Partiti e politici

Francia: la sinistra regala i voti a Macron, Macron invece no

2 Luglio 2024

Marine Le Pen ha votato a favore della legge Darmanin sull’immigrazione, voluta fortemente da Macron così come la riforma delle pensioni, che invece la Le Pen ha bocciato insieme a Melenchon, ma che oggi il candidato premier del Rassemblement National promette di non abrogare se andrà al governo. Una commedia dell’assurdo in cui la sinistra recita il ruolo del maggiordomo e manca il soggetto principale, potenzialmente il vero protagonista: il pubblico che fischia.

Come previsto Marine Le Pen esce vittoriosa dal primo turno delle elezioni francesi – i candidati del Rassemblement National espugnano 297 dei 577 collegi – seguita dal Nouveau Front Populaire di Melenchon, 159 collegi, mentre su Macron si abbatte l’attesa débacle, soltanto 70 collegi conquistati. Neppure la reazione dei tre principali leader offre particolari sorprese: la Le Pen fa appello agli elettori (e ai Repubblicani) affinché le consentano di portare a casa la maggioranza assoluta dei seggi e governare. Melenchon non aspetta neanche i risultati definitivi e annuncia che nei collegi in cui la sinistra è arrivata terza ritirerà i suoi candidati. Mentre Macron spiega che deciderà caso per caso. Poco fa dei 187 candidati “desistitenti” 123 erano del Fronte Popolare e 63 macroniani. Tuttavia il messaggio è chiaro. Macron, pur di non mandare candidati troppo di sinistra all’Assemblea Nazionale, è disponibile a mandarci un “pericolo per la democrazia” e alcuni dei suoi hanno già detto che non “desisteranno”. Melenchon, invece, i voti è pronto a regalarli.

Il Nuovo Fronte Popolare, che innalza la bandiera di uno dei più grandi fallimenti nella storia della sinistra – i fronti popolari promossi negli anni ‘30 dalla Terza Internazionale ormai saldamente sotto il controllo di Stalin – in un periodo storico in cui però la sinistra è ridotta all’immagine sbiadita di ciò che era allora, non tenta neppure una manovra diversiva per salvare la faccia. Sarebbe stata un’operazione puramente propagandistica, certo, ma almeno avrebbe potuto illudere qualcuno che l’obiettivo del NFP fosse davvero fermare la deriva a destra della politica francese e non una semplice operazione elettorale. Avrebbe potuto, ad esempio, chiedere a Macron, in cambio della desistenza a favore dei suoi candidati, di ritirare o almeno di rivedere la legge Darmanin, che facilita la criminalizzazione e le espulsioni degli immigrati, ne ostacola l’ingresso in Francia e taglia drasticamente loro assistenza sanitaria e welfare. Una legge voluta fortemente dal presidente della Repubblica, ma votata dai parlamentari del RN e salutata dalla Le Pen come un “successo ideologico” del suo partito. Come dire “Ti aiuto se mi garantisci che farai cose diverse da lei”. Invece no, ha detto subito che, in nome della democrazia, avrebbe concesso i suoi voti gratis a chi ha reintrodotto il reato di immigrazione clandestina in Francia e auspicato l’invio di soldati europei in Ucraina. Chi conosce la politica sa che di solito quando non si fanno richieste a beneficio degli elettori è perché si intende farne a beneficio degli eletti.

Intanto le anime belle della sinistra menopeggista, sgomente, si interrogano su che cosa farà la Le Pen se andrà al governo in Francia. Sì, che cosa farà? Dopo aver votato la legge Darmanin cercherà di modificarla in peggio? Manderà più soldati e armi in Ucraina di quelle che avrebbe mandato Macron? Colpirà le pensioni più di quanto ha fatto lui? I primi segnali che arrivano dal Rassemblement in realtà sono inequivoci: la Le Pen prima ha proposto un governo di unità nazionale, poi il ministro dell’economia in pectore di un futuro governo Bardella, Tanguy, ha detto che non verranno prese misure in deficit, mentre lo stesso Bardella rassicurava che se andrà al governo non ha intenzione di abrogare la riforma delle pensioni, pur avendola bocciata in Parlamento insieme a Melenchon. Quanto alla politica estera, dopo che la Le Pen a marzo ha definito “eroica” la difesa del popolo ucraino, 10 giorni fa al Salone della difesa Eurosatory Bardella ha detto che l’Ucraina ha diritto di difendersi (ergo di ricevere le armi europee) ma che semplicemente non verranno inviati soldati francesi a Kiev.

Insomma mentre gli esponenti di punta della grande borghesia liberale sedicente europeista (qualunque cosa significhi) – oltre a Macron Von der Leyen, Tusk (“La guerra non è più una cosa del passato”), Monti (“Un giorno potrebbe essere necessario mandare le truppe in Ucraina”), Scholz, l’uscente segretario generale della NATO socialdemocratico Stoltenberg e l’entrante rigorista Rutte – soffiano sul fuoco della guerra, lavorano per inasprire la disciplina sociale nelle scuole, nelle università e nei posti di lavoro e per comprimere salari e diritti dei lavoratori, la destra reazionaria recita la parte del babau da additare al ceto medio e alle anime belle della sinistra progressista, per spaventarle e serbarne i consensi, in nome del (presunto) “meno peggio”, appunto. Pronta a riallinearsi, naturalmente, una volta al governo (come del resto ha fatto anche la “sinistra radicale” tutte le volte che ne ha avuto occasione). Un quadro in cui tutti gli attori recitano la loro parte in commedia (o in tragedia) e dove l’unica cosa che manca veramente è il pubblico che dalla platea fischia la commedia dell’assurdo rappresentata sul palcoscenico.

“Le elezioni? Di che vi preoccupate? Tanto c’è il pilota automatico” ammoniva qualche anno fa il divino Draghi. Che la  cosiddetta sinistra debba farsi dare lezioni di materialismo storico da un banchiere è la misura dello stato in cui è ridotta.

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