Partiti e politici

Gli sloggiati come i miserabili di Victor Hugo. Ed il potere tace

16 Luglio 2018

La loro è una condizione particolare che sa di disperazione amara; si prova l’annichilimento, perché si è consapevoli che non esista altra soluzione che capitolare.
L’aveva descritta Hugo, in un capolavoro della letteratura mondiale, I Miserabili.
Lo scrittore francese voleva “illuminare la notte”: la notte buia della miseria, dell’infamia sociale, dove si perde ogni carità e la pietà non c’è, ove la solidarietà non può sopperire al diritto.
La pena è più incisiva del precetto violato; non c’è l’aequitas della proporzione: per non pagare si perde la propria casa.

Finisce per essere una sorta di prepotenza del più forte sul più debole, un delitto dello Stato contro l’individuo che va rimosso con tutta la sua famiglia dalla sua casa e buttato fuori, senza sapere cosa faranno e come vivranno. Dormiranno in un’automobile o sotto qualche ponte.
Questo non hanno ancora capito i nuovi arrivati, i politici di recente conio, non hanno preso contezza del dramma sociale: saranno sloggiati, per effetto di una norma iniqua – l’art.560 cpc -, almeno 20 mila famiglie a settimana.

E tutto tace.
Non c’è equilibrio tra il danno causato ( non aver pagato, adempiuto alle obbligazioni di dare, nell’interesse del creditore bancario ) e la pena da irrogare e comminare: uscire di casa ad opera e con ausilio di professionisti, i custodi giudiziari, che hanno fretta di adempiere la loro prestazione iniqua e svolgere la mansione aguzzina, con bramosia confessata spudoratamente – volgare cupidigia – perché anelanti parcelle satisfattive di facile preda, da liquidarsi in prededuzione, prima anche di creditori privilegiati.
Ed hanno la cravatta ben annodata, come quella dei colletti bianchi. Un potere bieco, protetto da una norma lesiva – l’art. 560 cpc – della sacra Carta, quella Costituzionale.
La punizione, ci ricorda Hugo nel suo bellissimo romanzo, quando supera il delitto non è pregna di verità, ma di iniquità.
Gli sloggiati diventano come “i miserabili”, vivono solo con la tenebre, vanno a tentoni, come ciechi che non assaporeranno il bagliore della luce.

C’è solo l’attesa di orribili precipizi, di cupe prospettive di un destino amaro: lasciare la propria casa, culla della crescita di figli, incrocio di gioia e dolori, ma comunque nido di formazione, ove si è educati ed allevati: quelle mura non si vedranno più e non proteggeranno le miserie quotidiane e non ripareranno dalle guerre che una società, fatta di canea, propina violentemente.

Sempre ne I Miserabili Hugo ci rammenta che un debito è l’inizio della schiavitù, perché il creditore è peggio del padrone, possiede la persona del debitore e ne può schiaffeggiare la sua dignità.
Gli sloggiati andranno come i miserabili nel “terzo soppalco”: il bassofondo, oscuro sottosuolo che sprofonda talvolta sotto la civiltà e che la nostra indifferenza e la nostra noncuranza calpestano sotto i piedi. È una caverna buia senza ritorno, ove la disperazione annerisce.
Fanno corpo unico con l’oscurità, perché si perdono nell’ossessione del dolore: lo Stato persecutore nicchia, dorme.

I miserabili, gli sloggiati sono come anime sbocciate ieri, avvizzite oggi, simili a quei fiori caduti per la strada che il fango corrompe in attesa che una ruota li schiacci.
Andranno, nell’indifferenza generale e tetra del potere a dormire nei fossi e avranno la luce delle stelle, come quella pallida di un lampione sfocato.
La caduta è profonda, la carità non arriva.
La disperazione, dirà Hugo, precede l’agonia.
Urge un decreto legge che tolga l’abominio, l’art. 560 cpc, scritto per padroni volgari: le banche. 
E questo Sergio Bramini, persona perbene, galantuomo, lo sa.

 

 

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