Partiti e politici
Frontismo? No, grazie
Solo pochi giorni fa la Lega e il Movimento Cinque Stelle, arrivati all’atto conclusivo della formazione del loro governo, hanno mandato tutto a monte per non rinunciare ad avere come ministro dell’Economia il professor Paolo Savona, noto per le sue posizioni anti-tedesche e no-euro. Di fronte al rifiuto del Presidente Mattarella di firmarne la nomina, i leader Salvini e di Maio hanno alzato i toni fino all’inverosimile, arrivando ad accusare il capo dello Stato di alto tradimento e a convocare in piazza i loro militanti in segno di protesta.
I due partiti sono sembrati saldarsi in un’unica forza politica sovranista e populista, decisa a trasformare le prossime elezioni in un referendum sull’euro: una sorta di Brexit nostrana, che dimostrerebbe la teoria di diversi politologi secondo i quali anche da noi, come era già successo in Francia, la politica si è ormai orientata sul nuovo asse sovranismo-europeismo, anziché su quello tradizionale sinistra-destra.
Quasi in automatico è allora nata la proposta di dare vita a un Fronte Repubblicano da contrapporre a quello dei neo-nazionalisti, unendo tutti i partiti non euroscettici d’Italia – da Forza Italia al Pd ai partiti minori – in nome di un vago europeismo, senza andare troppo per il sottile su tutti gli altri aspetti programmatici; l’idea, caldeggiata dal professor Prodi e delineata dall’ex ministro Calenda. ha subito preso piede nei due maggiori partiti.
Gli eventi delle ultime ore stanno in realtà rivelando che lo slancio sovranista di Lega e Cinque Stelle era in gran parte un bluff: di fronte alla reazione negativa dei mercati, entrambi i leader hanno fatto marcia indietro ritrattando i loro bellicosi propositi, hanno giurato di essere contrari all’uscita dell’Italia dall’euro e stanno meditando di collocare il professor Savona in una posizione più defilata. Anche una loro alleanza in vista delle prossime elezioni sembra sempre più improbabile: dopotutto l’attuale legge elettorale, il Rosatellum, è prevalentemente proporzionale e ciò rende poco conveniente coalizzarsi a priori.
Se il progetto dell’alleanza sovranista sembra sfumare, quello del Fronte Repubblicano potrebbe invece andare avanti. La fretta con cui è stato messo in campo dà infatti l’impressione che esso risponda, in realtà, non tanto all’esigenza di contrastare il populismo nazionalista, ma soprattutto a quella di trovare un collante per rimettere insieme i cocci di partiti fatti a pezzi dalla recente débacle elettorale e ormai privi di una vera ragion d’essere politica.
Mettere insieme, sotto la bandiera europea, culture e storie diverse e divergenti, con l’unico scopo di creare una massa critica elettorale ridipinta a nuovo per attrarre i cittadini sempre più confusi, ha il sapore di una mossa della disperazione; ma, anche ammettendo che possa avere successo, le sue conseguenze per la politica italiana sarebbero catastrofiche. Il frontismo degli eurofili renderebbe infatti inevitabile anche quello degli eurofobi; le prossime elezioni diventerebbero allora per davvero uno scontro all’ultimo sangue tra le due fazioni (che gli elettori identificherebbero facilmente come establishment contro popolo). Subito dopo il voto, però, i vincitori – quali che fossero – si troverebbero divisi su quasi tutto e incapaci di governare insieme in modo efficace, perché non avrebbero elaborato una visione condivisa per il Paese.
Come si è già ricordato, il nostro sistema elettorale è oggi in gran parte proporzionale: è quindi inutile e controproducente ammassare partiti diversi – a volte diversissimi – in un “cartello”, obbligandoli a rinunciare alle idee che li allontanano per stare insieme in nome di un’unica parola d’ordine. Al contrario, la difficoltà del momento consiglia di coltivare le differenze e nello stesso tempo il rispetto reciproco, per rendere possibile l’emergere di nuove idee, nuove proposte, nuovi protagonisti che invece rimarrebbero schiacciati in un frontismo grossolano e in un confronto dai toni alti.
Non dobbiamo ridurre il confronto politico alla sola dimensione del nostro rapporto con l’Europa, lasciando che ogni altro tema finisca nel dimenticatoio: sarebbe un impoverimento micidiale del dibattito pubblico italiano, proprio nel momento in cui più c’è bisogno di discutere per trovare nuove soluzioni ai problemi ormai cronici del nostro Paese e a quelli che emergono insieme ai cambiamenti rapidissimi della nostra società. Quella che sembra una scorciatoia è in realtà un vicolo cieco: come sempre, la strada giusta per uscire dai guai è invece lunga, faticosa e complicata.
(fonte dell’immagine)
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