Partiti e politici

Il caos è il vero kingmaker della politica italiana

30 Gennaio 2022

Dal caos, vero kingmaker di quest’elezione presidenziale, è emerso il secondo mandato a Sergio Mattarella, principale fattore di stabilità del nostro sistema politico. Esito non imprevedibile e confermato dai fatti.

Il sollievo per la conferma al Quirinale di una persona di assoluta garanzia e capacità, quale è Mattarella, non può però nascondere le macerie in cui è ridotto il sistema politico italiano nel suo insieme, nessuno escluso. Coalizioni esplose (sempre che alcuni agglomerati informi si possano definire tali), con al loro interno partiti spappolati, in preda alle divisioni in correnti (quando va bene) o alle gelosie personali, o infine alla completa anarchia (quando va male). Da una parte un centro-destra in cui i nodi della diversa scelta di fronte al governo di unità nazionale sono arrivati definitivamente al pettine e hanno generato una rottura difficilmente sanabile, dall’altra il cosiddetto centro-sinistra (o campo largo) sempre appeso ai colpi di testa grillini e al difficile rapporto di fiducia tra Conte e Letta, con quest’ultimo riportato in pista in extremis da Renzi e Guerini nella serata di venerdì quando era diventato vittima del breve revival di alleanza giallo-verde.

L’elezione presidenziale non è capitata in un momento facile, tra crisi pandemica e tensioni internazionali. Ma soprattutto è stata la conformazione asimmetrica dei raggruppamenti partitici a rendere problematico qualsiasi accordo, poiché dovevano essere tenuti insieme sia i soggetti componenti la maggioranza di governo, sia quelli della coalizione di centro-destra, negli obiettivi di chi si era intestato la direzione dei negoziati: Matteo Salvini. Operazione quasi impossibile, perché il proposito dei primi, la continuazione dell’azione di governo, era diametralmente opposto a quello del partito di Giorgia Meloni, la quale allo sfascio di quello stesso governo, mirava. La palese inadeguatezza al ruolo del segretario leghista ridottosi a mosca nel bicchiere, insieme agli avventurismi e alla scarsità di senso istituzionale di altri personaggi (Conte, Casellati) e alla volontà del Parlamento profondo di perpetrare la sua durata, faceva il resto e impediva di trovare un accordo su un nome condiviso, fino alla resa finale di sabato mattina, arrivata dopo così tante personalità bruciate in una settimana.

Quale saranno le conseguenze di queste non esaltanti vicende sul governo del paese dei prossimi mesi e anni non è dato sapersi. E’ probabile che Draghi, passata la buriana elettorale e rinfrancato dal persistente sostegno di Mattarella, rinsaldi la sua guida su partiti fortemente indeboliti di fronte all’opinione pubblica, almeno nei primi mesi. Avvicinandosi le elezioni politiche del 2023, invece, il richiamo della foresta sarà forte e alcuni partiti potrebbero subirlo più di altri, sottoposti alla concorrenza di chi nel governo non è presente. Ogni riferimento alla Lega e alla traballante posizione di Salvini è puramente voluto. Di certo nessuno può dirsi vincitore o festeggiare al termine di questa triste settimana, se non altro per aver “costretto” un uomo di ottant’anni a mantenere un ruolo di tal responsabilità.

Si avvia al termine così la presente legislatura, forse la più travagliata di sempre con un Parlamento arrivato a punte di bassa qualità mai toccate prima. Se non altro, si registra ironicamente, dopo il sostegno al governo di un ex eurobanchiere centrale, la disperata preghiera alla permanenza al Colle inoltrata ad un Presidente oggetto di aspri attacchi e financo minacce di messa in stato d’accusa per alto tradimento e attentato alla costituzione soltanto tre anni e mezzo fa, dagli stessi che oggi si sono gettati ai suoi piedi.

Se una lezione si può trarre da tutto questo, non per la prima volta peraltro, è la conferma di come un sistema politico composto in buona parte da partiti anti-sistema (almeno teoricamente) o divisi profondamente su linee ideologiche e posizioni identitarie, sia ingovernabile e incapace di produrre accordi ispirati all’unità e all’interesse nazionale, se non in situazioni in cui tali accordi debbano essere accettati obtorto collo, sotto i colpi dell’implacabile realtà. Come avvenuto con la formazione del governo Draghi, lo scorso anno. Tale considerazione, insieme alla scontata constatazione del fallimento del bipolarismo nel nostro paese, ormai deviato in bi-populismo, non può che far riflettere sulla necessità di abbandonare un sistema elettorale maggioritario ormai anacronistico e virare verso un proporzionale, con adeguati sbarramenti, necessario a ridurre la sterile contrapposizione frontale e utile a garantire la governabilità del paese, in un contesto liberale, atlantico ed europeista.

 

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