Partiti e politici

Giovani e (per ora) renziane: ecco le parlamentari che vogliono prendersi il Pd

9 Febbraio 2015

Il futuro è delle donne (giovani). Almeno a giudicare dai movimenti sottotraccia che agitano il Partito Democratico di questi tempi. Il dopo-Renzi potrebbe prima o poi arrivare e in molti si stanno scaldando. I sondaggi delle ultime settimane sono stati allarmanti, anche se dopo la vittoria ottenuta su Mattarella la popolarità del premier sembra in ripresa. Non lo dice nessuno apertamente, ma sul carrozzone renziano c’è già chi si tiene pronto a saltar giù e non per cambiare partito, ma per preparare l’imboscata al premier, qualora – magari prima della fine della legislatura – il cammino del premier segretario incontrasse delle difficoltÀ inattese. Non si tratta della sinistra interna, dei “gufi” e “rosiconi” alla Fassina, che non si sono mai adattati ad essere guidati e rappresentati da Renzi. Sono i renziani della seconda ora quelli da cui il premier inizia guardarsi di più. Gruppi numericamente ancora acerbi ma da non sottovalutare di giovani deputati, arrembanti e assai ambiziosi. La maggior parte sono donne, più giovani di Renzi ma non temibili soltanto per questo. Hanno contatti con mondi che contano, elevato consenso nei territori da cui provengono e, c’è da giurarci, non si accontenteranno di stare in parlamento da peones. Sognano in grande e studiano da leader. Alla semina di questi nuovi talenti aveva lavorato Pierluigi Bersani, che candidandoli un po’ in tutta Italia, ha provocato un silenzioso ma consistente ricambio generazionale. Il raccolto dei frutti è tutto per Renzi, che ha imbarcato tutti o quasi, ma che resta completamente estraneo, anzi antitetico, al percorso che ha portato molti di questi giovani di razza post comunista ad occupare il proprio seggio.

Miriam Cominelli classe ’81, bersaniana per il momento non ostile al premier, è stata la più votata in assoluto alle primarie per il parlamento. Nel bresciano, da dove arriva, ha totalizzato 6.423 preferenze su 14.591 votanti. Un bottino rastrellato andando porta a porta, fidelizzando i vecchi militanti del partito, con l’appoggio, non secondario, di parte della Cgil. Un radicamento formidabile per la ragazza bresciana che ha raccolto il favore anche di cattolici democratici e di molta gente comune, che l’ha preferita ad altri per la sua anagrafe. Una storia di quelle che avevano colpito lo stesso Bersani, che cerca anche adesso di tenersi ben stretta la giovane deputata. Come altri colleghi ha dovuto votare il pacchetto del jobs act quasi senza fiatare. Un atto pratico di fedeltà a Renzi, “perché la classe dirigente si misura anche dal senso di responsabilità verso il partito”, sussurra un anonimo deputato bersaniano. Però la Cominelli era approdata a Montecitorio con ben altre intenzioni. Nella primavera del 2013, insieme con un’altra collega già assai dinamica tra i banchi del Pd, Giuditta Pini, cercava di introdurre nuove tutele per i lavoratori precari e per tutti gli altri. Un jobs act al contrario, molto gradito ai sindacati e meno agli imprenditori, perché non era prevista la libertà di licenziamento. Che invece ora è stata introdotta anche grazie il suo voto. E a quello della Pini, che continua a collaborare con la collega e con altri.

Ma a differenza di molti ha preso gusto alle ospitate televisive, che sono tra le poche cose utilissime a garantire la visibilità per fare strada. Look sapientemente trasandato, la giovane deputata modenese non ha scrupoli linguistici, parla chiaro e piace molto al pubblico più a sinistra. Insidiosissima per le renziane di stretta osservanza a cui potrebbe in un futuro non troppo lontano, rubare la scena. “Riformare a fondo la legge 30 (la legge Biagi, ndr) sul mercato del lavoro sarà una delle mie prime battaglie in Parlamento”, diceva ai giornalisti prima di approdare a Roma. Poi da “pasionaria” della sinistra si è fatta diversamente renziana. Ma l’apparenza non deve ingannare. A Modena, i suoi tanti sostenitori ci tengono che rimanga coi piedi ben piantati nella tradizione post comunista. Il flop primarie nelle regionali emiliane ha acceso più di un campanello di allarme sulla gestione del partito e sulle capacità di Renzi di aggregare il popolo democratico. Con quei numeri alle prossime primarie sono tutti a rischio rielezione, Pini compresa. Così, con prudenza, è tra i banchi della camera che nascono le nuove alleanze tra giovanissimi. Solo all’apparenza risucchiati nel gorgo delle correnti consolidate e obbedienti ai leader di riferimento. Ma in realtà pronti a prendere il posto della generazione che ora guida partito e governo.

Moretti, Morani, Boschi, Madìa, Bonafé e Serracchiani sono avvertite, per loro è un avviso di sfratto. Non immediato ma incombente. Il tempo delle “ladylike” nel gradimento popolare ha il fiato corto. E i bersaniani e giovani turchi, con differenti sfumature, hanno già ingaggiato la sfida, con una consapevolezza in più: meglio le donne per una prossima eventuale leadership del partito. Renzi si è accorto che le insidie interne sono assai larghe e non ci scherza troppo. La riforma elettorale è il banco di prova ma anche l’occasione per tirarsi qualche staffilata. “Non può esserci un partito nel partito”, ha affermato il premier nervosamente riferendosi alla larga componente bersaniana, che sta in parlamento e che ha fatto sapere che la riforma elettorale così come proposta non sarà votata. In gioco ci sono i pesi e i contrappesi nella formazione delle liste alle future elezioni e gli ordini di scuderia sono chiari: non farsi azzerare dal premier.

C’è chi gioca sul filo tra neo-renzismo e i vecchi ma non recisi legami col recente passato. Anna Ascani, 28 enne di Città di Castello, potrebbe rivelarsi un volto nuovo spendibile in un dopo-premier. La giovane filosofa (più di cinquemila preferenze alle primarie) non sta a guardare e sgomita. Sempre più frequenti le ospitate in tv e un gran lavoro di rapporti fuori e dentro il Pd. Sostiene il premier ma ci tiene a tener accesa l’intesa con pezzi di partito lontani da Renzi. Di scuola lettiana, la Ascani ha partecipato con disinvoltura all’ultima Leopolda, presiedendo perfino un tavolo sulla “digitalizzazione delle scuola”. Cosa che avrebbe fatto storcere il naso al ministro Boschi, prima donna del cerchio magico fiorentino, che teme le concorrenti, specie quelle capaci e di bell’aspetto. Ma il primo amore non si scorda mai e Anna Ascani potrebbe tornare utile ad un’eventuale e probabilissima rivincita del tandem Letta-Bersani sull’attuale inquilino di Palazzo Chigi.  Nel 2007, in occasione delle primarie del 14 ottobre, fu capolista in Umbria della lista a sostegno di Enrico Letta. E a lui deve molte delle opportunità che sta vivendo. Anche se sono in molti, nei corridoi del palazzo, a scommettere che sarebbe anche pronta a mettersi in proprio, muovendo ad alleanze generazionali  e trasversali con i colleghi dei banchi di Montecitorio.

Più defilata ma altrettanto in ascesa è Valentina Paris, 33enne dalla provincia di Avellino. Nell’ultimo giro di rimpasti in segreteria Pd è entrata con il ruolo di responsabile enti locali, in quota ai giovani turchi. Tradizionalmente una sedia di quelle pesanti nel partito, segno che i “turchi” ormai gravitano nella galassia renziana.. Da Atripalda, dove è stata consigliera comunale dei Ds nel lontano 2002  ai piani alti del Nazareno, il passo è lungo. Una carriera di incarichi di partito lenta ma inesorabile. Impegno civile nel campo dell’associazionismo e al fianco di Libera di Don Ciotti. Piace molto a sinistra e per questo non ha mai sposato fino in fondo il mondo dell’ex sindaco di Firenze. Entra nell’orbita di Matteo Orfini, che sposa la linea del premier ma che nel suo entourage ospita molte menti critiche e pronte a cambiare scuderia. Per il momento la Paris tiene botta al fianco di Renzi. Che la apprezza per il lavoro meticoloso e serio. E che la premia portandola con sé tra le sue preferite alla famosa cena con Tony Blair.

Chi alla cena non è stato invitato e forse non ci sarebbe mai andato è Enzo Lattuca. Appena 26 anni da Cesena. Sembra fatto apposta per insidiare il futuro del premier. Non è ancora coccolato dai talk show più seguiti, ma potrebbe rivelarsi la sorpresa dell’anno. Aria da bravo ragazzo e, a differenza di Renzi, lievemente ribelle, conta almeno 4mila “like” sulla pagina facebook. Moltissime sono le ammiratrici, soprattutto fra le parlamentari e le giornaliste che frequentano il Transatlantico.  E’ ancora un bersaniano di ferro. Eppure è capace di autonomia dal leader di riferimento. Lo fa capire da subito, appena arrivato in parlamento, astenendosi sulla proposta del segretario di candidare Franco Marini alla presidenza della Repubblica nel 2013. Via Twitter dichiara: “Non ho condiviso la proposta di Bersani. Mi sono astenuto. Chi mi conosce sa che è come un no.” Nessun timore reverenziale nei confronti del leader e della sua cerchia, ma la consapevolezza di avere tanta strada da fare. Lui di Renzi non parla, ma non lo ha mai digerito fino in fondo. Un sussulto di dissenso, ma poco incisivo, lo ha sussurrato sull’articolo 19 bis del decreto fiscale di Natale. Quello che avrebbe derubricato, tra le altre cose, la vicenda penale di Berlusconi in merito all’evasione fiscale.  “E’ un errore”, ha scritto sul suo sito. Un bel coraggio di questi tempi. Che però potrebbero anche finire. E allora bisognerà farsi trovare pronti a scendere dal carro renziano e magari comporne uno tutto nuovo.

 

(Foto di copertina, ilcountz, tratta da Flickr, creative commons)

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