Partiti e politici
Ignazio Marino, un pasto indietro
Marino, Ignazio, 60 anni, chirurgo di fama internazionale, già sindaco di Roma. Tanti nemici, pochi amici veri, un fiuto politico che non è mai stato un granché. Quando si affacciò per la prima volta sul campo di battaglia della politica italiana, nel 2006, era un indipendente nelle liste dei Ds, candidato al Senato nel collegio del Lazio, fu eletto e mandato in Commissione Igiene e Sanità. Nel 2009 provò a diventare segretario del Pd alla primarie meno emozionanti della storia, quelle di Bersani e Franceschini. Arrivò terzo, raccogliendo simpatie per lo più negli ambienti più eterodossi del partito, mantenendo posizioni laiche e vagamente di sinistra. Politicamente debole ma stimato, ritenuto, a torto o a ragione, un uomo coraggioso, capace di intraprendere battaglie giuste e (forse proprio per questo) non molto popolari. Quando nel 2013 si candidò alle primarie del centrosinistra per fare il sindaco a Roma sembrava il vaso di coccio tra i vasi di ferro, quelli di Paolo Gentiloni e David Sassoli. Su di lui puntò soltanto Goffredo Bettini (già dietro i successi di Rutelli e Veltroni). Vinse, contro ogni pronostico.
Alle elezioni comunali sbaragliò Gianni Alemanno e il centrodestra in due riprese. Promise meritocrazia e svolte epocali nella gestione della Capitale (per definizione corrotta, in un paese infetto). Ha chiuso la discarica di Malagrotta, e già questo basterebbe per definire il mandato storico, in un certo senso. Il problema è che di Marino si ricordano più gli insuccessi che i successi. Qualcuno ha dato la colpa ai suoi spin doctor e al suo ufficio stampa. Un discorso ingeneroso, di quelli che si fanno quando si è in crisi di consenso e si cerca di trovare qualcuno su cui scaricare la colpa. In pratica Marino ha trattato i suoi (pochissimi) uomini un po’ come il Pd ha trattato lui: a pesci in faccia, addossandogli tutto il male possibile e anche quello impossibile.
A parte le cose che ha fatto o non ha fatto, quando si parla di Marino è impossibile non pensare alla lunga lista di nemici che in appena trenta mesi di mandato è riuscito a collezionare: fasicisti, malavitosi, grillini, il Pd, il centrodestra, il governo, le categorie, le corporazioni, gli abitanti delle periferie, quelli del centro, alla fine addirittura il Vaticano, con un’ingerenza che, almeno a sinistra, avrebbe dovuto far arrabbiare parecchio. Con lui sono rimasti praticamente solo i Radicali, e manco tutti. Un po’ poco. Ecco, un suo problema è di non aver mai avuto un gruppo di ‘suoi’ fidati. Un generale senza esercito, praticamente. Se ci mettiamo pure che il nostro generale non si è dimostrato così esperto di strategie militari, la frittata è presto fatta.
Nella città di Mafia Capitale, il peccato più grave pare essere stata una carta di credito sulla quale sono stati addebitati 20mila euro di spese più o meno inopportune. E non era la prima volta: già negli States, anni fa, Ignazio incappò in una storia del genere, come raccontò in Italia il Foglio, prendendoci in pieno, col senno di poi. In un’epoca come questa, in cui anche un centesimo pubblico deve essere giustificato, rendicontato e controllatissimo, portare la famiglia a cena e mettere tutto sul conto del Campidoglio non è una mossa geniale. Anzi, un disastro. Non si scherza con i soldi, e non fa niente se un sacco di gente ha fatto molto di peggio. Quando finisci al centro del mirino la cosa peggiore che puoi fare è toglierti il giubbotto antiproiettile. E non conta se durante lo scandalo di Mafia Capitale l’unico a uscirne sano fu proprio lui, elogiato dalla stampa di mezzo mondo, in Italia la vulgata corrente era comunque colpevolista: ma è possibile che lui non si fosse accorto di niente? Lui sostiene di aver annotato tutto in dei quaderni e di aver avuto lunghi colloqui con il procuratore capo Giuseppe Pignatone. Un pregio? Probabilmente sì, ma chi se n’è accorto? Se nessuno sente l’albero che cade nella foresta, eccetera eccetera.
Marino, tuttavia, era già un cadavere da diverso tempo prima dello scoppio dell’ultimo scandalo (scandalo, si fa per dire) sull’uso disinvolto della carta di credito comunale. Mentre era in vacanza negli Usa, il suo Comune era stato di fatto commissariato, con il prefetto Franco Gabrielli chiamato ad affiancarlo nella gestione degli affari più delicati. Lui girava per le Americhe e a Roma i Casamonica organizzavano un funerale a metà tra un film di Totò e Il Padrino. Che colpa possa avere un Comune su una cosa del genere non è dato sapere, mentre la Prefettura avrebbe quantomeno dovuto porsi il problema. Risultato: Marino è uno scemo, Gabrielli un salvatore, in un ribaltamento quasi situazionista della realtà. Le cose vanno così.
Come se non bastasse, il sindaco non fa in tempo a tornare dalle vacanze che già riparte per gli Stati Uniti, invitato (e pagato) dalla Temple University per una conferenza medica. Da quelle parti, nello stesso tempo, si aggirava anche il Papa, che quando tornò, assecondando un trappolone micidiale, dichiarò urbi et orbi (è il caso di dirlo) che lui Marino non l’aveva mai invitato. Ma Marino aveva mai detto di essere stato invitato negli Stati Uniti dal Papa? No, ma non fa niente. Il nuovo affondo è servito: Bergoglio contro il sindaco di Roma. E non è bello quando il pontefice più popolare degli ultimi 300 anni ti dà dello scroccone davanti alle telecamere.
La situazione si era fatta insostenibile: travolto da scandali non suoi, con gli amici (?) che lo avevano abbandonato in mezzo alla tempesta (Bettini, vecchio volpone, non si fa sentire da mesi ormai), senza più un appiglio, Marino è morto male. Persino Sel (tra la rabbia della sua base) l’ha scaricato, nel maledetto giovedì di ottobre in cui ha rassegnato le proprie dimissioni. Adesso non si capisce come andrà a finire, le interpretazioni sono tantissime. C’è chi dice che il Movimento Cinque Stelle vincerà facile, che il Pd potrebbe non presentare simbolo né candidato, in modo da dare ai grillini un pacco: valla a gestire tu una città impossibile da amministrare, con il governo che ti metterebbe pure i bastoni tra le ruote, in bocca al lupo. Qualcun altro spiega invece che Renzi ha voluto far capire a tutti che dietro l’esecuzione capitale di Marino ci sia il Pd, e che adesso punterà a prendere Roma sul serio con uno dei suoi, ché un grillino al comando potrebbe essere il ricco antipasto alla presa di Palazzo Chigi. Ipotesi, suggestioni: se Marino si candidasse, siamo sicuri che non prenderebbe abbastanza voti da azzoppare fatalmente il centrosinistra? È l’ora dei cialtroni, se ne dicono tante, se ne pensano ancor di più. Si potrebbe votare a primavera, nel bel mezzo del giubielo. Sai che casino.
Il problema di Marino, oltre a quello di non essere stato capace di costruirsi una squadra propria, è l’aver provato a governare contro il Pd ma con i voti del Pd. È così che si va a finire male: un giorno di ottobre che sembrava innocuo, mentre fuori a manifestare le bandiere del Movimento Cinque Stelle si mescolano a quelle di Forza Nuova e Casapound. E prima o poi bisognerà riflettere sul perché lui sia stato costretto a dimettersi mentre nessuno ha avuto il coraggio di presentare una mozione di sfiducia in consiglio comunale. Oggi si può restare sulle sponde del fiume, a guardare, ora con entusiasmo ora con disincanto, l’ennesimo cadavere che passa lungo il Tevere. Avanti il prossimo.
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