Partiti e politici

Le vere riforme nascono sempre da un tradimento

28 Ottobre 2014

L’odio verso il rinnegato è diverso dall’odio verso l’infedele. L’infedele è definito a priori. Il rinnegato è, invece, uno che cambia rispetto a una condizione di partenza, a una natura che avrebbe dovuto tenerlo lontano, da questa possibilità.  Giuda (Feltrinelli) il nuovo romanzo di Amos Oz uscito una settimana fa in libreria tocca un tema che ci riguarda molto da vicino. Scelgo un passo. “Chi è pronto al cambiamento, disse Shemuel (uno dei tre protagonisti in vita, altri ci sono ma sono morti e dunque parlano attraverso le loro parole che i vivi hanno conservato), chi ha il coraggio di cambiare, viene sempre considerato un traditore da coloro che non sono capaci di nessun cambiamento, e hanno una paura da morire del cambiamento e non lo capiscono e hanno disgusto di ogni cambiamento” [p. 269]   “Solo chi tradisce, chi esce fuori dalle convenzioni della comunità cui appartiene, è capace di cambiare sé stesso e il mondo”. Così Amos Oz, lunedì 20 ottobre nell’intervista che anticipava l’uscita del suo nuovo romanzo.

È l’aforisma che il giorno dopo Giuliano Ferrara ha fatto suo rivendicando il senso di una storia che lo riguarda. Capisco l’ammiccamento, ma ci porta fuori pista. Il traditore di cui ci parla Amos Oz non è un “ex” né soffre della sindrome dell’ “ex”.  Il traditore che sta al centro della storia che ci propone Oz non è uno che è passato  dalla parte dell’avversario. E’ uno che improvvisamente percepisce i limiti della propria parte, senza abbandonarla, ma volendo riformarla.  Ciò che tradisce così sono le convinzioni profonde presenti nella propria parte, sottolineandone le contraddizioni, ponendo problemi, questioni che ritiene ineludibili e rivolgendoli prima di tutto e principalmente  ai propri.

Il suo obiettivo, la sua posta in gioco, è la scommessa sul cambiamento che non si fonda sull’atto dell’abbandono, ma su quello del cambiare alcune variabili e dimostrare la debolezza, la scarsa lungimiranza, il “fiato corto”, di qualcosa che è connotativo del proprio mondo di appartenenza. Il tradimento, dunque, non è passare dall’altra parte, ma rovesciare o scombinare radicalmente l’assunto e il modello argomentativo su cui si è retta la retorica, la struttura argomentativa e la scala delle priorità della propria parte. In un’epoca di trasformazione, si diventa traditori, se si interrompe la continuità rispetto al prima, ovvero se si prova a pensare, prima o oltre il proprio tempo.  Forse ad avere un pensiero divergente.

A fronte di questa condizione in  Italia, invece, sta diffondendosi un linguaggio fondato sull’interdetto. Lo caratterizza un clima intriso di rancore in cui conta il passato, e se alle domande del presente si risponde con il criterio della fedeltà.  Un linguaggio in cui la sfida di innovare, è tenuta sotto ricatto, dalla possibile condizione di solitudine.  Il confronto politico veste, ancora una volta, le maschere dell’ eresia e del canone. Siamo in Italia, ancora una volta, impastati in una nuova guerra di religione?

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