Partiti e politici
Ha ragione Renzi, il giornalismo è roba triste (per lui il migliore possibile)
Si pensava ingenuamente che l’insofferenza del Potere per il giornalismo nelle sue varie forme, dal cartaceo al televisivo passando ora anche per internet, avrebbe scontato almeno l’inflessibile scorrere del tempo, ripensando – nella modernità – a forme di lamentazione più sottili e meno fatiscenti dei soliti editti/proclami/telefonate di protesta/punizioni mirate di cronisti, per abbracciare un nuovo tempo, forse meno banale di quello, in cui immaginare un modo diverso di relazionarsi con i media o, meglio, con le persone meno allineate. Si pensava, appunto.
Meno ingenuamente, invero, dobbiamo considerare che le speranze riposte in un giovanotto molto smart come Matteo Renzi si stanno affievolendo e non solo per demeriti personali. Si credeva che a uno sciolto come lui non appartenessero quei cerimoniali stanchi, vetusti, incrostati, che abbiamo vissuto per il mezzo secolo passato, ma semmai che la sua visione “giornalistica” appartenesse, in fondo, al realismo “magico” di questo tempo, in cui valutare crudemente i mezzi di informazione per quello che sono: roba piuttosto triste, poco incline alla profondità, refrattaria alla contrapposizione con il potere, in buona sostanza assai poco pericolosa per i sonni di un presidente del Consiglio e dei suoi cari.
È accaduto quello che non avremmo mai creduto: Renzi pensa esattamente tutto questo del giornalismo italiano, roba triste bla bla bla, ma arriva misteriosamente a conclusioni opposte. Ci vede del male, laddove non c’è praticamente più nulla, si pone in posizione etica, persino didattica, quasi da #buonascuola, dettando l’agenda delle priorità giornalistiche, ammonisce i direttori che la diritta via è ormai smarrita, e smarrito sarebbe pure il racconto del Paese ch’egli vorrebbe decisamente più positivo. In buona sostanza, del cento per cento di ciò che si pubblica (cartaccia, televisione, internet) un buon settanta/ottanta sarebbe fuori fuoco. Questa percentuale non contempla, però, il non (volutamente) pubblicato, che nel caso del nostro presidente del Consiglio è una cifra variamente estesa ma sicuramente sensibile. Questi numeri, gentile Matteo, in quale casella andrebbero posizionati?
Come già accadde per Craxi Benedetto detto Bettino, al quale non giovarono gli accattoni che credevano di agire in nome e per conto del capo, sorge anche per Renzi il problema degli “interpretatori”, i quali ovviamente moltiplicano disordinatamente le sue inclinazioni, peggiorandole. Varia umanità che s’impanca a dittatorello di condominio per dire questo sì questo no (e stiamo parlando pur sempre di questioni intellettuali) e che pretenderebbe un allineamento rapido delle coscienze giornalistiche. Si segnalerebbe, nel gruppone, tal Anzaldi del Pd, dai meriti giornalistici piuttosto incerti, che per il solo fatto d’essere nell’inutile commissione di Vigilanza (da abolire come il Senato), pone ancora questioni cencelliane nel 2015 dopo Cristo senza peraltro vergognarsene.
Anche lo scrivente, peraltro, ha avuto il suo. Nel senso che qualche giorno fa una lamentela “cortese ma ferma” per un pezzo – quale fosse ha davvero scarsissima importanza – è stata recapitata con quel cerimoniale un po’ fané che apparterrebbe a secoli passati e che invece rimane un must dei nostri tempi. Un rituale di nessuna produttività immediata, dal punto di vista di chi si lamenta, ma pur sempre “un ponte per”, un democratico e civile tentativo di cristallizzare le euforie guerrigliere di ragazzacci impenitenti. Allo scrivente, naturalmente, è spuntato un sorriso di simpatica comprensione, avendone viste parecchie nel ventennio berlusconiano e naturalmente non potendo dare un nobile seguito alle premure di Palazzo Chigi.
Ma la realtà, e le parole di Renzi ingenue e spaccone sui talk lo confermerebbero, è che una terza via non si è ancora trovata o meglio, siamo sicuri che il Potere l’abbia cercata? Ci sono comunicatori, ormai se ne conoscono a bizzeffe, che per loro natura e per intelligenza personale, cercano comunque di percorrere una strada, se non completamente inesplorata, almeno poco battuta dalla massa. Nel senso di immaginare una strategia diversa a seconda delle situazioni, a seconda delle lamentele da elevare, a seconda, anche e soprattutto, delle persone che hai di fronte. I pollai sono sempre eterogenei e gli stili sempre diversi, al punto che a nessuno si potrebbe dare autorevolmente il titolo di domatore di galline. L’ultimo, ma ogni tanto c’era anche qualche tigre, è stato Santoro. Che ora, grazie alla riforma Padoan/Boeri, dovrebbe essere felicemente in pensione.
Devi fare login per commentare
Accedi