Partiti e politici
Gramsci, Casaleggio e l’educazione politica
Potrebbe un garzone di salumiere azzardarsi a fare un trapianto cardiaco? In Italia sì. E’ il caso dell’Onorevole Di Maio che, senza scienza né esperienza, si improvvisò negoziatore in una questione intricatissima come il destino della più grande acciaieria d’Europa, l’Ilva di Taranto e affermò “Abbiamo risolto la crisi dell’Ilva in tre mesi”. La tragica pantomima sull’Ilva potrebbe essere solo l’avvisaglia di ciò che incombe se molti come lui agissero con la certezza di saper risolvere in quattro e quattr’otto i problemi più complessi del paese e del Pianeta – per esempio il cambiamento climatico.
Per capire le origini di questo fenomeno occorre considerare come sono stati formati i quadri del Movimento 5 Stelle durante il decennio della sua esistenza. Di questi dieci anni ho fatto un bilancio nel mio libro Snaturati – Dalla social-ecologia al populismo – (auto)Biografia non autorizzata del Movimento 5 Stelle.
In dieci anni, effettivamente, si può formare un cardiochirurgo. Perché allora non si possono formare futuri ministri? Il giovane pluriministro che “risolse” la crisi dell’Ilva si vantò un giorno di non leggere i giornali e di informarsi sui social media. Dimostrò così di aver assimilato la lezione dell’organo del suo partito, il Blog delle Stelle, che diceva “Oggi abbiamo la conferma che le uniche informazioni veritiere, la verità, nascono e si propagano attraverso la rete. È finito il mondo del cartaceo e della televisione (…)”.
Perché è arrivata al potere una pretesa giovane classe politica che crede alla “verità nella rete” come i bambini credono a Babbo Natale e che dell’incompetenza fa una bandiera? A mio avviso la risposta va cercata nella concezione della formazione del personale politico che fu dell’inventore del Movimento 5 Stelle Gianroberto Casaleggio (1954-2016). Un confronto con un’altra concezione della formazione del personale politico, ossia con l’ardore pedagogico dell’intellettuale e leader politico Antonio Gramsci (1891-1937), può essere illuminante.
Gramsci e Casaleggio
Il 1° maggio 2019 è ricorso il centenario della fondazione della rivista L’Ordine Nuovo di Antonio Gramsci. Il 2019 è anche l’anno dell’inizio del reale insediamento governativo del Nuovo Ordine di Gianroberto Casaleggio (vedi oltre). È nel 2019, infatti, che i suoi seguaci si sono pienamente installati al governo. La differenza di statura e di biografia tra Gramsci e Casaleggio è enorme. Casaleggio però è rilevante perché, a differenza di Gramsci, riuscì a mandare al governo i suoi seguaci. Lo fece a colpi internet, con pochi adepti, senza soldi e nell’indifferenza dei media. La sua impresa fu notevole. Il suo pensiero, invece, non mi sembra imprescindibile (“Un’idea non è di destra né di sinistra. È un’idea. Buona o cattiva”).
Il Nuovo Ordine Mondiale di Casaleggio
La lunga marcia di Casaleggio verso il governo comincia nel 2005, quando egli crea e redige un sito detto “Il Blog di Beppe Grillo” (beppegrillo.it). Impressionato dai milioni di click che la sua azienda raccoglie grazie alla fama di Grillo, Casaleggio si sente nientemeno che l’avanguardia di un nuovo ordine mondiale. Non sto scherzando. Gaia, un Nuovo Ordine Mondiale è il titolo di un video di sette minuti del 2008 che espone il credo politico di Casaleggio. Il filmato riecheggia le tecno-utopie fiorite in California negli anni ’80, e per questo chiamate L’ideologia californiana in un saggio di Barbrook e Cameron. Ispirandosi a quelle visioni digitaliste, il video Gaia, un Nuovo Ordine Mondiale abbozza le tappe della civiltà, intesa come storia di crescenti connessioni di persone, gruppi e popoli. Ora però, dice il video, l’umanità è di fronte a una svolta di civiltà. Con le nuove tecnologie informatiche gli abitanti della Terra gestiranno dai loro computer con la loro “intelligenza collettiva” la politica del Pianeta. Nascerà così una democrazia digitale, diretta e mondiale.
Riprese trent’anni dopo, le tecno-utopie statunitensi sembrano fuori tempo massimo, quasi come un western all’italiana. Eppure è proprio dalla chimera digitale di Casaleggio che partì la lunga marcia dei suoi seguaci. Ci piaccia o no, è anche da costoro che oggi dipendono l’economia e la politica internazionale di un Paese del G7 come l’Italia, nonché il benessere o il malessere dei suoi abitanti.
L’anti-pedagogia di Casaleggio
Dopo quasi un anno al potere molti dei governanti digitalisti non sembrano all’altezza delle loro ambizioni. La modestia delle biografie di molti di loro, delle loro capacità e dei loro risultati non è casuale, ma è il frutto di un cardine dell’ideologia di Casaleggio: la anti-pedagogia politica, ossia il rifiuto di ogni istanza orizzontale per elaborare una cultura comune. Per “pedagogia politica” intendo la messa a disposizione di strumenti culturali a chi è socialmente subalterno per permettergli di emanciparsi – non un indottrinamento dall’alto. Per “strumenti culturali” intendo diversi saperi, discipline e culture – non le sole scienze politiche. L’instancabile ardore pedagogico di Gramsci fu stimolo ad istruirsi, elevarsi, dibattere, acquisire cultura e competenze. Quell’opera permise a semplici lavoratori di acquisire consapevolezza storica per diventare sindacalisti e politici. Per pedagogia politica intendo anche l’offerta di saperi da parte di chi ha fatto della cultura una professione. I grandi movimenti di emancipazione del novecento furono possibili perché milioni di persone di origine modesta beneficiarono di una pedagogia politica nelle organizzazioni d’ispirazione socialista e d’ispirazione cristiana. Non può esserci democrazia, se non c’è educazione alla democrazia. Per questo, a cent’anni dalla fondazione, vale la pena di riesaminare la straordinaria esperienza de L’Ordine Nuovo.
L’Ordine Nuovo di Gramsci e il Nuovo ordine di Casaleggio
L’Ordine Nuovo fu una rivista fondata a Torino il 1º maggio 1919 da Antonio Gramsci e altri intellettuali socialisti torinesi come Angelo Tasca, Umberto Terracini e Palmiro Togliatti, per organizzare un movimento politico di emancipazione delle classi popolari e renderlo capace di rovesciare l’ordine costituito. Quasi cento anni dopo, anche Casaleggio volle suscitare un movimento popolare per rovesciare l’ordine costituito e sostituirgli il suo Nuovo Ordine. Appena finita la prima guerra mondiale in Europa ci furono fermenti rivoluzionari, ma nessuno aveva un’idea di come sarebbe stato un Paese governato dai “consigli” o dai soviet. Similmente nessuno ha oggi un’idea di come sarebbe un Paese governato da una ceto di user con i loro computer, server e piattaforme. Gli strumenti dei due movimenti furono consoni ai tempi: nel 1919, un giornale autoprodotto; dal 2005, un Blog politico in internet.
Certo, gli anni venti furono un’epoca di drammi, mentre la nostra sembra, in Italia, un’epoca di commedie politiche. Eppure questa parziale comparazione tra L’Ordine Nuovo di Gramsci e il Nuovo Ordine di Casaleggio mi sembra utile per capire ciò che i suoi seguaci fanno al governo e in Parlamento.
L’unica cosa in comune tra L’Ordine Nuovo e “il Blog” è la loro funzione di agitazione politica. I contenuti, invece, sono ben diversi. L’Ordine Nuovo di Gramsci fu una rivista di molte pagine, con decine di articoli di alto livello culturale, ma scritti in lingua semplice. “Il Blog” di Casaleggio, invece, pubblicava ogni giorno (dal 2005 al 22 gennaio 2018) uno o due “post” anonimi e i suoi contenuti erano quasi sempre di polemica o scherno delle persone appartenenti alle sinistre, ai sindacati e, molto raramente, ai partiti di destra.
La missione de L’Ordine Nuovo fu di acculturare e organizzare gli operai per permettergli di diventare protagonisti della storia. Il motto del giornale era: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. (…)”. Sia L’Ordine Nuovo di Gramsci sia il Nuovo Ordine di Casaleggio chiamarono alla lotta, ognuno contro un ordine sociale che essi volevano spazzare via (Casaleggio: “siamo in guerra”, “tutti a casa!”). Il nuovo ordine sarebbe stato migliore del vecchio, perché governato dalla creatività del popolo. Le rispettive forme di auto-organizzazione furono nel 1919 i “consigli” nelle fabbriche, e dal 2005, per i 5 stelle, i Meetup, ossia gruppi di attivisti coordinati nella piattaforma meetup.com.
Entrambi i movimenti scaturirono da turbolente transizioni della tecnica: cento anni fa, la rivoluzione industriale, oggi la rivoluzione digitale. Il progetto di Gramsci mirava alla liberazione dei lavoratori dai capitalisti, quello di Casaleggio mira alla liberazione dei “cittadini” dai “politici” (!). “Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza” scrisse L’Ordine Nuovo. Organizzatevi nei Meetup “per trasformare una discussione virtuale in un momento di cambiamento” scrisse “il Blog”.
Permanenza ed evanescenza
L’Ordine Nuovo è tanto rilevante che la sua raccolta (1919-1925) è ancora acquistabile su carta e scaricabile da internet. Anche il Blog di Casaleggio (2005-2018) sarebbe molto rilevante per la storiografia di questi anni, ma esso sparì in buona parte nella notte del 22 gennaio 2018, quando Grillo tolse a Casaleggio il dominio beppegrillo.it. Per tredici anni “il Blog” di Casaleggio plasmò il personale del Movimento 5 stelle. Studiando quel corpus di migliaia di pagine sarebbe possibile capire come si foggiarono l’ideologia, i discorsi e il gergo di quei politici 5 stelle che ora sono al governo, nei parlamenti e nei Comuni. Ma un partito digitale può cancellare la sua storia con un click. Questo gli permette di fare una sorta di “reset” politico, e di ripresentarsi sulla scena come partito nuovo. E’ questo che avvenne nel gennaio 2018, dopo quello che Aldo Giannuli[1] definì il “colpo di stato” di fine 2017, ossia la rifondazione da parte di Davide Casaleggio e Luigi Di Maio di una nuova Associazione Movimento 5 stelle.
L’anti-pedagogia di Casaleggio
Le differenze tra la vicenda de L’Ordine Nuovo di Gramsci e quella del Nuovo Ordine di Casaleggio sono molteplici. Ma ce n’è una cruciale, che mi spinge a scrivere questo articolo: la differenza tra la pedagogia politica, così centrale nell’opera di Gramsci e degli “ordinovisti”, e la anti-pedagogia politica di Casaleggio, così radicata nel Movimento 5 stelle.
Il concetto stesso di pedagogia politica è agli antipodi della concezione dei saperi che fu di Casaleggio. Secondo lui, infatti, il luogo dei saperi – così come di ogni altra cosa – è “La Rete”, ossia la parola magica che risponde a quasi tutte le domande. La produzione e la fruizione di cultura saranno quindi frantumate e individuali. Ognuno di noi, solo davanti al computer, comporrà il proprio canone di letture, visioni, audizioni che non sarà uguale a quello di nessun altro. Questo fenomeno di polverizzazione culturale è proprio del nostro tempo ed è potenziato dalla fruizione digitale. Ma per Casaleggio la polverizzazione non fu solo un credo. Essa fu anche un precetto che egli impose al partito. Nel “Blog” e in altri siti e social media del Movimento realizzati dai Casaleggio furono e sono assenti recensioni, brani e citazioni di libri, rubriche culturali, riflessioni, dibattiti, lettere alla redazione. Parimenti, nella struttura del Movimento mancano forme organizzate di dibattito culturale. Anzi, iniziative del genere furono stroncate sul nascere e fecero scivolare alcuni attivisti sulla lista nera. E’ probabile che una variegata coltivazione culturale quasi non esista tra il personale 5 stelle. Da una parte, essa non si trova nel Blog e negli altri siti del Movimento, dall’altra essa è accessibile solo nei giornali del “nemico”, da evitare perchè sempre esecrati e denigrati dalla centrale 5 stelle.
Dalla fondazione del Movimento nel 2009 il suo personale ha avuto dieci anni per maturare. Dieci anni di pedagogia politica gli avrebbero permesso di presentarsi meglio alle responsabilità di governo. Gli avrebbero consentito di selezionare governanti degni. Avrebbero attirato intellettuali e professionisti di valore. Il caso della cooptazione appena prima delle elezioni del 2018 dell’ottimo Professor Lorenzo Fioramonti, ora Ministro dell’Istruzione, è un eccezione che conferma la regola. Una conseguente pedagogia politica avrebbe innalzato il livello di consapevolezza storica e il livello di cultura dei circa 30mila iscritti più attivi che sono il vivaio della classe politica 5 stelle. Tra costoro, ben 15mila si candidarono nel 2018 alle elezioni primarie per cercare di diventare parlamentari. E’ stupefacente che circa metà degli iscritti attivi a un partito si ritenga all’altezza di fare il parlamentare. Questo fenomeno dà una misura di quanto il dogma di Casaleggio “uno vale uno” sia penetrato tra i suoi seguaci, spesso interpretato come “uno vale l’altro”, ossia: chiunque può svolgere qualunque funzione. Probabilmente con un decennio di educazione politica molti di quei 15mila avrebbero capito di non essere maturi per fare i parlamentari.
Book or Facebook
Ho amiche e amici tra gli eletti 5 stelle. Nelle loro case i libri ci sono. Ma nei media del partito non c’è condivisione nè dibattito sui contenuti dei libri. Considerando inoltre l’intensità e l’incalzare delle loro comunicazioni digitali c’è da chiedersi quanto tempo resti ai politici 5 stelle per leggere e discutere libri. La scarsità di tempo per la lettura e per la riflessione è comune a tutti i politici. Ma per i membri di un partito digitale la comunicazione nei molti canali di internet è tanto intensa e impellente, che per loro non è facile limitarla. Nelle nuove generazioni digitalizzate e nel personale 5 stelle, la contesa “book or facebook” probabilmente ha spesso un esisto scontato.
In occasione di una mia rara visita a Roma, un amico parlamentare organizzò una cena in pizzeria con quattro deputati 5 stelle impegnati, come me, nelle politiche ambientali. Lo scopo della cena era conoscersi e scambiarsi esperienze, comparando le politiche in Italia e in Svizzera. Per quasi tutto il tempo, però, i commensali armeggiarono a due mani con lo smartphone. Quando ci lasciammo io non sapevo chi fossero e cosa facessero loro, e loro non sapevano chi fossi e cosa facessi io.
A dieci anni dalla fondazione del Movimento 5 stelle l’assenza di spazi di formazione culturale e politica fa sì che gli intellettuali nei quali si riconosce il Movimento siano personaggi del calibro di Rocco Casalino, Gianluigi Paragone e Lino Banfi, ossia star dello show-business di grande successo commerciale ma di modesto livello culturale.
Frattaglie radical chic e pseudo-intellettuali
Per L’Ordine Nuovo la cultura fu il fondamento dell’educazione politica. Per il Movimento 5 stelle, invece, la cultura è nel migliore dei casi un fatto privato. Più spesso, però, la stessa parola “cultura” desta avversione. Gli intellettuali che criticano il Movimento, infatti, sono sovente definiti con espressioni di cui è difficile spiegare il furore. Forse il loro lo scopo è quello di dimostrarsi popolari, anzi popolani, e di cercare consenso tra gli elettori meno istruiti, aizzandoli verso un nemico indefinito. Prendiamo per esempio le parole dell’ex-Onorevole Alessandro Di Battista, laureato alla facoltà di Lettere e Filosofia. Nel post “La rivoluzione culturale continua!” egli definisce gli intellettuali “frattaglie radical chic o pseudo-intellettuali che guardano il mondo da qualche super-attico”. Forse una pedagogia politica e una cultura del dibattere potrebbero evitargli questa furia. Una raccolta delle ingiurie 5 stelle agli intellettuali (di sinistra, per definizione) sarebbe lunga. Un piccolo campione di altri epiteti sono per esempio “sinistra frou frou”, “piccole ridicole ideuzze”, “bempensantismo” o “cervelli che fiancheggiano la sinistra”.
In effetti in Italia perfino tra i fascisti ci sono intellettuali che partecipano civilmente al dibattito pubblico, senza bisogno di denigrare chi ha idee diverse dalle loro. Nel 5 stelle, invece, gli intellettuali sono rari – per così dire. Gli intellettuali di grande rilievo, poi, proprio non ci sono. Quei pochi che si erano avvicinati se ne sono andati, per esempio Paolo Becchi, Paolo Berdini, Domenico De Masi, don Paolo Farinella, padre Alex Zanotelli, Paolo Flores D’Arcais, Mauro Gallegati, Ernesto Galli Della Loggia, Aldo Giannuli, Fiorella Mannoia, Ivano Marescotti, Michele Riondino, Claudio Santamaria, Gino Strada, Vauro. Il premio Nobel e ex-partigiano Dario Fo sostenne il Movimento per alcuni anni, ma forse si è rivoltato nella tomba dopo aver visto il governo Lega-5 stelle.
Dalli agli esperti
L’avversione dei vertici 5 stelle per i “radical chic” si manifesta anche verso “gli esperti” e “i capaci”. “Dicono che siamo incapaci. Ma guardate come i capaci hanno distrutto questo Paese”. Abbiamo sentito questa frase molte volte. Si tratta di una delle formule con le quali i tecnici della propaganda 5 stelle hanno addestrato i loro politici. L’Onorevole Di Maio la ripeté (in Italiano) perfino all’Università di Harvard il 3 maggio 2017. Nel dibattito seguìto a una sua conferenza in un club di studenti, Di Maio ostentò come se fosse un merito la sua mancanza di studi e ripeté due volte “Gli esperti, i preparati, li ho visti all’opera e vediamo in che condizioni è l’Italia.”
Il vanto dell’incompetenza e lo sprezzo per “gli esperti” sono come sale nelle ferite di una popolazione italiana, ricca di incolti e dilettanti anche nelle alte sfere, e che è tra le meno istruite in Europa, come attestano i livelli dei principali indicatori: analfabetismo funzionale, analfabetismo digitale, indice di competenza degli adulti, percentuale di diplomati e di laureati, numero di giornali e di libri venduti, numero di persone che leggono almeno un libro all’anno, risultati dei test PISA sulle competenze dei giovani. L’Italia, inoltre, è l’unico Paese europeo in cui il numero di nuove iscrizioni all’Università diminuisce, mentre all’estero ovunque aumenta.
La politica del vaffa…
Nel loro rapporto travagliato con la cultura, i vertici 5 stelle aggravano ulteriormente le tare del dibattito pubblico italiano, che già lo rendono più greve di quello degli altri Paesi europei. All’estero, infatti, il confronto tra politici avviene mantenendo il rispetto sia per gli argomenti sia per le persone. Per averne un’idea basta guardare un dibattito nelle televisioni e nei Parlamenti dei Paesi limitrofi.
In Italia, invece, il dominio delle destre nei due ventenni dal 1922 e dal 1994 ha avvelenato il linguaggio politico, sostituendo spesso il discredito delle persone alla critica degli argomenti. Questi eccessi mirano a delegittimare i concorrenti politici, come se essi, pur eletti, fossero degli usurpatori e debbano sparire.
Invece di risanare un dibattito già intossicato, il Movimento lo ha ulteriormente incattivito. Quasi ogni intervento 5 stelle nel “Blog”, in Parlamento, in televisione, sulla stampa, nei comizi, contiene polemiche e spesso denigrazione delle persone, delle idee o dei partiti delle sinistre, negando loro perfino il diritto di esistere. Alcuni slogan, per esempio affermano: “tutti a casa”, “i partiti devono scomparire”, “forse il Parlamento non sarà più necessario” (Davide Casaleggio).
Un fenomeno impensabile in altri Paesi è l’uso del termine “vaffa..!” come parola d’ordine di quello che sarebbe diventato il primo partito del Paese. Le sue due prime manifestazioni di massa, infatti, furono denominate dalla centrale “Vaffa…-Day 1” (8 settembre 2007, per un “Parlamento pulito”), e “Vaffa…-Day 2” (25 aprile 2008, per una “Libera informazione in libero Stato”). Tra i giornali che il Movimento vuole mettere in difficoltà non ci sono solo pubblicazioni fittizie con pochi lettori, ma anche giornali di qualità come Avvenire e storiche cooperative di giornalisti perennemente a rischio come il manifesto. Anche a questo giornale Grillo invitò una piazza gremita a gridare “vaffa…!”.
Siamo in guerra
La centrale 5 stelle ha coltivato una retorica bellica che acuisce la designazione dei concorrenti politici come nemici da annientare: “non si arrenderanno mai”, “siamo in guerra”, “le nostre parole guerriere”. Una caricatura ricorrente nel “Blog” e negli altri siti e media della centrale – quasi un logo – raffigura Grillo con un elmetto militare. “Siamo in guerra” è anche il titolo di un libro di Casaleggio e Grillo. “Siamo sotto attacco” è la frase che si sente spesso tra i 5 stelle quando un magistrato, un giornalista o un politico informano su fatti imbarazzanti oppure esprimono giudizi sgraditi.
Il livello di conflittualità esasperata del Movimento è perseguito dalla centrale probabilmente con due scopi. Primo, attirare le persone più arrabbiate, che spesso hanno un minore livello di cultura e sono più influenzabili. Secondo, creare uno “stile 5 stelle” con cui forgiare il vocabolario del personale politico. Questo tono belligerante ha anche il vantaggio di simulare uno “stato di guerra”, nel quale si accettano gli ordini senza discutere.
Questa formattazione aggressiva del discorso politico è stata pervasiva proprio grazie alla natura digitale del partito e dei suoi media. E’ noto che la comunicazione digitale, specialmente nei social media, stimola l’espressione volgare e odiosa (hate speech). L’impulso all’aggressività è ancora più forte sugli scriventi anonimi, come fu il caso di quasi tutti i post e i commenti nel “Blog”. Molti di questi commenti sono volgari e aggressivi, arrivando a volte anche alle minacce.
Cinque stelle, tre torti
La strategia di comunicazione della centrale 5 stelle ha tre torti.
Il primo torto della comunicazione del Movimento è lo scherno selettivo verso le sinistre (la “sinistra frou frou” o “radical chic”). Questa derisione permanente non è una critica di idee o di atti politici, ma è piuttosto una denigrazione a priori. Ne consegue che il personale 5 stelle e l’opinione pubblica sono stimolati ad odiare le persone con ideali di sinistra solo perché sono di sinistra, non a criticarle per quello che dicono o che fanno. Questo rancore è simile a quello di certi tifosi di calcio per i tifosi di squadre avversarie. Nei social media del Movimento e nei commenti nel “Blog”, per esempio, l’insulto più frequente è stato per un decennio “pidiota” o “piddino” , rivolto non solo a iscritti e elettori del Partito Democratico, ma anche a chiunque esprima un’idea sgradita. La fulminante e inaspettata coalizione d’agosto con il Partito democratico ha messo la sordina alle solite ingiurie. Ma questa sordina basterà a sradicare un’abitudine praticata per un decennio?
Esaltando i successi del Movimento, Grillo disse dopo le elezioni del 4 marzo 2018: ”Siamo riusciti ad azzerare tutti i partiti, che si sono sciolti in una specie di diarrea nauseante”. Una frase del genere pronunciata da chi rappresenta il più votato partito italiano è il risultato di una politica sempre più segregata nello spazio digitale, ossia in un contesto che favorisce scherno, volgarità e menzogna. Alle elezioni del 4 marzo, per esempio, solo undici milioni su 51 milioni di elettori votarono per il 5 stelle, mentre 24 milioni votarono per i partiti che, secondo Grillo, si sono “azzerati e sciolti in una specie di diarrea nauseante”. Tra i partiti cosiddetti “azzerati” il Partito Democratico raccolse il 19% dei voti e la Lega il 17%. Solo questi risultati dei due partiti “azzerati” permisero al Movimento di andare al governo prima con uno e poi con l’altro.
Il secondo torto del Movimento è di dipingere come associate la cultura e la ricchezza. Nella sua comunicazione, infatti, si insinua che “gli pseudo-intellettuali radical chic nel loro super-attico” siano per definizione ricchi. Di conseguenza l’ostentazione di scarsa cultura e di un linguaggio sgangherato e volgare sarebbe testimonianza di genuinità. Poco importa se tanti colti sono poveri e se tanti ricchi sono incolti. Gli intellettuali sgraditi sono comunque per definizione “radical chic” da salotto, anche quando essi sono studenti, insegnanti, sindacalisti, o impegnati nel volontariato.
Il terzo torto del 5 stelle è di dipingere come associate la competenza e la disonestà. Siccome alcune persone competenti sono state disoneste, l’incompetenza assurge a vaccino contro la disonestà. Un’espressione di questa avversione alla competenza è la fortuna dell’Onorevole Luigi Di Maio, un 32enne senza studi né esperienza significativa di lavoro o di responsabilità esecutive. E’ proprio una persona così che la centrale ha scelto per ricoprire contemporaneamente, nel 2018, sei incarichi difficilissimi: “capo politico” e tesoriere del Movimento, deputato, ministro del lavoro, ministro dello sviluppo economico, vicepresidente del Consiglio. Per confronto, leggiamo Gramsci nell’Ordine Nuovo: “Questo super-statista sarà l’uomo che avrà un ampia conoscenza delle discipline e delle applicazioni tecniche della scienza economica, della scienza politica, e della psicologia sociale. Sarà erudito non meno di un professore e sarà un’idealista; ma a differenza di tanti professori e idealisti, egli sarà l’uomo capace di pensare in una situazione concreta, e ancora, a maggior differenza dei professori, se non degli idealisti, sarà l’uomo che attua le conclusioni del suo pensiero con volontà ferrea”.
Palestra di discussioni, studi e ricerche?
Fin dall’Ottocento le avanguardie dei movimenti popolari si adoperarono per la crescita culturale e politica dei loro militanti e delle classi subalterne. Per creare un ordine nuovo occorreva elevarsi leggendo, studiando, scrivendo, dibattendo. Occorreva ispirarsi a maestri ed esempi umanisti e della letteratura, non solo della politica.
Ne L’Ordine Nuovo si recensivano libri con un linguaggio semplice e preciso. “La battaglia delle idee” era il titolo di una rubrica. L’editoriale del primo numero diceva: “Questo foglio esce per rispondere a un bisogno profondamente sentito dai gruppi socialisti di una palestra di discussioni, studi e ricerche intorno ai problemi della vita nazionale ed internazionale (…)”.
Per il Nuovo Ordine a 5 stelle qual è la “palestra di discussioni, studi e ricerche intorno ai problemi della vita nazionale ed internazionale”? Quali sono gli ambiti collettivi dove ci si coltiva leggendo, studiando, scrivendo, dibattendo? Quali sono le riviste di approfondimento, i convegni, i dibattiti pubblici? Quali libri di spessore letterario o politico hanno scritto i 5 stelle di successo? Quali grandi scrittori sono “compagni di strada” del Movimento? Dove sono i Vittorini, i Pavese, i Malraux, i Neruda, i Vargas Llosa, gli Havel, i Günter Grass del Movimento 5 stelle? Con quali altri pensatori di orientamento diverso dal loro si confronta il personale 5 stelle? Purtroppo la risposta a queste domande è: nessuno. Queste disaffezioni sono forse comuni alla “generazione digitale”. Forse i 5 stelle sono solo il sintomo di una disimpegno generale dalle forme di coltivazione politica degli ultimi duecento anni. Nel Movimento però un fenomeno che altrove è blando diventa un marker politico, perseguito come fondamento ideologico. “Oggi abbiamo la conferma – si legge nel “Blog” – che le uniche informazioni veritiere, la verità, nascono e si propagano attraverso la Rete. È finito il mondo del cartaceo, il mondo della televisione (…). Tutta la gente che naviga on line può fare informazione.”
Chi pensa cosa
I 5 stelle non si pongono come un ulteriore partito. Essi dichiarano di essere un movimento rivoluzionario che vuole far scomparire tutti i partiti e creare strumenti politici digitali con i quali “i cittadini” (in realtà solo gli user) si possano autogovernare. Da due secoli i movimenti di riforma o di rivoluzione si sono dati giornali e riviste per coltivare saperi e idee comuni. In Italia i movimenti socialisti si dotarono di altre riviste, oltre a L’Ordine Nuovo, per esempio L’Avanti, l’Unità, L’Avvenire dei lavoratori, Il Politecnico, Rinascita, Il Calendario del popolo. Nel mondo 5 stelle, invece, non esistono riviste, non esistono giornali. Non c’è modo di sapere chi pensa che cosa. Non esiste scambio nè dibattito. Non c’è un patrimonio di idee comuni. E’ difficile trovare parole condivise al di là di “tutti a casa”, “uno vale uno” e “a riveder le stelle”. Questo vuoto ideale e programmatico si manifesta anche nei brevi testi di autopresentazione alle primarie per candidarsi al Parlamento. Molti di essi promettono semplicemente di “stare dalla parte dei cittadini” e “fare una politica nuova”.
Questa povertà d’idee inquieta per due motivi. Primo: quando i dilettanti della politica arrivano a incarichi dove occorre professionalità, come possono governare senza cultura politica ed esperienza? Secondo: senza una concezione politica da mettere in pratica, il movente principale per volere essere eletti in Parlamento diventa facilmente il potere, ossia il “mandare tutti a casa” semplicemente per prendere il loro posto. In tal caso l’unico criterio per appoggiare qualcuno diventa la simpatia, il rapporto personale o lo scambio di favori.
In conclusione, il confronto tra la vicenda de L’Ordine Nuovo di Gramsci e quella del Nuovo Ordine di Casaleggio rivela, come c’era d’aspettarsi, differenze insormontabili di cultura, di politica e di personale. Tuttavia, le circostanze storiche hanno voluto che il movimento de L’Ordine Nuovo, malgrado la sua ricchezza, fosse sconfitto, mentre il movimento del Nuovo Ordine, malgrado la sua pochezza, andasse al governo. Non a caso però il non aver voluto in dieci anni coltivare o attirare una classe politica di governo ha costretto il Movimento 5 stelle ad affidare diversi ministeri a tecnici reclutati all’ultimo momento.
Il Movimento 5 stelle è un caso estremo di negazione consapevole di ogni pedagogia politica e di ogni maturazione culturale comune. Va però riconosciuto che gli altri partiti, in particolare le sinistre, non stanno meglio. Con l’aggravante che, mentre il vuoto culturale 5 stelle è prescritto per metodo, il vuoto culturale delle sinistre italiane è un fenomeno spontaneo. Senza un lavoro paziente per colmare questi vuoti di cultura politica, né il Movimento 5 stelle né gli altri partiti sapranno governare un società sempre più complessa in tempi sempre più difficili. Per dirla con i digitalisti: nessun hardware serve a qualcosa senza un buon software.
[1] Aldo Giannuli, politologo dell’Università di Milano, e elettore 5 stelle, fu incaricato da Casaleggio di scrivere numerosi post pubblicati nel Blog per spiegare le possibili opzioni per una eventuale legge elettorale del Movimento 5 stelle, sulle quali fu chiesto agli inscritti di votare.
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