Partiti e politici
I tweet di Orfini e Renzi sulla luna: il Pd è un partito «ad minchiam»
Il Pd è più di un partito strano, fosse ancora tra noi il memorabile professor Scoglio, direbbe probabilmente un partito «ad minchiam». Il Partito Democratico soprattutto non è un partito. Non ha un segretario (per quel che dovrebbe fare il segretario del primo partito italiano), non ha un presidente (nel senso di persona coerente e responsabile con la storia che sta rappresentando in quel momento), non ha dei militanti, degli appassionati, dei suiveur, perché non si capisce a cosa dovrebbero appassionarsi. Appassionarsi semplicemente alla vittoria, senza il racconto che la alimenta, è un gelido sentimento di convenienza. I tifosi del Barca, ma si potrebbero citare molte squadre in questo senso, si appassionano alla vittoria, a cui peraltro non si sono ancora abituati, attraverso il racconto di sentimenti condivisi, con un’appartenenza concreta, per via di una solidarietà non pelosa. Basta capitare una sera al Camp Nou per farsene anche una vaga idea.
Il Partito Democratico oggi non ha niente di tutto questo. Ma vince in bellezza e ciò basterebbe ai poveri diseredati della politica. Il Partito Democratico non ha neppure l’organizzazione minima di una bocciofila, che si compone anch’essa di un segretario e di un presidente. E se il presidente della bocciofila, mettiamo che si chiami Orfini, dice ufficialmente che il socio anziano Bisgazzi è un miserabile e si deve vergognare perché si è portato via delle bocce, la comunità di quella bocciofila va prima in subbuglio e poi con delibera immediata caccia Bisgazzi per indegnità.
Quello che è successo con De Gennaro ha del lunare e forse avrebbe meritato un frammento di quella conversazione da regimetto tra Matteo Renzi e la povera Cristoforetti che doveva rispondere da lassù alle cagate che le proponeva il premier. Ieri il presidente Orfini, con un semplice tweet, ha riportato le lancette del tempo del Partito Democratico a quattordici anni fa e con un meccanismo ad orologeria mesozoica, ha sancito la vergogna molto ritardata dell’ex capo della Polizia all’epoca del G8 di Genova. Quando è scoppiato il molto immaginabile casino, il nostro Orfini ha orgogliosamente rivendicato i suoi cinguettii affettuosi su De Gennaro che datano molti e molti anni, ogniqualvolta il nostro raccatta qualche carica generosamente elargitagli da tutti i governi di ogni colorazione possibile. A maggior ragione, dunque, oggi che si è espressa la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo.
Ci sarebbe da sorridere della tenera ingenuità del nostro caro Orfini, se lo fosse davvero, e se la questione si risolvesse alla stregua di una ragazzata. Peccato ch’egli rivesta una carica importante all’interno di un partito importante o ogni gesto, anche se da scavezzacollo quindicenne, porta con sè la carica che rappresenta. Nel suo caso, la presidenza, ma non della bocciofila. O forse sì?
Nello specifico. Chiedere che De Gennaro se ne vada da Finmeccanica è, oggi, dilettantismo politico, dopo averlo confermato in quel ruolo senza batter ciglio. La sensazione è che tutti abbiano paura di lui, dei segreti che può avere nei cassetti, delle cose che sa su ognuno di noi, forse anche in misura superiore al reale. Eppoi, c’è un fatto questo sì piuttosto increscioso, che De Gennaro ha sempre goduto di buonissima stampa, ha sempre mantenuto rapporti di grande cordialità (eufemismo) con parecchi cronisti di grido, che nel tempo gli hanno restituito l’affetto praticandogli una serie di sconti. Di fronte a uno scenario del genere, buttare lì un tweet è persino un atto di irresponsabilità politica, essendo Orfini il presidente del Pd. Una questione del genere, se la si apre, la si apre con il senso di responsabilità necessario, consultandosi preventivamente con i dirigenti del partito. E poi eventualmente si parte.
Poi, se vogliamo davvero aprire la grande sessione del merito, delle persone giuste al posto giusto, non solo per competenze tecniche ma anche per sensibilità acquisite, qui da noi si sfonda una porta aperta. Sarebbe meritevole, l’argomento, di un bel Congresso di partito, dove naturalmente e con grande scandalo fare finalmente nomi e cognomi.
Altrimenti, vero Franco Scoglio, rimane tutta una cosa «ad minchiam».
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