Partiti e politici
I giovani schizzano calcio e politica (come mai nessuno vuol diventare Schlein?)
Quelli dell’Eca, l’organismo che racchiude le società calcistiche europee, hanno voluto sapere “a che punto è la notte”, dopo una pandemia e la possibilità neppure tanto remota che possa tornare. Hanno voluto capire che “nuovo” tifoso si è formato in questo tempo amaro, in cui lo stadio è precluso, soprattutto quale impatto ha avuto sui ragazzi, i tifosi del futuro. Ne è uscita una ricerca raggelante, in cui si mostra che i ragazzi hanno quasi completamente abbandonato questo sport. Non ci credono più, non interessa, soprattutto si dicono totalmente delusi dai protagonisti: i calciatori. E perché? Semplice. Perché oggi i ragazzi pretendono qualcosa in cambio. Pretendono che a fronte di un enorme privilegio, che poi sarebbe quello di vivere in una dimensione parallela e miliardaria, il nostro eroe pallonaro avverta almeno la necessità di restituire alla comunità qualcosa che si avvicini a un sentimento etico, a uno straccio di sostenibilità, in sostanza che si mostri un calciatore attento allo sviluppo della società.
In caso contrario, è del tutto inutile tifare per qualcuno o per qualcosa, appassionarsi a una squadra piuttosto che a un’altra, non trascina nemmeno più l’appartenenza geografica, i giovani se ne fottono delle radici, se applicate al calcio. Può anche rappresentare un atto d’accusa nei confronti di un’altra generazione, di noi più vecchi che invece siamo stati tifosi convinti? Se ne può discutere.
In tutto questo c’è sicuramente qualcosa di meraviglioso. C’è la radice di un risveglio, di una consapevolezza. Con un pizzico di perfidia, abbiamo sostituito le parole di quella ricerca . Ogni volta che è comparsa «squadra”, abbiamo inserito «partito», la voce «calciatori» si è trasformata in «politici» e così «il calcio» è diventato «la politica». Il risultato è incredibile. È come se quella ricerca sia stata tarata esattamente sulla disaffezione dei giovani per la politica, sul senso di delusione per dei protagonisti privilegiati che non restituiscono nulla, sullo sguardo dei ragazzi che ormai si sofferma su ben altri orizzonti.
Qualche giorno fa, nel pieno della sua beatificazione in vita ad opera de L’Espresso, Elly Schlein ha partecipato a una trasmissione televisiva. E ha chiesto, retoricamente, come mai i giovani non siano più affezionati alla politica, per quale motivo ne stiano a debita distanza, come mai preferiscano iscriversi all’Anpi (o magari a qualche bocciofila) piuttosto che a un partito. Se lo chiedeva, lo chiedeva e, ovviamente, se ne dispiaceva. Invece che rallegrarsene, se ne dispiaceva. Invece che pensarlo come un momento di riscatto, lo ha visto come una certificazione della sconfitta. Della politica, ovviamente. Perché lei, per tutta la sua breve e intensa vita ha fatto solo quello. Partecipata, appassionata, convinta. Ma solo quello. Ha aderito a quell’idea da subito. È una professionista della politica, espressione che assume colorazioni diverse a seconda dell’angolazione. In questo, c’è evidentemente una perversione. Che non è, badate bene, la ricerca di una poltrona sin da piccina, di una comoda visibilità, quindi l’esercizio del Potere partendo dal suo lato peggiore.
Ma a domanda precisa: tu Elly, che lavoro fai?, la risposta sarebbe inevitabilmente: la politica. Ma è un lavoro, e se è un lavoro, che lavoro è? Proprio qui c’è una scelta che quei ragazzi che “volevano cambiare il mondo” rifiutarono in radice. E cioè la consapevolezza che le organizzazioni strettamente politiche mantenessero al loro interno una parte malata, una parte così corrosiva da mangiare gli entusiasmi buoni dei più ingenui, che quando la politica, dopo i primi momenti di entusiasmo collettivo, si traduce in esercizio, ecco che diventa altro dalle sue splendide enunciazioni. E chi cedeva a questo compromesso, che secondo quei ragazzi era decisamente verso il basso, aveva evidentemente una parte “malata”, che non era come abbiamo detto il poltronismo, ma quel piacere molto sottile e infido di stare comunque dentro nei processi del Potere, invece che controllarlo da fuori. Una fascinazione. Una differenza enorme, che ha sempre diviso i giovani. Due sentimenti opposti, l’adesione e una motivata diffidenza.
I motivi secondo cui i ragazzi non si iscrivono più ai partiti sono esattamente gli stessi per cui schizzano il calcio. Il calcio non restituisce nulla, la politica non restituisce nulla. I beniamini non danno minimi segnali etici, i politici non danno minimi segnali etici. Il calcio viene progressivamente allontanato dagli orizzonti giovanili, che si indirizzano altrove, la politica viene progressivamente allontanata dagli orizzonti giovanili, che si indirizzano altrove. Qualche anima bella se ne può sorprendere? Proprio no. Allo stesso modo dei giovani tifosi che parcellizzano i loro interessi – non più una squadra di riferimento, ma mille soggetti diversi per vita ed estrazione – così i ragazzi attenti al sociale che vogliono occuparsi di politica escludono subito quella politicante. Magari
iscrivendosi all’Anpi, come dice la Schlein, che a noi pare comunque puro cazzeggio a buon mercato. (Anche le Sardine che sono partite con l’intento pedagogico di dire qualcosa alla politica che non ascolta, si sono avvitate sul piacere quasi estetico dell’esistere). Oggi per i ragazzi forse vale di più essere “semplicemente” buoni cittadini, vivere il proprio tempo per enunciazioni, cercare di stare insieme anche senza l’antica idea rivoluzionaria, approfittare del mondo che cambia in peggio per scendere in piazza ma solo se parliamo di grandi e incontestabili questioni. Ecco, solo sulle grandi questioni. Forse questo è uno dei problemi.
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