Partiti e politici
E se dall’uovo di Pasqua uscisse la presidente del Consiglio Giulia Bongiorno?
La quadratura del cerchio si fa complicata. In geometria, si sa, è impossibile; in politica impossibile è (quasi) niente, ma la nascita di un governo politico – che tanti davano per certo sull’asse Lega-M5s appena qualche tempo fa – sembra decisamente meno facile. Le questioni e le posizioni pubbliche sono note, le riassumiamo brevemente giusto per non perdere di vista il campo da gioco.
Luigi Di Maio, a nome del Movimento 5 stelle, per adesso ha ribadito due condizioni. La prima è che deve fare lui il presidente del Consiglio, perché è il più votato dagli italiani. La seconda è, che siccome i voti del M5S in parlamento non bastano, e lo sanno anche loro, una coalizione è necessaria e indispensabile ma, per quanto riguarda il Movimento, non può vedere in una posizione rilevante Silvio Berlusconi e le sue truppe. Vale a dire che il Movimento 5 Stelle può pensare di governare con la Lega e Fratelli d’Italia, con qualche forzista (meglio se non troppo berlusconiano) in posizione di rincalzo; oppure, cambiando completamente schema, può pensare di coalizzarsi col Pd e LeU. Quest’ultima ipotesi però sbatte contro un muro che, al di là di ogni eventuale intervento di moral suasion futuro, sembra abbastanza alto: è quello del potere di interdizione dell’ex segretario e presidente del Consiglio Matteo Renzi. Come ha detto efficacemente lui stesso, per fare quel governo ci vorrebbe che aderisse alla maggioranza anche Bonifazi. Per il momento, è davvero improbabile.
Resta insommma ampiamente più probabile, per ora, che se qualcosa nascerà nascerà dall’altro lato della storia. Quella che vede Matteo Salvini continuare a ripetere che no, lui non si impunta per avere la poltrona di primo ministro, e che è disponibile a parlare di ipotesi ragionevoli a patto che la ragionevolezza ce l’abbiano tutti, a cominciare dai 5 Stelle. Traduzione: Di Maio deve togliersi dalla testa che il nuovo capo della destra italiana spacchi brutalmente la coalizione con cui oggi governa in diverse regioni e città, che in un prossimo futuro saranno probabilmente molte di più, per andare a fare il junior partner dei grillini, mettendo la propria nave in forte ascesa in un mare tempestoso e pieno di incognite.
Tra le ipotesi che avrebbero senso – non diciamo che hanno probabilità di accadere, ma solo senso – c’è quella che contempla una spaccatura di Forza Italia in due parti. Una, più numerosa e governista, che confluirebbe in modalità da chiarire verso la Lega di Salvini, di fatto garantendo anche la tenuta dell’alleanza nelle giunte già insediate, e rafforzando il processo di “salvinizzazione” della coalizione. Una, minoritaria e di irriddicuibili, che resterebbe aggrappata a Berlusconi e al suo sogno finale e assai malinconico di una riabilitazione taumaturgica per il marchio da lui lanciato quasi 25 anni fa. In questo modo, Salvini vedrbbe fortemente rafforzato il suo pacchetto di mischia negoziale con Di Maio, e quest’ultimo potrebbe provare a rendere più digeribile un’alleanza con una destra quasi completamente post-berlusconiana.
Tanto post-berlusconiana che la persona giusta, come punto di equilibrio, potrebbe essere una donna che nulla ha a che vedere con l’immaginario e la prassi politica e antropologica del berlusconismo, vale a dire Giulia Bongiorno. La sua candidatura a presidente del Senato, infatti, aveva fatto stortare il naso proprio a Berlusconi, perché la Bongiorno era stata fiermanete e pubblicamente contraria a diverse leggi ad personam. Un pedigree abbastanza solido, tanto da poter far passare in secondo piano lo spiccato nomadismo politico (prima finiana, poi montiana, infine leghista) che porta Giulia Bongiorno ai giorni nostri. Politica di primo piano e membro del Cda della Juventus, giusto per dire che di rapporti con i poteri italiani l’avvocata se ne intende.
Intendiamoci, la quadratura del cerchio era e resta assai complicata, e quella di Bongiorno è solo una suggestione da discutere dopo la grigliata di Pasquetta. Ma domani i neo parlamentari torneranno tutti a Roma, e da mercoledì i gruppi saliranno in processione al Quirinale, per dire a Sergio Mattarella cos’hanno in testa. Per uscire dal vicolo cieco disegnato dai numeri servirà parecchia fantasia. Quanta ne serve, ad esempio, per pensare all’ex avvocata di Giulio Andreotti come prima donna presidente del Consiglio di un governo retto dagli (ex) rivoltosi a 5 Stelle e dalla Lega (ex) Nord.
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