Partiti e politici
Spread basso, mercati tranquilli. Menomale che c’è l’Albania per la propaganda
I giorni, i mesi e gli anni che ci lasciamo alle spalle e quelli che abbiamo davanti sono pezzi di un unico tessuto, di una traccia che non sembra cambiare mai: chi governa, in Italia, ha poco margine di azione. L’esecutivo in carica, ad esempio, dichiara di voler fare la storia, ma fa fatica anche a fare la cronaca. E quindi, ai proclami che annunciano grandi svolte e cambiamenti seguono poi provvedimenti modesti, improntati alla sopravvivenza del paziente, cioè del paese agli occhi di Europa e mercati, ma anche e forse soprattutto alla sopravvivenza del governo. La settimana che ci lasciamo alle spalle, ad esempio, è iniziata con la presentazione della manovra 2025, il provvedimento di politica economica più importante dell’anno, perché stabilisce quanti soldi in più serviranno, rispetto all’anno precedente, e dove reperirli tra tagli di spesa e nuove tasse. Quest’anno, per limitare il rischio di richiami ufficili da parte dell’Unione Europea e, soprattutto, evitare la sanzione più dura, quella dei mercati che acquistando i nostri titoli di stato consentono allo Stato – alla Nazione, come preferisce dire la presidente del Consiglio Meloni – di pagare gli stipendi, le pensioni, i servizi pubblici servivano circa 30 miliardi. L’obiettivo di rassicurare i mercati, che si misura con la temperatura dello spread, è sicuramente riuscito, se è vero, come è vero, che lo spread tra Bund e Btp registrato venerdi 18 ottobre è di 117 punti base, il livello più basso registrato dal Novembre 2021 – quando c’era Draghi, per intenderci. Insomma, un governo Meloni-Giorgetti molto efficace, dal punto di vista della capacità di rassicurare gli investitori alle condizioni date, come riconosce perfino Mario Monti, probabilmente l’emblema dell’arcinemico di chi governa oggi, intervistato dal Corriere della Sera. Già, ma come?
Facendo una politica economica prudente e restrittiva, al di là di ogni propaganda pregressa e recente. Le settimane della manovra di Bilancio 2025 sono costellate di prove che vanno in questa direzione. Pensiamo al provvedimento sugli “extraprofitti delle banche”, come era stato enfaticamente definito da Matteo Salvini sul finire dell’estate del 2023. Parlavamo, allora, di tassi di interesse arrivati ai massimi, alla fine di un costante ciclo di aumenti voluti dalla BCE per contrastare la galoppante inflazione. In quel quadro, a guadagnare tantissimi soldi, “stando ferme”, sono sempre le banche. Il ministro delle infrastrutture, non dell’economia o delle finanze, probabilmente nella sua veste di segretario del partito che esprime il vero ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, promise addirittura un extragettito prossimo ai 10 miliardi, tassando appunto non identificati “extraprofitti”. La dichiarazione scomposta, evidentemente non concordata nè preparata dal punto di vista tecnico e politico, suscitò l’ammutinamento di Giorgetti e la levata di scudi dal mondo bancario. Il provvedimento finì in niente, e nella sua versione dell’anno seguente – cioè di adesso – si risolve nello spostamento ai prossimi anni di modeste deduzioni fiscali, per un totale – comunque ancora da verificare – di circa 3 miliardi, il 10% circa della manovra. Mercati tranquilli, banchieri silenziosamente soddisfatti, e qualche spiccio in più nel bilancio dello stato subito. L’anno prossimo, poi, ci si penserà.
Meriterebbe uno sguardo più approfondito, e meno incline alla propaganda, anche il provvedimento sugli aggiornamenti delle rendite catastali per le abitazioni che hanno beneficiato del superbonus, fortemente voluto da Giorgetti e che sarà da realizzare a carico dei proprietari entro 30 giorni dalla fine dei lavori, se ancora in corso. Infatti, se è vero che il superbonus ha gravato di un conto salatissimo i conti pubblici, e se altrettanto è vero che l’Europa chiede da decenni al nostro paese di aggiornare i valori del catasto fermi ai tempi della lira, altrettanto è vero che questo provvedimento riguarderà appunto solo le abitazioni che hanno beneficiato del bonus del 110%. Inoltre, perchè questo aggiornamento si traduca in maggiori flussi di cassa per il bilancio pubblico, è necessario che i lavori abbiano riguardato le seconde case visto che – come noto – l’Imu sulla prima casa è stata abolita dal Governo Renzi nel 2015, e quindi quale che sia la rendita catastale registrata essa non incide sulla dichiarazione dei redditi e dei patrimoni dei proprietari per quanto riguarda la prima casa.
Per il resto, la manovra che tranquillizza i mercati, l’Europa e perfino i rigoristi alla Mario Monti è fatta di tagli lineari ai ministeri, di limitazioni a qualche deduzione e vantaggi fiscali per le imprese. Peraltro, inizia adesso il cammino degli emendamenti e delle richieste del Parlamento, per cui la vera manovra la conosceremo tra un po’. Quel che è certo è che, come ovvio, e come anche giusto, non è una manovra che sperpera, che spende e spande, ma piuttosto è un puzzle di scelte complicate fatte da chi riconosce, con realismo, che i confini sono stretti e gli argini sono sempre pronti a saltare, per le finanze pubbliche italiane. Per questo, anche per questo, torna particolarmente buona, alla propaganda di governo, la questione-migranti, l’eterno salvacondotto per la destra-destra, che questa volta si concretizza nel divieto, da parte della magistratura, di usare i costosi e discussi hot-spot organizzati in Albania. Di fronte a una magistratura che spiega, invero a buona ragione, che era una decisione obbligata, la politica di governo è subito pronta a tornare agli antichi adagi: c’è una magistratura che si oppone alla libertà della politica e alle sue prerogative, c’è una lotta illegittima di un potere dello stato contro quello dell’esecutivo. Lo ha detto il ministro della Giustizia in persona, Carlo Nordio, e lo ha detto a chiare lettere la presidente Meloni. Quando c’era Berlusconi, per molto meno, si gridava all’eversione. Oggi tutto sembra ovattato, attutito, sfinito dal tempo che consuma gli spigoli. Lo spread è sottocontrollo, di tutto il resto ci occuperemo se avanza tempo, forse. O forse no.
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