Partiti e politici
Fighettume garantista e fragilità giustizialista, poca roba per un vero scontro
Quando il 26 giugno del 1983 Toni Negri, cattivo maestro delle Brigate Rosse, venne eletto alla Camera dei Deputati e di conseguenza scarcerato, provai un misto di tormento e orgoglio civile. Era la classica sfida impossibile a cui chiamava Marco Pannella nei suoi momenti migliori, quando ti sollecitava a frequentare consapevolmente i bassifondi dell’infamia e allo stesso tempo tempo usarli strumentalmente per un principio assoluto di civiltà. Nel caso di Toni Negri, la battaglia contro una carcerazione preventiva che all’epoca si poteva spingere sino ai dieci anni e oltre. Pannella faceva esattamente così, sceglieva con meticoloso cinismo la persona che più d’ogni altra avrebbe prodotto l’indignazione collettiva – e chi meglio di Toni Negri – e lo associava a una buonissima e valentissima causa. Se ci volevi stare, e il piattino era davvero indigesto, poteva accomodarti. In quel caso, molti si accomodarono, tra cui chi vi scrive. Quel meccanismo anche un po’ perverso ebbe poi la fortuna che sapete, ciclicamente ripetuto, solo quattro anni dopo con la mitica Cicciolina, la quale fu catapultata in Parlamento da ventimila preferenze, seconda solo al grande Marco.
Come potete bene immaginare, in quell’epoca la vocazione garantista poteva costare un certo numero di cose: in primis le amicizie, che attraverso quelle tensioni venivano messe a dura prova. Ma certo, l’asticella era posta ad altezze così siderali e impegnative che assistere oggi al calciobalilla da salotto che divide garantisti e giustizialisti fa anche un po’ sorridere. Molti ragazzuoli di questo tempo pensano che il garantismo sia addirittura un mestiere nel mestiere, che si nasca garantisti e non lo si possa diventare, che “garantisca” un posticino al sole della politica, che sia così glam da imbastirci sopra qualche salotto da damazze stanche e insoddisfatte. È, evidentemente, l’evoluzione 4.0 di un vecchio sentimento ormai perso negli anni, e per fortuna ogni tanto c’è ancora Luigi Manconi che si batte per una causa sana e ti riporta sulla terra. Se il livello intellettuale dei garantisti è questo, è difficile che il suo contrario, l’attitudine giustizialista, abbia un senso molto più alto e profondo. In politica ci si cerca e ci si trova. Travaglio è ormai un brand che tutto ricomprende, ma è anche un direttore, un uomo particolarmente solo, che porta la responsabilità di un giornale. Ad attitudini personali già spiccate, si uniscono dunque gli interessi editoriali. Quel che ne esce, è sotto gli occhi di tutti, consenzienti e no. Certo faceva impressione, l’altra sera da Formigli, la scarsa compostezza psicologica di Marco Lillo, un cronista di vaglia e di lungo corso oggi al Fatto Quotidiano, al quale doveva sembrare indecente anche sottostare alle minime regole di un confronto televisivo, persino quelle della buona educazione, riducendo se stesso a un modesto e ossessivo fustigatore che chiede conto al politico di turno d’ogni malefatta. Nel caso Emanuele Fiano, non esattamente un genio della comunicazione. È molto strano che non vi sia la percezione di un pericolo, comportandosi così come ha fatto Lillo con Fiano. E cioè che anche la migliore delle notizie, anche la più succulenta, abbia, nell’accoglienza dell’opinione pubblica, una percezione antipatizzante. Con il che rovinare soprattutto il proprio buon lavoro.
Tra i vezzosi garantisti di questa epoca, uno strapuntino se lo è conquistato il direttore del Foglio. Che proprio ieri ha lanciato la sua nuova iniziativa, rivolgendosi a tutti i colleghi direttori con un post-it social: «Contro la gogna la soluzione c’è: smettere di pubblicare intercettazioni. Noi lo faremo. Chi ci sta?» Tutto è nato per via della telefonata renziana papà-figlio pubblicata dal Fatto a stretto giro di posta. Insieme a Cerasa, anche la Stampa ha potuto esibire un Mattia Feltri che ormai ha barattato la leggerezza del vecchio «Buongiorno» gramelliano con l’idea che quell’avamposto sia di sua proprietà e dunque meritevole d’essere abusato politicamente. La fatina perfetta dei due è certa signorina Annalisa Chirico che organizza fighettume garantista in ville patrizie fiorentine. Lorsignori, “maschi, femmine e cantanti” (cit.), si rifanno invariabilmente a Marco Pannella, credendolo padre spirituale d’ogni loro simpatica inclinazione salottiera, e il povero Marco per ora è rimasto muto ma non si dispera in un prossimo celeste vaffanculo.
Ora, una modestissima malizia ci porterebbe a pensare che avendo scarsa dimestichezza con ogni genere di notizia, anche la più trascurabile, i ragazzi e le ragazze garantisti siano generalmente contrariati da qualunque pubblicazione venga identificata come tale, arrivando alla conclusione moralista, (eh sì giovanotti), che tocca alla sensibilità dei giornali scegliere cosa pubblicare e cosa no. La scarsa propensione al mestiere di strada li ha portati evidentemente a considerare i giornali luoghi del sentimento, quando invece sono, e da sempre, perfetti contenitori a-sentimentali dove si agisce e si sceglie per via di un Cencelli borghese e molto politicamente corretto a seconda delle inclinazioni politiche. Ma la pretesa che i giornali possano dire: questa sì, questa no, rispetto al germogliare delle intercettazione non è neanche un’ingenuità, è semplicemente una scemenza. Soprattutto perché ai veri sentimentali, dei reati interessa nulla. Non interessa, come a voi giustizialisti/garantisti, l’eventuale elemento penale valutato il quale vi dividerete, ai sentimentali interessa il profumo di un silenzio, l’accenno al dolore, la violenza di un aggettivo, il paradosso di una situazione. Interessa il laterale. Se togliete il laterale dalle pagine di un giornale, il resto dei brogliacci ve lo potete tenere. Fermo restando che la dignità delle persone, nel suo centro più profondo, va sempre preservata.
Ecco cosa manca in questo tempo: il livello culturale di uno scontro. Due categorie così importanti, come sono giustizialisti e garantisti, non hanno più rappresentazione acconcia. Mancano gli attori o forse, meglio, manca una vera condizione politica. Il maggioritario e l’ingresso di Berlusconi nel ’94 hanno smosso le fondamenta. E non ci siamo più riavuti.
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