Partiti e politici

Le Europee dell’incertezza

27 Maggio 2019

Finalmente è terminato questo lungo calvario chiamato campagna elettorale, una delle più lunghe e sfiancanti che la storia repubblicana possa annoverare. La mattinata successiva alle elezioni è anche peggio: una lotta tra chi deve difendere con i denti la propria vittoria, magari poco conclusiva, e chi dovrà rivendicare qualche “non-sconfitta” e questionare sui numeri altrui, nonché sulle tornate precedenti. Su Twitter, in un marasma di cinguettii avvelenati, fioccano conclusioni affrettate su quel che sarà il futuro dell’Europa, degli italiani e di tutto quanto. Se ci fermiamo, anche solo per pochi secondi, la prima cosa che possiamo notare è che sulle sorti politiche degli europei è stato appena scritto un punto interrogativo grande quanto una casa. È stato eletto un Parlamento europeo più frammentato di come l’abbiamo lasciato ed è anzitutto normale ritenere che questo porterà inevitabilmente ad un maggiore pantano, a meno che non prevalga – ci sarebbe da augurarselo – un fortissimo spirito cooperativo di stampo europeista.

Proprio nella pseudo-maggioranza europeista, non solo abbiamo “teste” molto diverse tra loro, ma c’è anche chi è abituato – PPE in primis – ad intavolare con i sovranisti. Come finirà?

Ci sono almeno tre fatti da raccontare con franchezza dopo queste elezioni.

Anzitutto, l’Italia perde rappresentanza, dacché la Lega, che non è nemmeno riuscita ad eguagliare il PD delle Europee 2014 (34,3% contro il 40,8% di Renzi), sarà alla testa di una coalizione di minoranza. Ne consegue che sarà difficile accedere alla stanza dei bottoni, non avendo maggioranze relative nella coalizione europeista. Succede, quando fai scelte di campo ben precise. Resta meno precisa, tuttavia, l’idea di Europa che anche i sovranisti vorranno proporre nelle sedi opportune, ma questa è tutta un’altra storia.

Non c’è però nessun interesse, al momento, nel voler arrecare danno all’Italia o ad altri Paesi che hanno governi c.d. sovranisti, anzi: con la partita Brexit giunta ad un importante – si spera conclusivo – giro di boa, non sarebbe proprio il caso corroborare un “fronte Italia”. Salvini ha detto il falso nel prospettare che la Lega e il gruppo ENF possano davvero cambiare le cose, ma chi crede che i giochi siano già tutti fatti rischia di giungere a conclusioni affrettate.

Non è poi tutta una questione di sovranismi o populismi, in quanto l’Italia dovrà comunque lasciare tre cariche molto importanti: la fondamentale Presidenza della Banca Centrale Europea, attualmente presieduta da Mario Draghi; la Presidenza del Parlamento Europeo, guidata da Antonio Tajani; l’incarico dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza (nonché uno dei Vicepresidenti della Commissione), occupato da Federica Mogherini.

Proprio sulla nostra Lady PESC sarebbe necessario farsi qualche domanda: spesso si è erroneamente sminuito il ruolo dell’Alto Rappresentante, sostenendo che l’Unione Europea sia incapace di produrre una politica estera comune. Non è che forse siano proprio le persone a valere più delle poltrone? Oltre a Mario Draghi, l’Italia ha davvero beneficiato della presenza dei suoi cittadini in alcuni ruoli chiave delle istituzioni europee? Parliamo di qualcosa oltre le competenze. Inoltre, non dobbiamo dimenticare il “deficit” di partecipazione dei cittadini italiani (descritto magistralmente da Stefano Campolo, per gli Stati Generali, lo scorso 11 aprile), sempre più ampio, all’interno degli enti europei.

Il secondo fatto, ormai indiscutibile, è la scelta di campo ben precisa che fanno gli italiani: il Centrodestra – ammesso che ritrovi l’unità – vale oltre il 49%. Non basta? La Lega, che ormai vale oltre un terzo dell’elettorato, è il primo partito persino in Emilia Romagna, e la coalizione verde-blu ritorna alla guida del Piemonte, dopo aver portato a casa (dal 4 marzo 2018) Lombardia, Valle d’Aosta, Molise, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Abruzzo, Sardegna e Basilicata.

Il terzo fatto, altrettanto indiscutibile, è la rovinosa disfatta dei Cinque Stelle, i quali non solo dimezzano i consensi del 4 marzo 2018 (a distanza di un anno, è da Guinnes world record) ma fanno peggio persino rispetto alle europee del 2014, quando raccolsero il 21,1%. È il risultato dell’insipienza e della non scelta, un messaggio che devono saper cogliere al più presto anche il Partito Democratico, Più Europa – che dovrebbe rischiare un po’ di più e lasciare certi apparentamenti – e Forza Italia, il partito-azienda padronale che, travolto dalle divisioni, s’incammina verso il suicidio, più o meno assistito dai più o meno alleati.

Manca, come sempre, il coraggio di prendere posizioni più nette e decise, visto che l’ambiguità è proprio l’ultima arma con la quale si possono affrontare i populisti. Difatti, la rappresentanza diretta proposta dai Cinque Stelle, altro non è che la via oclocratica che li ha portati alla sconfitta. Davvero si crede ancora che si possa governare delegando, quasi giorno per giorno, ogni singola decisione ai cittadini? Democrazia rappresentativa è responsabilità di un popolo, con la consapevolezza che una scelta, prima o poi, dovrà necessariamente scontentare qualcuno. Dopo Ilva, TAV, TAP, le minacce ai Benetton sulle macerie del viadotto (gli stessi Benetton a cui poi hanno chiesto di entrare nel buco nero di Alitalia), si chiude una gigantesca fiera dell’ipocrisia della quale ci si è stancati subito: lo stesso popolo (meridionale) per il quale è stato approvato il tanto decantato reddito di cittadinanza, adesso, ha abbandonato il Movimento disertando le elezioni o passando direttamente dalla parte della Lega. Sarà che questo reddito di cittadinanza non è come quello promesso?

E che dire, infine, dell’ipocrita campagna elettorale condotta denigrando i compari di governo? Tra “manine” che scrivono i decreti e sottosegretari che sono diventati, dalla sera alla mattina, “impresentabili” o troppo “estremisti”, il selfista padano ringrazia e porta a casa il risultato.

Le liste che hanno superato la soglia del 4%.
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