Partiti e politici

I 5 stelle aprono al Pd?

12 Gennaio 2019

Due indizi non fanno una prova, per cui è d’obbligo usare il punto interrogativo, almeno fino a che ne spunterà un terzo. Resta il fatto che negli ultimi giorni qualcosa pare essere almeno parzialmente mutato nel panorama politico italiano, nei rapporti tra il Movimento 5 stelle ed il Partito Democratico.

Primo indizio. In commissione Affari Costituzionali, la rappresentante M5s accetta due significativi emendamenti del senatore Pd Stefano Ceccanti in merito al quorum referendario, mentre in passato gli stessi pentastellati si erano sempre dichiarati a sfavore della presenza di una soglia minima in materia referendaria.

Secondo indizio. Beppe Grillo annuncia di aver sottoscritto il patto pro-vax di Burioni, facendo infuriare una parte degli elettori 5 stelle e suscitando parecchie perplessità anche tra i quadri intermedi del movimento.

Tre sono le possibili interpretazioni del comportamento del fondatore dei 5 stelle. La prima potremmo definirla “eterodiretta”, la seconda “autodiretta” e la terza “strategica”. Prima motivazione: Grillo sta progressivamente perdendo potere all’interno del movimento, le cui redini sono ora saldamente nelle mani di Casaleggio (e in parte della coppia Di Maio-Di Battista). Non venendo dunque più considerato rilevante, nelle sue esternazioni, si può permettere, da battitore libero, di dire apertamente ciò che pensa, incurante delle linee programmatiche del M5s. Tanto conta sempre meno.

Seconda motivazione: Grillo sta da un po’ di tempo coltivando l’idea di scindersi dall’attuale movimento, dal momento che non condivide la deriva che questo ha preso con l’accordo di governo con la Lega di Salvini. L’esecutivo giallo-verde non gli piace ed è intenzionato a sottolinearlo, mettendo in discussione le politiche che i 5 stelle stanno facendo negli ultimi mesi. Dichiarare di essere “si-vax” è il primo dei possibili dissensi di cui si fa interprete, ma già sul tema immigrazione ha più volte ribadito la sua contrarietà alle chiusure migratorie di Salvini, accettate invece da Di Maio.

Terza motivazione: Grillo ritiene che l’accordo con Salvini e con la Lega rappresenti di fatto una sorta di “bacio della morte” per il movimento pentastellato. Gli orientamenti di voto degli ultimi mesi sottolineano costantemente come il M5s sia in decisa perdita di voti (almeno il 5% rispetto alle elezioni), mentre una parte considerevole anche del suo elettorato si rivolge alla Lega, che raddoppia di fatto il suo risultato elettorale. Grillo, in accordo con i vertici del movimento, adotta quindi un comportamento “strategico”, come ci mostra anche il primo indizio (quello sul referendum), aprendo al Partito Democratico, su cui potrebbe puntare per una nuova alleanza, in caso di rottura con Salvini.

Che questo accada o meno non è importante. L’importante è far sapere al proprio attuale interlocutore di governo che un’alternativa al governo stesso esiste, che si potrebbe arrivare ad un accordo con il Pd, cambiando l’attuale maggioranza. Visto lo strapotere di Salvini, che viene giudicato da un numero sempre crescente di italiani come il vero Presidente del Consiglio, sottolineare di non essere legati mani e piedi alle politiche leghiste potrebbe essere un efficace freno ai presunti diktat provenienti dall’attuale ministro degli interni.

E’ questa dunque l’interpretazione strategica sia delle esternazioni di Grillo che, ancora di più, del comportamento della commissione Affari Costituzionali. L’ammissione inoltre che il comportamento di Gentiloni in occasione del caso Monte di Paschi è stato corretto, al contrario di quello di Renzi per le altre banche, sembra andare in direzione pacificatoria con un Pd che vuole uscire dall’egemonia renziana.

Due indizi e mezzo, dunque, che ci portano a pensare che il M5s stia aprendo altri possibili fronti per sottrarsi alla partecipazione in un governo che non lo vede egemone, ma succube delle politiche salviniane, e in deciso calo di appeal elettorale. Attendiamo sviluppi…

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