell’uso pubblico. Sia un fatto storico o un personaggio di rilievo il vaglio avviene sulla base della vulgata politica del presente che legge in maniera retroattiva il passato in funzione di una tattica/tecnica comunicativa il cui obiettivo non è la conoscenza della storia o la trasmissione della memoria ma il consenso elettorale. Usano una strada o una piazza come se stessero scrivendo un manifesto politico”. Questo è segno di “assenza di cultura storica”. Il nocciolo della questione è però riassunto da Ravveduto in queste parole: “Per questo credo che il dibattito intorno all’affermazione del toponimo di Craxi non sia il tentativo di preservare la memoria biografica di un personaggio di rilievo, ma controverso, sia piuttosto la spia di un irrisolto della storia, di un passato che non passa, di un’elaborazione del lutto rinviata”.
E giungiamo, così, all’ultimo tema di questo nostro excursus: quello della Riconciliazione. Quando, nel caso di Craxi (ma il discorso vale per qualsiasi personaggio storico), si potrà sostenere che quest’ultima è avvenuta? Forse nel momento in cui si sarà in grado di trovare un equilibrio tra la posizione storicista-asettica di Facci e quella “esemplarista” di Chiari, Tomanelli e Franzetti. Più nello specifico, cioè, quando si riuscirà da un lato ad ammettere l’importanza della figura di Craxi nella storia della Repubblica Italiana e, dall’altro, se si giungerà a valutare la sua complessiva azione politica come non eccessivamente sbilanciata dal lato del male. Nella fattispecie craxiana, anche se come si è visto in alcune città già esistono luoghi pubblici dedicati al leader socialista, ci vorrà molto tempo prima che tutta la nazione giunga a tale pacificazione. Anzi, non è detto che ci arrivi mai. La figura di Craxi è divenuta infatti il simbolo di un modello di politica clientelare e corrotta che, nel passaggio fra prima e seconda repubblica, non è mutato e anzi, forse si è persino rafforzato. Modello che oggi è percepito come uno dei mali maggiori della società italiana. “Tangentopoli” specifica Ravveduto “è ancora lì che ci guarda come un virus parassita incollato alle nostre cellule come un elemento genetico della identità nazionale”. Ed è proprio questa la ragione che rende improbabile (ma non impossibile) una riconciliazione di portata nazionale su Craxi. Non è detto che la pacificazione debba avvenire per forza e, soprattutto, non si può sostenere che sia giusto che si verifichi. Certi peccati, forse, sono troppo difficili da perdonare.
Sarà l’universo valoriale degli italiani che abiteranno il Belpaese fra cent’anni a decidere se ci potrà essere riconciliazione su Bettino Craxi. Potrebbe anche succedere, come immagina sul Giornale Antonio Signorini – nell’articolo del 31 dicembre 2009 Abbiamo già «via Stalin» e «Via Mussolini». Ma il problema è «Via Craxi» – “che i nostri nipoti, tra cento anni, si incontreranno all’angolo tra largo Borrelli e via Craxi senza stupirsi più di tanto”.
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