Partiti e politici
Governi più stabili nel favoloso mondo di Panebianco
Domenica, il principale quotidiano italiano ha pubblicato, in prima pagina, un editoriale lungo e pasticciato per spiegare che “se si ritiene che la riduzione della frammentazione partitica sia un bene, allora bisogna sapere che ciò può avvenire solo se si mette mano alla forma di governo (e al sistema elettorale)”. Anche ad un osservatore acuto come Panebianco sfugge che la forma di governo parlamentare è la forma di governo di gran lunga dominante in Europa, così come lo è il sistema elettorale proporzionale. E sorprende che, per portare acqua alla revisione costituzionale che la destra sta imponendo, Panebianco scelga come esempi virtuosi i due sistemi più disfunzionali d’Europa: la quinta repubblica francese, del cui stato di salute ci raccontano le ultime ore, e il sistema britannico, dove un sistema elettorale maggioritario non garantisce né la maggioranza in parlamento (Panebianco ha dimenticato la coalizione Cameron-Clegg del 2010-2015?), né la stabilità dei governi: negli ultimi cinque anni il Regno Unito ha avuto quattro premier (May-Johnson-Truss-Sunak), uno in più dell’Italia.
Per risolvere l’instabilità italiana, purtroppo, non basta una legge elettorale nuova. Al contrario, basti questo esempio: alla Camera, durante la I legislatura, eletta con un sistema puramente proporzionale, senza alcuna soglia di sbarramento, ci furono otto gruppi parlamentari, incluso il gruppo misto. Durante la XII legislatura, la prima eletta con un sistema elettorale maggioritario, i gruppi parlamentari furono 11. Nelle successive due legislature, elette sempre col sistema maggioritario, se contiamo anche le nuove “componenti” del gruppo misto, arriviamo facilmente ad una ventina di gruppi. Il sistema elettorale maggioritario avrebbe forse ridotto il numero di partiti, se i partiti si fossero presenti alle elezioni coi loro simboli. Al contrario, permettendo a partiti e partitini di correre insieme dietro simboli di coalizioni vastissime, il numero di partiti è cresciuto in modo esponenziale. Perciò, caro Panebianco, non basta un sistema elettorale a liberarci di vizi come il notabilato e il trasformismo. Bisognerebbe iniziare da regolamenti parlamentari più severi – una prospettiva poco succosa, ma l’unica reale se si tiene al risultato.
Infine, immagino che ad un liberale come Panebianco stia abbastanza a cuore il principio della separazione dei poteri da non barattarlo con la promessa di allungare un po’ la durata dei governi. Intanto, ricordiamoci che l’elezione diretta del premier, nel mondo, non esiste. Ci hanno provato solo in Israele e andò così male che l’archiviarono subito. Per rafforzare l’esecutivo mantenendo intatta la separazione dei poteri ci sono due strade: il (semi)presidenzialismo, rispettivamente, alla francese o all’americana o un cancellierato come in tanti sistemi parlamentari europei, incominciando dalla Spagna e dalla Germania. Vista la polarizzazione di Francia e USA, mi sembra evidente in che direzione convenga andare. Il cancellierato si fonda su due tecnicismi che difficilmente accenderanno il dibattito politico: la sfiducia costruttiva, per cui il parlamento non potrebbe sfiduciare il capo del governo senza aver individuato un successore che verrebbe automaticamente nominato col voto di sfiducia, e la possibilità per il presidente del consiglio di nominare e revocare i suoi ministri. E il cancellierato funziona davvero: mentre in Francia e Regno Unito si alternavano quattro premier, in Germania ce ne sono stati due (Merkel e Scholz), in Spagna uno. Una riforma in questo senso avrebbe un forte impatto sostanziale, senza peraltro stravolgere la nostra forma repubblicana.
Insomma, è ingenuo pensare di correggere il trasformismo italiano con una riforma elettorale o con l’elezione diretta del premier, e non serve stravolgere la costituzione per migliorare il funzionamento delle nostre istituzioni. È strano che un osservatore attento come Panebianco non se ne sia accorto.
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