Partiti e politici
Gli elettori Pd e M5s: così vicini, così lontani
Una delle possibili armi in mano al centro-sinistra per poter vincere le prossime elezioni, qualsiasi sia il tipo di legge elettorale venga utilizzata, è come noto quella di stabilire un accordo più o meno organico con il Movimento 5 stelle nella sua versione “contiana”. Giuseppe Conte, dopo il suo inizio apparentato con la destra sovranista di Salvini, negli ultimi due anni sembra essersi posizionato stabilmente nell’area opposta, legandosi sempre più strettamente ad uno schieramento che vede la presenza fondamentale del Partito Democratico.
La presenza di due coalizioni contrapposte in uno scenario sostanzialmente bipolare, come già nei primi anni della seconda repubblica, garantirebbe una competizione più equilibrata tra un centro-destra maggiormente compatto, e oggi quasi certamente vincitore in una situazione tripolare, e un’area diciamo così “progressista” che vedrebbe riproporsi uniti i partiti che sostenevano il secondo governo Conte.
Ma se da un punto di vista meramente computazionale, sommando cioè le attuali stime di voto per i partiti di ciascuna area, i due schieramenti hanno un livello di consensi non troppo distante, molti osservatori manifestano i propri dubbi sulla possibilità che si possano realmente “sommare” gli elettori di Pd e M5s, ipotizzando che queste due forze politiche potrebbero pescare di fatto nel medesimo campo politico. Se dunque si unissero, non riuscirebbe a portare tutti quegli elettori, molto simili, che ora hanno a disposizione all’interno della nuova coalizione.
Ma sono davvero simili, oggi, gli elettorati delle due formazioni? Analizziamo le loro caratteristiche sulla base dei più recenti sondaggi. Dal punto di vista delle variabili socio-demografiche, si nota come il Pd abbia un consenso maggioritario tra gli anziani, mentre il M5s sia più presente tra le generazioni più giovani, fino ai 40-45enni; il Pd è forte tra i laureati, mentre il M5s lo è in particolare tra i diplomati; il Pd è il partito dei pensionati e degli impiegati, mentre il M5s, al pari della Lega, è molto votato dagli operai e dai disoccupati. Gli elettori Pd dichiarano per quasi il 60% di non avere particolari problemi economici, percentuale che si abbassa al 31% tra gli elettori M5s. Ancor più evidente la spaccatura territoriale: Pd cono maggiori consensi nelle aree più settentrionali del paese (e soprattutto nei centri maggiori), mentre il M5s ha il suo centro di attrazione prevalente in quelle più meridionali e nei comuni intermedi.
Rispetto all’autocollocazione politica, come è ben noto, i pentastellati si dividono equamente (intorno al 40%) tra coloro che si dichiarano di sinistra o centro-sinistra e coloro che non si riconoscono in questa dimensione. Nel Partito Democratico è ovviamente nettamente maggioritaria la scelta della sinistra o del centro-sinistra (quasi il 90%). La maggioranza infine di chi vota M5s non manifesta fiducia in Draghi e nel suo governo (solo il 40% si dice favorevole), laddove i dem lo sostengono abbastanza compattamente (quasi l’80%).
Le diversità tra i due elettorati sono a tutt’oggi piuttosto evidenti. Certo, esistono anche alcuni terreni comuni: la diffusa alterità nei confronti di Salvini e Meloni, la grande attenzione per i temi ambientali e dell’innovazione tecnologica, uno sguardo simile per ciò che riguarda l’Europa. Elementi che possono diventare di fatto essenziali per un’ipotesi di collaborazione politica, ma a partire da una differenziazione importante per quanto riguarda le condizioni socio-economiche e soprattutto territoriali, senza dunque il reale rischio di una significativa sovrapposizione.
Università Statale di Milano
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