Partiti e politici

I dilemmi dell’elettore indeciso

23 Febbraio 2018

A pochi giorni dal voto, l’elettore italiano indeciso inizia a sentirsi imprigionato in un’impossibile scelta binaria.

Da una parte c’è l’opzione del “tutto come prima”: votando Pd o Forza Italia, Più Europa o quarta gamba, la prospettiva è una sola, cioè la continuità delle “larghe intese” che (con qualche variazione su tema) hanno retto tutti i governi da Monti in poi. I leaders principali, naturalmente, negano; ma i colonnelli già si ammiccano a vicenda, i “padri nobili” benedicono e la stampa internazionale dà per acquisita la Grosse Koalition all’italiana. Alla guida del nuovo esecutivo potrebbe addirittura esserci l’attuale Presidente del Consiglio, per garantire una transizione ancora più “liscia” tra le due legislature.

L’elettore indeciso è in parte attratto da questa scelta: sembra quella meno rischiosa, più “responsabile”, priva di scossoni; quella, anzi, che può garantire tranquillità in una fase in cui il Paese si scopre inquieto, rabbioso, a tratti violento. Ma lo disturba la consapevolezza che quell’inquietudine e quella rabbia sono in realtà il frutto di ciò che c’era prima: i troppi anni di crisi incancrenita, di strapotere della finanza, di contagio mafioso, di desertificazione industriale, di immigrazione mal gestita, di precarietà normalizzata, di smantellamento del welfare sono stati quelli dei governi di responsabilità nazionale. Forse è ora di dire basta…

Dall’altra parte c’è invece l’opzione del “cambiamo tutto”: dal Movimento Cinque Stelle alla Lega, da Casa Pound Italia a Potere al Popolo, ogni lista propone il suo modo di “rovesciare il tavolo” e di risolvere d’un colpo tutti i problemi del Paese. Contro la povertà c’è il reddito di cittadinanza, contro l’eccessiva pressione fiscale c’è la flat tax; gli immigrati, basta rimpatriarli tutti con i voli speciali e la riforma Fornero si può abolire con un tratto di penna. Sono proposte spumeggianti nel contenuto e nella forma, veicolate con slogan accattivanti da leaders aggressivi, che rimbombano dai media ad ogni ora del giorno con un’insistenza che fa sembrare tutto facile e normale.

All’elettore indeciso sembra quasi di decidersi: nel tono bellicoso di un big di partito, nella voce appassionata di una candidata sente esprimersi la sua rabbia e rinascere la sua passione… e poi, dopotutto, se le tv danno tanto credito a quei personaggi fantasmagorici vuol dire che in fondo sono seri, affidabili e che le loro promesse esorbitanti sono fattibili. O forse no: ma, delusione per delusione, perché non concedersi di inseguire il proprio desiderio, di sfogare le frustrazioni, di coltivare un’utopia o di dare voce ai propri risentimenti? Ahimè, l’elettore indeciso è subito assalito dal dubbio che un simile voto sia inutile: che serva solo a portare in Parlamento e nei talk show qualcuno che ripeterà le sue proposte a voce sempre più alta, senza mai poterle (o forse volerle) realizzare. Qualche volta, di notte, lo sveglia invece l’incubo di una possibile maggioranza di populisti: che ne sarebbe del Paese se tutti gli scalmanati si mettessero insieme, se nascesse una specie di trumpismo alle vongole? E i dubbi ricominciano…

Forse, riflette l’elettore indeciso, è inutile lambiccarsi il cervello per prevedere che maggioranza si formerà dopo il voto: meglio puntare sulla rappresentanza e scegliere la lista più affine per idee e valori, con i candidati più credibili.  Ottima idea: ma stavolta il problema è l’eterogeneità. Quasi ovunque c’è qualcosa che gli piace mischiato a qualcosa che gli fa orrore: ogni lista ha candidati nuovi e motivati insieme a riciclati di lungo corso; ogni programma ha una proposta convincente e un’altra respingente; ogni campagna ha il suo slogan brillante e il suo imperdonabile scivolone. Distinguerli è impossibile, perché la legge elettorale non consente di scegliere il proprio parlamentare: una sola croce sulla scheda si porta via tutto, partito, candidato uninominale e listino proporzionale; e, tra pluri-candidature e effetto flipper, solo il Cielo sa chi davvero verrà eletto con quel voto…

Basta, è troppo: l’elettore indeciso sta per gettare la spugna. Astenersi dal voto gli dispiace, ma in fin dei conti non è colpa sua: è colpa dei partiti che non sono riusciti a mettere insieme una lista convincente, un programma interessante, una campagna seducente. Non per lui, almeno… ma ormai la politica sta diventando puro marketing: punta alle masse brute e per questo usa gli argomenti più banali, i candidati telegenici e gli slogan facili. C’è quasi un’aura di nobiltà nel gesto di dichiararsi astensionisti, incapaci di accontentarsi, non disposti a scendere al miserabile compromesso di una croce su un simbolo purchessia: ma una vocina interiore gli dice che questo è un alibi per sfuggire alla sua responsabilità di cittadino… e il tormento continua.

Mancano solo pochi giorni e poi, comunque vada, sarà finita; l’elettore avrà forse qualche rimpianto, magari all’inizio, quando vedrà entrare in Parlamento un certo brutto ceffo o vedrà esclusa una candidata che gli piaceva tanto… poi, però, si abituerà al nuovo status quo e ricomincerà confortevolmente a lamentarsi dei politici, dei partiti, del governo, di tutto quanto.

Perché è questo che ci frega, a noi elettori: la persistente sensazione di non poterci fare niente, di dover solo abbozzare e aspettare la prossima campagna elettorale. Sarà sempre così, fino a quando non impareremo a diventare protagonisti della politica: a occuparcene quotidianamente, a approfondire i temi, a seguire il lavoro dei parlamentari, a dire la nostra su ciò di cui siamo competenti. E’ una fatica enorme, ma indispensabile per votare in modo consapevole, sciogliendo i nostri dilemmi con l’esperienza di ogni giorno.

(immagine di Massimiliano Mariani – Opera propria, CC BY-SA 3.0)

 

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