Partiti e politici

I conti vengono al pettine: Meloni a New York, Giorgetti a contare i centesimi

23 Settembre 2024

Dalla storia infinita di Gennaro Sangiuliano, al premio ritirato da Giorgia Meloni dalle mani di Elon Musk, la lunga estate delle divagazioni del governo italiano sembra non dovere finire mai. E invece è iniziato l’autunno che riporta al centro della vita politica il tema principale: i nostri conti pubblici. È una tradizione consolidata, ormai, scandita dai calendari delle scadenze europee e, già prima, dalle necessità della finanza pubblica italiana e delle leggi che la regolano. Entro la fine dell’anno bisogna predisporre il bilancio dell’anno che verrà, e dalla fine dell’estate – a parte le tante chiacchiere che occupano la bocca dei politici e dei commentatori – i pensieri che contano sono dedicati tutti quello. Quest’anno non fa eccezione: anzi. Quest’anno la questione è più importante e calda che mai.

Il perchè lo spiega un doppio, concomitante cambio: l’entrata in vigore di nuove regole di bilancio per i paesi membri, che sanciscono la definitiva chiusura dell’epoca pandemica e del relativo allentamento dei vincoli, da un lato; e l’arrivo di un nuovo commissario, il lettone Dombrovskis, noto esponente dell’asse politico-geografico del rigore, da sempre sospettoso rispetto ai paesi mediterranei e ai loro conti sempre in disordine. Il passaggio dall’epoca appena passata, nella quale a vigilare sui conti dall’Europa era Paolo Gentiloni, a quella che inizia, è raccontato nel dettaglio da Walter Galbiati, su Repubblica di oggi. In Italia qualcuno sperava che proprio oggi un aiuto sarebbe arrivato dall’Istat e dalla revisione dei dati economici degli anni scorsi. Le modifiche peggiorative e quelle migliorative sostanzialmente si compensano e – come ha detto il ministro dell’Economia Giorgetti – non cambia il quadro generale. Cambiano i nomi, e la nota di aggiornamento al DEF è sostituita dal Piano Strutturale di Bilancio, ma il quadro resta difficile, anche se continuiamo a parlare d’altro.

Il rapporto debito-pil, ricalibrato a ribasso di qualche punto, resta ampiamente sopra il 130% – peggiore d’Europa dopo quello greco – mentre le regole del nuovo patto di stabilità lo fissano addirittura al 60%. Il rapporto deficit-pil, similmente, è pari al doppio della media dell’area euro. Sono aridi numeri, pure statistiche, ma che condizionano la nostra vita più di quanto ancora abbiamo imparato a pensare, e più di quanto una classe politica intera vuole piegare, forse per paura che i cittadini – una volta compresa la questione – si chiedano e chiedano ai loro rappresentanti dove troveranno i soldi per far tornare i conti, per evitare le sanzioni europee e – cosa più grave, in prospettiva – la sfiducia dei mercati. Il ministro competente, Giancarlo Giorgetti, ha tenuto a rassicurare tutti, per quel che si può, spiegando che l’Italia si metterà da subito sui binari del rispetto delle regole di bilancio, e lavorerà per sistemare i suoi conti. Tassando di più le banche, dopo il disastroso tentativo dello scorso anno sugli extraprofitti, annunciato con clamore peronista da Salvini e finito in niente? Raschiando ancora il barile dei sussidi da tagliare, inclusi magari quelli agli indigenti veri? Assottigliando ulteriormente il welfare? Chi lo sa.

Sanno tutti, a cominciare da lui, che l’impresa è improba, non tanto e non solo perchè è complicato ridurre deficit e debito senza far male alle tasche e alle vite di molti cittadini, specialmete i meno abbienti. Ancora più difficile, in un paese in crisi di sviluppo da decenni, è far crescere il pil, unico altro parametro fondamentale – appunto – per migliorare il rispetto dei parametri europei. Come detto altre volte, e come altre volte ci troveremo a dire, il problema è guardare i problemi di fondo del nostro paese, e provare a immaginare soluzioni credibili e realistiche per le questioni più spinose: industria, demografia, istruzione, integrazione con enti e reti sovrannazionali. Tutte questioni che riguardano il presente e il futuro, in un paese che – per età media e partecipazione elettorale – tende a guardare naturalmente più indietro che avanti. Tirando a campare: un po’ come fanno i governi, per scavallare le prossime elezioni. Quello in carica, francamente, non sembra proprio fare eccezione.

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