Partiti e politici

I Cinque Stelle sono più onesti del Pd? (dopo Quarto discussione aperta)

13 Gennaio 2016

Una settimana fa un certo signor Ozzimo, già assessore Pd nella giunta Marino, è stato condannato in primo grado a due anni e due mesi. Il reato è corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, il contesto quello stranoto di Mafia Capitale. Appena una settimana fa. Una settimana dopo, noi tutti stiamo discutendo solo di Quarto, un comune della provincia di Napoli, con una sindaca Cinque Stelle e una ormai palese infiltrazione della camorra. I tre tenori grillini, riuniti per l’occasione in un patetico video già spernacchiato da mezzo mondo, (persino da Pina Picierno che li chiama le tre scimmiette) hanno detto di non aver sentito, saputo, immaginato nulla. Beata innocenza. E beato controllo. Sulle loro spalle, comunque, nessuna accusa penale, ma diverse questioni politiche aperte e anche di un certo peso.

Si avverte un godimento generale, spalmato come marmellata sulle fette biscottate, nel vedere che anche l’etica pentastellata sarebbe finita ben bene sotto le suole, un passo fondamentale per rimodulare in epoca moderna l’assunto secondo cui siamo (sono) “tutti uguali”, tutti rubano, tutti rubiamo, tutti facciamo impicci, tutti raccomandiamo, tutti piazziamo gli amici, tutti sfruttiamo gli amici. La politica, quella vecchia ma tranquillamente anche quella nuova, ha questo di buono, il richiamarsi sempre e comunque alla livella del principe De Curtis perché nessuno possa emergere, nessuno farsi notare, nessuno essere differente da un altro. Nel segno del “sangue e merda” socialista alla Formica, salvo che qui ormai è rimasta solo la merda.

Quando i comunisti sventolavano la loro superiorità morale, opponendo al mondo un’inattaccabile primazia etica, il problema della corruzione a sinistra non esisteva in radice, era contestato in radice, qualunque condizione, qualunque fatto, potesse emergere. Stare all’opposizione, ma soprattutto essere sempre opposizione, aveva naturalmente i suoi vantaggi, era una posizione di “privilegio”, da cui poter puntare l’indice con la tranquillità del giusto in direzione di chi il potere lo aveva saldamente nelle mani. Questo impianto solidissimo cominciò ad avvertire i primi segni del tempo con il compromesso storico, poi sempre di più con la progressiva democratizzazione interna e l’addio definitivo al Partito Comunista.  Occasione per regolare definitivamente i conti sarebbe potuta essere Mani Pulite ma in quel caso i giudici resero l’estremo tributo alla cara, vecchia, sinistra, preservandola sostanzialmente dal terremoto politico.

Si dice che sulla presunzione di onestà non si costruisce alcuna politica. Si dice che nessuno è per definizione più onesto di un altro. Tutto verissimo. Si dice, altresì, che le debolezze umane travalicano le semplici simpatie politiche e possono spargersi – equamente – sull’intero arco parlamentare. Onde per cui, questo è il consiglio che ti danno appena metti piede in Transatlantico, meglio se stai “schiscio” su questa menata dell’etica, perché rischi seriamente di farti male. Il partito di Matteo Renzi, ad esempio, non è chiarissimo da quale stella polare sia ispirato o forse è sin troppo chiaro: una linea vera e propria non c’è e allora ci si affida, a seconda delle circostanze,  a quelle quattro frasette d’ordinanza per cui “noi non guardiamo in faccia a nessuno”, “chi sbaglia deve pagare”, “fino al terzo grado di giudizio per noi una persona è innocente” e via così.

Quando il presidente del Consiglio dice che nessuno può vantare il primato della morale, sostiene una posizione corretta, persino banale. Ricorda un po’ quell’altra frase cult – “non prendo lezioni da te” – che si oppone generalmente a chi ha intenzione di farti l’esame del sangue. Ma è così vero che in Parlamento nessuno può dare lezioni a nessuno, o è un alibi con cui molto comodamente ci proteggiamo dai moralisti molestatori? A livello singolo – uomo contro uomo – è vero: nessuno per definizione è più onesto di un altro. Ma altra cosa sono i partiti, le formazioni intellettuali che su un certo programma vengono a chiedere il consenso ai cittadini. Sarebbe come negare il merito nel mondo del lavoro, dove le differenze sono il sale della concorrenza e lo stimolo per fare sempre meglio. Sì. Un partito può essere strutturalmente più votato a un sentimento difficile come è l’etica, che non significa affatto la predisposizione meccanica a scagliarsi stupidamente contro l’altro, magari solo per un tornaconto elettorale, ma al contrario essere oltremodo intransigente con se stesso. La differenza è tutta qui.

Il problema è che la grande parte delle forze politiche non ha nessun interesse a tenere alta l’asticella dei comportamenti, della dignità, del decoro, del disinteresse personale. Questioni invece appena dirimenti in un’azienda di medio, buon, livello, pensate un po’. La competizione sotto questo cielo è morta e sepolta da moltissimi anni e nessuno ha più intenzione di resuscitarne il senso antico. Non sappiamo se i Cinque Stelle abbiano una seria intenzione di combattere questa battaglia, i balbettii che hanno accompagnato lo snodo di Quarto non depongono in questo senso. Ma è anche l’unica possibile per sopravvivere alle balene bianche e rosse che popolano il mare parlamentare.

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