Partiti e politici

Giorgio Gori: il passato ingombrante e i preconcetti irrazionali

10 Gennaio 2018

Questo 2018, oltre alle elezioni politiche nazionali, porterà in dote ai lombardi anche l’elezione per il rinnovo del Consiglio Regionale. Il centrosinistra, capeggiato dal Partito Democratico, ha individuato nell’attuale sindaco di Bergamo Giorgio Gori il candidato ideale per affrontare questa elezione regionale. Candidatura praticamente unanime, che non ha necessitato di primarie. Almeno fino a quando non si è provato a coinvolgere MDP, che ha chiesto proprio le primarie. Il PD ha acconsentito alla richiesta ma non si è trovato un accordo sui tempi: i Democratici voleva farle entro il 3 dicembre, MDP voleva farle a metà dicembre. Tavolo saltato, il candidato è restato Gori, con la sinistra che oggi è ancora ferma a chiedersi cosa sia meglio fare: appoggiare comunque Gori o presentarsi con un proprio candidato?

Dopo il ritiro dalla corsa di Roberto Maroni, governatore uscente della Lombardia, la domanda “cosa dobbiamo fare?” è diventata ancora più critica per la sinistra. Gori ha ribadito che verso la coalizione di Liberi e Uguali la porta è spalancata, ma LEU ha ribadito che non ci sono le condizioni politiche per riaprire col PD. Anzi, in settimana si dovrebbe sapere il nome del candidato di sinistra. Il consigliere regionale Onorio Rosati ha affermato che “in questa fase per noi è molto complicato fare un percorso di alleanze”, cosa comprensibile, che però non ha impedito loro di farla nel Lazio questa alleanza, a sostegno del presidente uscente Zingaretti. Perché allora nel Lazio ci si può alleare col PD, mentre in Lombardia la cosa è assolutamente impossibile? Ho provato a leggere e chiedere un po’ in giro, e le risposte che ho ottenuto le ho trovato curiosamente interessanti.

Sul perché la sinistra non può appoggiare Gori in Lombardia ho ottenuto diverse risposte, la più gettonata è stata: “non possiamo sostenere uno che ha lavorato a Mediaset, uno dei responsabili dell’imbarbarimento culturale dell’Italia”. Insomma, a Gori non si perdona il suo passato. Non importa cosa tu stia facendo ora, non importa se tu abbia cambiato certe tue idee o certe tue convinzioni, non importa quali proposte e quali principi tu voglia portare avanti, il tuo passato non smetterà di perseguitarti e di lasciarti impresso addosso una specie di marchio d’infamia. Lo ha scritto anche Alessandro Gilioli, vicedirettore de L’Espresso: “Il mio inutile consiglio per la Lombardia a quelli del Pd e dintorni è di non sperticarsi in improbabili appelli a coloro che hanno sbertucciato e irriso per anni, cioè la sinistra, anche perché Gori – uomo prima Mediaset e poi Renzi – non lo votano manco se piangete (e con qualche ragione). Piuttosto, dopo il ritiro di Maroni fate ritirare anche Gori e trovate un candidato decente e con un curriculum vitae presentabile dal punto di vista sociale e culturale.
Fine inutile consiglio.”
Che poi, se il problema è che non si può andare a chiedere il voto a chi ha insultato, non è che cambiando i candidato gli insulti magicamente svaniscono.

Sia chiaro, non sto mirando a cancellare il passato di Gori. Ha iniziato a lavorare nel 1984 per Rete4, quando ancora era sotto il Gruppo Mondadori, e successivamente nell’estate dello stesso anno Rete4 finì nel Gruppo Fininvest di Berlusconi. Per altro Gori iniziò lavorando sotto la direzione di Carlo Freccero, allora direttore dei Palinsesti di Canale5 e Italia1: seguendo lo stesso schema di ragionamento anche Freccero dovrebbe subire la stessa preclusione da parte della sinistra, no? E invece. Poi nel 2001 fonda Magnolia, casa di produzione di diversi programmi, per poi rivenderla nel 2007 alla De Agostini. Si dimette da tutto nel 2011, quando sceglie di iniziare a fare politica. Sostiene Renzi, inizialmente gli cura la comunicazione. Nel 2013 prova a candidarsi al senato alle elezioni politiche, ma non riesce a essere eletto. Sceglie di candidarsi alla carica di sindaco di Bergamo, vince le primarie del centrosinistra e poi vince le elezioni. Nel 2016 nella classifica dei sindaci più apprezzati era primo, nel 2017 risulta quinto. Un comune che sembra andare bene, fra il gradimento dei cittadini. Ma ciò non basta.

In generale Giorgio Gori sconta tre grandi difetti: è renziano, è stato l’ideatore dello storytelling renziano ed è un ex Mediaset, colpevole (come detto) dell’imbarbarimento culturale italiano. Nella discussione sviluppatasi dallo status di Gilioli qualcuno ha anche scritto che essendo amico di Renzi è per definizione un incapace. Un altro dice che quella che sembra merda è inequivocabilmente merda. Un altro afferma che Gori è nel partito giusto, quello dei Marchionne dei De Benedetti dei Farinetti dei Profumo dei Serra, insomma dei nuovi caimani. Qualcuno, cercando una spiegazione un filo meno personalistica, scrivendo che Gori è troppo liberale per la sinistra. Ecco, quest’ultima osservazione potrei anche ritenerla vera e fondata, punto di partenza per poterne fare una discussione e un confronto serio basato sui contenuti e sulle proposte. Ma come rispondere a quelli che considerano Gori invotabile per il suo passato? A costoro non importa se questa persona sia un bravo o un pessimo amministratore, se sostenga idee buone o pessime, se abbia dei principi condivisibili o distanti dalla propria visione, insomma a queste persone non importa capire la qualità del politico che si ha di fronte. Non importa proprio, sono cose che sembrano non contare nulla di fronte al suo passato. Un comportamento che mi ha ricordato un’altra faccenda di qualche anno fa.

Il fatto accadde nel 2015, il protagonista era Adriano Sofri, anche lui vittima di quello che per me fu uno stupido pregiudizio. In vista di una riforma del sistema giudiziario il ministro Andrea Orlando organizzò gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, convocando anche Sofri fra gli esperti che dovevano parlare ai tavoli di lavoro. Sofri, ex leader di Lotta Continua, condannato a 22 anni di reclusione come mandante dell’omicidio del commissario Calabresi, oggi giornalista e scrittore, ha una discreta conoscenza ed esperienza della vita carceraria avendone spesso scritto, in particolare nel libro “Altri Hotel”. Avrebbe dovuto coordinare il tavolo su istruzione, cultura e sport, ma questo invito suscitò una vera ondata di polemiche che portarono Sofri stesso a rinunciare a partecipare. Il centrodestra, i sindacati di polizia, ma anche una parte del centrosinistra, accusarono Orlando della scelta: scegliere un ex terrorista per parlare di carceri, un violento, come si permetteva il ministro? Nessuno teneva in considerazione il bagaglio di conoscenze specifiche di Sofri, la sua esperienza in carcere, il fatto che avesse ormai abbandonato le idee di rivolta armata, nessuno considerava il fatto che fosse diventato un ottimo opinionista, serio e preparato. Tutte queste cose non contavano, contava solo il suo passato. Un passato da cui non poteva liberarsi, dai cui non avrebbe mai potuto liberarsi. Qualsiasi cosa abbia fatto o potrà fare, verrà sempre osteggiato perché “era un violento terrorista, e coi terroristi non si discute, tanto meno gli si danno incarichi istituzionali”.

Ecco, io vorrei che questo modo di porsi tramite preconcetti possa svanire. Io vorrei che le critiche a Giorgo Gori, legittime ed essenziali nel confronto politico, fossero incanalate nel merito della questione politica e non basate su un passato ormai abbandonato e lasciato alle spalle. È vero che serve non dimenticare le radici di ognuno, serve ricordare il percorso che ognuno ha fatto, ma serve valutare questo percorso nella sua interezza e non soltanto nel segmento più utile e congeniale alla nostra volontà di critica. Dimostrate che Gori non è politicamente valido per le idee che propone, per i principi che vuole perseguire, per la visione di regione che vuole realizzare, per i contenuti del suo programma politico, ma non usate come strumento di critica politica esclusivamente il suo passato professionale. Altrimenti gli unici a scadere in basso sarete voi, non di certo lui.

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