Partiti e politici
Gli elettori dem preferiscono l’opposizione
Sembra che tutti vogliano governare, ma allo stesso tempo che nessuno lo voglia davvero. Tranne il Partito Democratico, ovviamente. Da quando è nato, il Pd pare destinato a perseguire il suo primo obiettivo, quello della vocazione maggioritaria. E, visto che non riesce a convincere di questa vocazione la maggioranza degli elettori, che per la verità lo votano sempre di meno più passa il tempo, si investe di una caratteristica simile ma diversa: quella di essere diventato un partito di governo. L’unico possibile partito di governo che abbia quella rara caratteristica dell’affidabilità.
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Dalla fine dell’esecutivo Berlusconi, nel lontano 2011, il Pd è infatti stato praticamente sempre al governo, prima sostenendo Monti, poi con Letta premier, insieme al PdL, infine con Renzi e Gentiloni con l’appoggio di una parte del centro-destra. Sette anni in prima fila, e già pregustando, prima della debacle elettorale, un nuovo esecutivo di larghe intese, ancora con Berlusconi, destinato a durare, così pensava, per altri lunghi anni.
Il brusco risveglio non ha portato consiglio. Nonostante la sconfitta, e vista la difficile formazione di un governo stabile, stante i numeri deficitari dei vincitori, si riaffaccia in una parte del Pd la voglia di tornare in qualche modo nella stanza dei bottoni. Come se l’Italia non potesse fare a meno di lui, della capacità dei suoi ministri. Si discute dunque, ai vertici del partito, di quali siano le condizioni migliori per restare là, dentro o almeno vicino a Palazzo Chigi. Se con i 5 stelle, o con un centro-destra più moderato, con Salvini messo un po’ in disparte, oppure addirittura in un governo tecnico o del Presidente. Sempre, ovviamente, per il bene del paese.
Ma i suoi elettori, quegli elettori che sono rimasti nel Pd, certo in decrescita dal 33% del 2008 e dal 25% del 2013, ma pur sempre rappresentanti del secondo partito italiano, che ne pensano realmente? Cosa vogliono fare? Con l’eccezione di pochi sondaggi, peraltro non molto credibili, tutte le altre indagini ci informano che, in realtà, la vasta maggioranza di coloro che hanno votato settimana scorsa per il Pd non ha alcuna voglia di vedere il proprio partito confondersi con le forze politiche che lo hanno osteggiato e dileggiato per tutti questi anni e in particolare durante la campagna elettorale. E che oltretutto hanno obiettivi, parole d’ordine e progetti a volte del tutto antitetici ai suoi.
Soltanto il 33% lo accetta per senso di responsabilità, mentre quasi due terzi degli elettori del Pd non vede di buon occhio un accordo con i 5 stelle (e ancor di più con Lega e centro-destra). Poiché la strada prioritaria da affrontare, secondo loro, è quella di una efficace e decisiva ricostruzione interna, della propria immagine, del proprio percorso politico così ondivago dalla sua nascita ad oggi, che ne impedisca una fine ingloriosa e, per certi versi, prematura. Insomma, che il Pd non diventi davvero un partito mancato, come molti hanno paventato negli ultimi anni.
Per tornare al governo c’è tempo, dicono gli elettori dem. Se gli italiani hanno scelto altre strade, è giusto che siano questi altri a tentare di risolvere i problemi del paese, se ci riescono, con una efficacia almeno pari a quella dello stesso Pd, che non aveva nemmeno lui, in tutti questi anni, maggioranze parlamentari affidabili su cui poter contare per decidere autonomamente le politiche da adottare. L’Italia può sopravvivere anche senza un Pd al governo.
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