Partiti e politici
Il vero «tesoretto» di Renzi è proprio la sua minoranza: perché liberarsene?
Pensate allo scenario di qualche giorno fa, poi buttate un occhio a come è finita alla Camera – 352 sì, 207 no, 38 deputati dem non hanno partecipato – e alla fine decidete chi ha vinto e chi ha perso. Qualche giorno fa la minoranza dem ha buttato lì un’ipotesi di trattativa: caro Renzi, se tu ci dai garanzie sul Senato elettivo, noi saremo più buoni sull’Italicum. Quel “saremo più buoni” era oltremodo fumoso e il toscano non ci è cascato, da buon giocatore di poker ha soffiato a Claudio Tito di Repubblica una vaga possibilità di cambiare al Senato per poi rimangiarsela dall’estero. Ed è andato allo scontro, protetto da fiducia blindatissima. Il risultato è che oggi il presidente del Consiglio incassa 352 voti, una montagna rispetto a tutte gli scatafasci annunciati, per di più con la faccia di quello che in un impeto di generosità, rivelato in una lettera alla Stampa, butterà un osso ai nemici sul Senato elettivo. Come dire ai suoi oppositori: volevate fare voi gli splendidi, invece lo splendido lo faccio io e voi, al solito, pippa.
La morale di tutta questa storia, di questo tira e molla, che ormai ha qualcosa di strutturalmente stucchevole, tra la minoranza Dem e il presidente del Consiglio, è che il vero «tesoretto» di Renzi, la sua vera assicurazione sulla vita, sono esattamente loro, questi signori che dall’inizio della sua avventura gli garantiscono una perfetta autonomia rispetto alle vere, drammatiche, questioni del Paese. Si direbbe proprio che sono agenti sotto copertura, i Cuperlo, i Fassina, i Civati, massì, alla fine anche il buon Bersani, e con loro tutti i comprimari, autentiche “barbe finte” al servizio di Matteo Renzi, il quale li utilizza nelle missioni più perigliose con ottime prospettive di riuscita. Non c’è stata una volta, una sola, in cui la minoranza abbia espresso il senso più alto del suo esistere proprio in quanto minoranza: e cioè perdere con onore, votando compatta e serena contro la molto presunta deriva autoritaria del premier, quella deriva che loro stessi si sono inventati per dare spessore politico a un’azione politica, che altrimenti, priva di questo elemento forte e suggestivo, si perderebbe nelle ultime pagine dei giornali.
Se le cose procedono così, spiegate voi quale interesse avrebbe Renzi a tornare al voto in tempi rapidi – l’Italicum sarà attivo dal 2016 – quando in casa ha un’arma così straordinaria di distrazione di massa che mediaticamente può rubare attenzione ai problemi dell’economia. Non solo. Quale interesse avrebbe Renzi a votare in tutta fretta, portandosi dentro al partito solo deputati fedeli – mettiamo l’80-90 per cento, rispetto alle percentuali molto più risicate di oggi. Nessun interesse. Il giorno che Matteo Renzi avrà nelle file del Partito Democratico solo deputati fedeli, riconducibili interamente alla sua linea, alle sue parole, ai suoi pensieri, allora cominceranno i guai. Saranno finite le coperture, gli alibi, le patetiche schermaglie in streaming, le finte contrapposizioni. La storia racconta che i primi a tradire sono proprio i fedeli, e i problemi, come opportunamente immagina Massimiliano Gallo, già vice direttore de Il Riformista, sorgeranno già nella spartizione dei posti, quando gli esclusi cominceranno a meditare inevitabili forme di rivalsa.
E anche la stampa probabilmente si sveglierà dal suo torpore in livrea, e non avendo più alla portata il racconto sempliciotto di finti oppositori, comincerà a occuparsi dei veri problemi a cui Renzi non riesce a dare risposte credibili. Insomma, all’ipotesi che Renzi abbia così tanta voglia di votare nel primo giorno disponibile del 2016, noi ci crediamo poco.
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