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Fascisti immaginari

12 Dicembre 2017

Nel 2003, Luciano Lanna e Filippo Rossi curarono un volume – Fascisti immaginari che ebbe il pregio di raccontare a un’Italia ignara un intero immaginario di destra che si era andato formando soprattutto dagli anni ’70 del secolo scorso in poi.

Oggi prendo in prestito quel titolo per sottolineare una tendenza recente nell’opinione pubblica italiana, quella dei fascisti immaginari, appunto.

È di qualche giorno fa un sondaggio Demos per Repubblica, dal quale emerge che il 46% degli italiani ritiene possibile un ritorno del fascismo. A fronte di quel 46%, i partiti che – più o meno esplicitamente – si richiamano all’ideologia fascista continuano a non esistere nei sondaggi sulle intenzioni di voto e regolarmente alle elezioni nazionali viaggiano intorno allo zero virgola qualcosa percento.

Com’è possibile che un italiano su due teme il ritorno del fascismo mentre i “partiti fascisti” praticamente non hanno un voto?

Ce lo spiega il nostro immaginario, per l’appunto. Da tempo è in crescita, in tutto l’Occidente, un mood populista (cit. Revelli) che si focalizza spesso su tematiche tradizionalmente “di destra”: nazionalismi, comunitarismi, chiusura verso lo straniero, antiparlamentarismo, atteggiamenti antiestablishment e così via. Per citare tre titoli di Bauman, c’è una “voglia di comunità” derivante dalla “solitudine del cittadino globale” e dalla “società individualizzata”, cui si aggiunge una domanda pubblica di “legge e ordine” per provare a sedare la sensazione di incertezza generalizzata che ci assale, quotidianamente, su tutti i fronti.

All’interno di questo scenario – globale – da mesi in Italia va in scena un costante sovradimensionamento mediatico del “pericolo fascista”: lo stabilimento di Chioggia, la discussione sulla “legge Fiano”, la vicenda CasaPound a Ostia (con tutti i suoi derivati: Ostia=mafia=CasaPound=destra), la bandiera di guerra del Secondo Reich intravista in una caserma dei Carabinieri, l’irruzione dei naziskin nella sede di “Como senza frontiere”, la marcia di Forza Nuova sotto la redazione di Repubblica. Tutte vicende reali, certo. Ma casi isolati che fanno sempre capo a partiti o movimenti pressoché pari a zero in termini di consenso sul territorio nazionale.

Tuttavia, come ci insegna il teorema di Thomas, “se gli uomini definiscono come reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze”. Chi studia i mass media sa bene che questo teorema si applica spesso ai loro effetti sull’opinione pubblica.

Pertanto, una volta che i nostri mezzi di informazione definiscono come reale il pericolo fascista, come conseguenza il 46% degli italiani lo ritiene reale. Perché, semplicemente, il nostro immaginario è saturo di informazioni che sovradimensionano il fenomeno. In pratica, ci sentiamo circondati dai fascisti, anche se non li incrociamo mai nel nostro vivere quotidiano. È la stessa ragione per cui, se si parla continuamente di immigrazione come invasione, sbarchi, emergenza, allarme, gli italiani pensano che il numero di stranieri presenti sul territorio nazionale sia 4 volte il dato reale. Per cui, in Islanda – sottolineo Islanda – alle elezioni vince il partito anti-immigrati e per cui UKIP nel referendum sulla Brexit e Trump in USA vincono grazie al messaggio anti-immigrati nelle zone in cui ci sono meno immigrati in assoluto. Ed è, infine, allargando lo spettro, la stessa motivazione per cui, se per anni i media si occupano dei politici di professione prevalentemente dipingendoli come “casta”, ladri o addirittura mafiosi, buona parte dei cittadini pensa di poter fare politica meglio di loro.

L’opinione pubblica – o come ormai la definisco da tempo, “emozione pubblica” – si forma sui mass media e si nutre delle informazioni che da essi ci arrivano. E i mass media hanno una loro logica di sopravvivenza, come tutte le aziende che si contendono un mercato: la media logic, altro non è che la strategia per catturare la nostra attenzione e venderci notizie e informazioni.

Ed ecco che il cerchio si chiude: il fascista, il terrorista, l’immigrato (inteso come “pericoloso invasore”), la politica (solo nelle sue negatività) fanno notizia e fanno audience. Catturano l’attenzione (cioè le emozioni) e “vendono”. Le buone politiche e i buoni politici, no. Non a caso in America c’è il detto “No news, good news”.

Per tale ragione, quei singoli casi citati prima hanno tutti ricevuto una visibilità mediatica assolutamente sproporzionata rispetto al loro peso reale. E, a causa di questa estrema visibilità, gli italiani si stanno convincendo di essere al cospetto di un ritorno del fascismo. Come quando un caso di ebola – uno solo – fece scattare il panico in tutto il paese. È il villaggio globale di McLuhan, nulla di nuovo per massmediologi e sociologi, ma mai così estremo come nella società della dis-informazione di oggi. Quelle dinamiche sono completamente esplose coi nuovi – e soprattutto social – media, al punto che ormai il nostro immaginario conta molto di più del nostro vissuto reale.

Noi siamo, oggi, prima che un popolo, un’ “emozione pubblica”. Un tempo si diceva che dai valori (stabili) discendessero gli atteggiamenti (meno stabili) e le opinioni (volatili). Oggi è vero il contrario (cit. Natale): dalle emozioni derivano le opinioni, da queste gli atteggiamenti e infine i valori (tutto molto più labile e mutevole di un tempo, orientato dai menù mediatici quotidiani).

Attenzione però, c’è anche un paradosso reale in tutto questo immaginario: il passaggio dal teorema di Thomas alla profezia che si autoadempie di Merton. Cioè, a furia di dare visibilità ai “fascisti” e a definirli come un pericolo reale e “di massa”, essi potrebbero diventarlo davvero. Perché fino a oggi molti italiani neanche sapevano cosa fossero CasaPound o Forza nuova, mentre oggi lo sanno. E perché quel mood globale, definito spesso “vento di destra”, indubbiamente c’è.

Se davvero li temete, ignorateli. Se invece vi servono per fare audience (mediatica) e propaganda (politica), sappiate che li state nutrendo molto bene.  

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