Partiti e politici

Flat tax, la ricetta fiscale di Salvini

16 Dicembre 2014

Il Centrodestra torna prepotentemente sotto i riflettori dei media con la Flat tax, già proposta da Silvio Berlusconi nel lontano 1994, ma “non è stato possibile realizzarlo nei nostri anni di governo – ha spiegato l’ex premier – per la contrarietà degli alleati, dell’opposizione e dei presidenti della Repubblica a cui l’avevamo rappresentato”. Tutto nasce dalla semplice considerazione che per rimediare all’attuale andamento recessivo dell’economia e all’incapacità di trovare misure concrete e forti per uscire dal tunnel della crisi, la riduzione vera e concreta del prelievo fiscale sia l’unica strada possibile per ottenere risultati significativi. Ma la proposta di Berlusconi è passata quasi inosservata, la scena se l’è presa Matteo Salvini che in occasione di un folto e seguitissimo incontro pubblico tenutosi a Milano qualche giorno fa l’ha messa sul piatto come posta in gioco per ottenere il consenso di chi produce Pil, gli imprenditori piccoli o grandi che siano, oggi bersagliati da una pressione fiscale insostenibile, immorale, ai limiti della confisca.

E senza ottenere in cambio servizi adeguati, infrastrutture da primo mondo, burocrazia snella. Il leader della Lega Nord ha presentato la sua rivoluzione fiscale in modo ineccepibile a fianco di Alvin Rabushka, ex consulente del presidente americano Ronald Reagan e attualmente docente ordinario di Economia alla Stanford University. “L’importante è capire che si può passare al regime ad aliquota fiscale unica – ha affermato il segretario del Carroccio – quando abbiamo lanciato la campagna ‘Basta euro’, un anno fa, sembravamo dei matti, ora stiamo dettando l’agenda politica ed economica, in Italia e all’estero”. La proposta, anche se in corso di affinamento, è formulata in modo serio, con numeri concreti e con consulenti di alto livello. Lasciatemelo dire, niente a che vedere con il No Euro sbandierato grossolanamente in giro per le feste padane con tale Claudio Borghi, un concentrato demagogico buono solo per imbambolare le folle osannanti dei militonti come pensano gli ingenui oppure un servizietto a favore di Le Pen e Putin come pensano i maliziosi. Comunque sia, una campagna strumentale che, mano a mano che passa il tempo, sembrerà sempre più irrealizzabile.

Ma come funzionerebbe in concreto la Flat tax? 15% per tutti, contribuenti ed aziende. E un’unica deduzione di 3mila euro, fissa, per ogni contribuente. “Paghiamo tutti, paghiamo meno” è il motto. E chi non paga va in galera. In effetti le imprese avrebbero una drastica riduzione del peso tributario e potrebbero essere quindi più concorrenziali: un meccanismo che è sinonimo di più posti di lavoro. Altro che Jobs Act della sinistra. Si incentiverebbe realmente la ripresa produttiva e dei consumi, con un’ulteriore crescita delle entrate Iva. Ma anche la burocrazia farebbe la fame con la flat tax: meno costi per le dichiarazioni dei redditi (non sarebbe difficile fare i conti) e meno costi per dare la caccia gli evasori. Ultimo sollievo per le imprese sarebbe – secondo la proposta del Carroccio – l’abolizione della trattenuta alla fonte: in busta paga ci sarebbe il lordo, per cui stop alle rotture di scatole per tutti i sostituti d’imposta.

Musica per le orecchie di chi produce e crea reddito, semplificazioni chiare e meno tasse da pagare. Sugli effetti negativi si sorvola, ma indagando in merito un po’ di più si capisce facilmente il senso mediatico ed elettorale della proposta e quindi i risvolti positivi per i partiti che la propugnano. C’è da dire per esempio che un pensionato che dichiara 9mila euro l’anno, ossia una pensione da 700 euro al mese, con nessuno a carico, pagherebbe 900 euro di Irpef al posto delle attuali 350. Dall’altra parte un single che guadagna 60mila euro all’anno, invece di incamerare quasi 3mila netti, ne porterà a casa mille in più al mese. I critici insomma sosterranno che la flat tax aumenta la disuguaglianza sociale, ma, ahimè il mondo funziona così, il meno abbiente non fa girare l’economia, semmai questa riforma fiscale potrebbe ricreare la classe media, che invece sta scomparendo perché sempre più povera con questo sistema progressivo e distruttivo della ricchezza creata. Ed è questo appunto l’obiettivo dei proponenti. Renzi da una parte, con l’elemosina degli 80 euro, punta al consenso della fascia bassa del ceto medio o addirittura di chi sta un po’ sotto o un pò sopra la fascia di povertà, il centrodestra punta al segmento produttivo del paese, alle Pmi, alle partite iva, ai professionisti che in questo modo riattiverebbero l’economia depressa, si arricchirebbero e … voterebbero.

Obiettivo crescita e conquista dei voti del ceto produttivo, il ceto medio padano alpino soprattutto, quello che una volta votava in massa centrodestra e teneva in vita l’asse del Nord. Una proposta forte che taglia fuori gli annunci e le mezze riforme di Renzi, confinandolo al solito ruolo della sinistra partito della spesa pubblica e quindi delle tasse, sponsor della burocrazia elefantiaca, del settore pubblico, degli assistiti in modo clientelare, del parassitismo in genere. Tattica e strategia fin troppo chiara, di facile presa e consenso.

Non entro ulteriormente nel merito, gli aspetti negativi non sono pochi e anche i paragoni con chi l’ha già introdotta reggono poco. In genere si tratta di paesi piccolissimi, indipendenti si, ma economicamente insignificanti. Ad eccezione della Russia, guarda caso. Così pure sorvolo sull’impatto sui conti dello Stato. Ci sarà tempo per approfondire.

Quello su cui invece mi voglio soffermare in questo articolo riguarda un altro aspetto dai più non enfatizzato e che credo invece sia importantissimo per capire se la proposta salviniana possa avere successo. La Flat Tax ha come obiettivo il ceto medio produttivo, quello che in passato si schierò pubblicamente dalla parte delle battaglie leghiste. Ora non si nota ancora nulla da quelle parti, nessuno fa outing per Salvini, nessun endorsement significativo. E questo dovrebbe far suonare qualche campanello d’allarme tra gli spin doctors salviniani e nello stesso leader leghista. Una motivazione potrebbe essere la credibilità di chi formula una proposta, un programma, una linea politica. Delle due l’una: o il ceto produttivo è ancora vittima dell’annuncite renziana, e sappiamo che chi governa, chiunque sia, esercita sempre un fascino irresistibile su certi mondi produttivi, o chi fa il pil è talmente sfiduciato da ripiegare nel disinteresse, nel non voto e non firma cambiali in bianco per nessuno. Salvini è un fenomeno mediatico che funziona, ma è penalizzato dalla storia della Lega e dell’intero centrodestra, fatta di vent’anni di insuccessi, di slogan urlati, di parole d’ordine inventate solo a fini elettorali, di demagogia e populismo, ma non di risultati concreti. Che non si sono visti, anzi. Il Paese è precipitato nella recessione più lunga della sua storia. Evidentemente si sta alla finestra, il centrodestra è ancora un cantiere alle battute iniziali, Salvini è percepito troppo a destra e rischia di fare il gioco di Renzi che si sposta facilmente al centro. Se si forma un partito a sinistra di Renzi e si vota in primavera, Salvini come è posizionato ora risulta il migliore avversario perdente per Renzi e nessuno quindi rischia di bruciare i ponti alle proprie spalle. Meglio tenersi buono Renzi che vincerà facilmente oppure non schierarsi del tutto e non andare alle urne. Per ora…

www.labissa.com

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