Partiti e politici
Giorgio Napolitano, un politico comunista: un ritratto da Piombino
Negli ultimi tempi, ho studiato i rapporti tra socialisti e comunisti nella Val di Cornia degli anni ’80. Ai tempi, molti comunisti locali si definivano miglioristi, vedevano come naturale l’alleanza con i socialisti e avevano come punto di riferimento Giorgio Napolitano, uomo politico molto legato a Piombino.
Infatti, Napolitano è stato prima di tutto un grande politico comunista. Nato da una famiglia borghese, il partito gli chiese di occuparsi delle fasce più povere nella provincia di Caserta. Sposò Clio Bettoni, che lavorava come avvocato dei braccianti agricoli. Si era formato quando gli ideali di emancipazione del proletariato erano quindi fondamentali e non meri elementi retorici.
Da dirigente di partito, si qualificò come chi meglio comprese le difficoltà dell’economia sovietica e si aprì all’occidente. Negli anni ’70, il socialista Willy Brandt avviò la cooperazione con i paesi comunisti. All’epoca, gli stati europei occidentali avevano raggiunto un livello di eguaglianza e libertà che i paesi dell’est si sognavano. Napolitano ne approfittò per tessere i legami con i partiti socialisti ed essere il primo comunista a recarsi negli Stati Uniti, dove tenne anche conferenze in importanti università.
Negli anni ’90 Napolitano ebbe un ruolo più istituzionale, prima come presidente della Camera e poi con incarichi di governo. Infine, l’elezione a senatore a vita e la presidenza della Repubblica. Qui si distinse inizialmente per uno stile duro senza essere troppo evidente. Si attirò infatti le critiche di alcune parti della sinistra per non aver rispedito al mittente le leggi berlusconiane. In realtà, rimandò alle camere solo una legge sul lavoro minore, ma intervenne duramente nella formulazione di numerose norme.
Il 2011 rappresenta il suo anno più importante. A febbraio scoppiò la guerra civile in Libia e la coalizione internazionale guidata da Francia e Regno Unito attaccò l’esercito di Muammar Gheddafi. Berlusconi non voleva intervenire contro l’amico libico, ma Napolitano temeva l’isolamento internazionale dell’Italia e riuscì a far cambiare idea al presidente del consiglio.
In estate la situazione si aggravò. Berlusconi sembrava occuparsi del paese a tempo perso tra un festino e l’altro, mentre il debito pubblico era al centro di pressioni internazionali. Ad agosto, la BCE chiarì che l’aiuto all’economia italiana tramite acquisto di titoli di stato era condizionato all’attuazione di drastiche misure di austerità. Credo che non comprenderemo mai se incise più l’insipienza di Berlusconi o la volontà delle élite internazionali di modificare l’economia italiana.
A quel punto, Napolitano non poteva far altro che rimuovere l’imprenditore di Arcore. Ma fece l’errore di nominare Mario Monti che non aveva le capacità né politiche né umane per guidare il paese. Se ne accorse lo stesso Napolitano, quando il professore della Bocconi prima costruì il suo cartello elettorale e poi si autocandidò alla presidenza del Senato. Col senno di poi, l’arrivo di Mario Monti ha rappresentato l’indebolimento della politica nei confronti di un’élite economica che si è rivelata anche peggiore.
In pratica, Napolitano scelse di privilegiare il rispetto dei vincoli internazionali in nome della reputazione del paese, anziché l’indipendenza della nostra classe dirigente. Questo è chiaramente il punto più controverso di tutta la sua esperienza politica.
A posteriori, si può affermare che nell’autunno 2011 il paese avrebbe dovuto tornare al voto, anche a rischio del caos economico. Oggi possiamo dire che l’austerità ha definitivamente compromesso la capacità della classe politica italiana di pensare in termini razionali. Infatti, la classe dirigente è ormai incapace di trovare una sintesi tra il rispetto assoluto delle regole internazionali e le più stupide sparate populiste e sovraniste. All’epoca, era molto difficile pronosticare questo risultato.
Infine, un pensiero al 2013, quando una classe politica che aveva completamente perso la bussola lo costrinse ad accettare la riconferma. Credo ancora che quello fu un grande sacrificio fatto solo per amor di patria, a conferma della grande statura politica.
Durante la rielezione, ammonì la classe politica cercando di farla diventare adulta. Ma era una mera illusione. Sperò che prima Enrico Letta e poi Matteo Renzi portassero avanti quelle riforme istituzionali che già secondo i miglioristi avrebbero rafforzato la democrazia, velocizzandone i processi. Il progetto naufragò quando Matteo Renzi si alienò presto ogni simpatia popolare. E, forse, è meglio così, perché la democrazia richiede processi decisionali lenti e consapevoli.
Negli ultimi anni, Napolitano fece il possibile per partecipare al dibattito politico, finché le condizioni di salute glielo consentirono. Anche dopo essersi ritirato a vita privata, continuò a informarsi sulla politica, anche su quello che avveniva nella mia Piombino.
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