Partiti e politici

Grigio è il futuro del PD

10 Luglio 2017

Tre giorni di franca discussione, tra alcuni importanti esponenti del Partito Democratico, insieme ai tanti attivisti accorsi per interrogarsi sul futuro del partito. Quale la cifra emersa da questa sorta di approfondita auto-analisi? Non certo rosea, come accadeva invece almeno fino a due anni fa, quando forte era la speranza che i diversi segretari, succedutisi dal 2007 in poi, riuscissero ad indirizzare il partito verso una piena maturità.

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La crescita, pur tra errori, ripensamenti e cambi di linea politica, sembrava fino ad allora lenta ma decisa, capace di portare questo nuovo soggetto politico verso lidi inediti, eppure decisivi, un punto di riferimento stabile per il futuro del frastagliato e cangiante panorama italiano.

Lo scorso anno, ma soprattutto quest’anno, nei toni degli interventi si alternavano note di scoramento a tiepidi accenni di possibile ripresa del partito e, soprattutto, del suo segretario. Il mantra sottostante era facilmente avvertibile: bisogna cambiare, e presto, per riuscire a tornare davvero quel punto di riferimento della politica nostrana che si ipotizzava nel passato.

Occorre dare agli elettori, ai propri ma soprattutto agli altri, dicevano un po’ tutti, il senso di una proposta chiara, definita, un progetto che rimanga stabile nel tempo, con iniziative legislative comprensibili e coerenti, che non si basano sull’emozione del momento o sull’urgenza occasionale. Questa, soltanto questa è la strada da percorrere per ricucire un legame tra Pd e paese che si è andato perdendo, poco alla volta, dal 2015 fino ai nostri giorni, e culminato negativamente nella sonora sconfitta del referendum del 4 dicembre.

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La riconferma di Renzi a capo della segreteria nazionale, se è riuscita a compattare in qualche modo elettori, militanti e attivisti intorno alla sua figura di leader (l’unico possibile, oggi) ha dall’altra parte allontanato ancor di più la fiducia degli “altri” italiani nel Pd, che non vedono più l’ex-sindaco di Firenze come una risorsa per far cambiare davvero il paese, come invece accadeva nel suo primo periodo di governo.

Non soltanto il partito, ma anche e (soprattutto?) il suo segretario devono dar prova di aver compreso l’umore degli elettori, cambiando decisamente marcia in favore di un’azione politica intellegibile, che dia una visione del futuro e della società che possa essere compresa e, nel caso, condivisa. Senza parlare costantemente di possibili alleanze, né di formule elettorali, né di affrettate risposte agli eventi quotidiani.

Insomma, si invocava il ritorno ad un partito “serio” e programmatico, che sappia indicare un percorso ed una meta forte, che prefiguri una società possibile. Altrimenti, le parole d’ordine degli avversari, contro la paura, il timore e la solitudine, diverranno l’unica ancora di salvezza per una cittadinanza sempre più confusa ed erratica.

Un cammino difficile, ma l’unico da percorrere. I prossimi 7-8 mesi, sottolineavano in molti, saranno decisivi, per comprendere se il Pd riuscirà a sopravvivere, e a ridiventare il motore di un positivo cambiamento, oppure a rinunciare al ruolo che si è preposto al momento della sua nascita.

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Eravamo in una valle sotto il monte Disgrazia. E il cielo era plumbeo. Ma in tutti forte era la voglia di ricominciare a sperare.

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