Partiti e politici

Fa figo occuparsi delle bufale in Rete ma sono figlie di giornali e tv

29 Novembre 2016

C’è un gran dibattito intorno alle bufale che girano in Rete al punto che il pensiero ormai pienamente dominante è crederle decisive in una doppia direzione: nella formazione del consenso e, soprattutto, nella creazione di una realtà parallela che possa introdurre surrettiziamente un nuovo ordinamento dell’informazione con buona pace della logica dei fatti e della loro (apparentemente incontrovertibile) incontestabilità. In realtà non è chiaro nemmeno agli studiosi del fenomeno se tutto ciò abbia una regia superiore a cui attribuire una sottile strategia di delegittimazione planetaria, ma certo è che d’improvviso il dibattito s’è alzato di tono al punto da risvegliare persino la convegnistica istituzionale. Montecitorio, con alla testa il suo presidente, ha infatti imbastito un dibattito dal titolo “Non è vero ma ci credo”, richiamando una memorabile commedia di Peppino, che noi si vide in età giovanile e che oggi sarebbe considerata altamente scorretta (e quindi visionaria), dovendo ridere a crepapelle di un difetto fisico (la gobba) che solo alla fine si rivelerà finzione strategica. Ma insomma, ciò che oggi si vorrebbe dimostrare è che la Rete è piena di gobbi (e ogni riferimento ad Andreotti è straordinariamente casuale) che raccontano ciò che non è, ciò che neppure apparirebbe, ma che con un colpo di maestria prestidigitatoria si riesce a spacciare per vero. Almeno sino a quando il lavoro di un benemerito della società non rimetterà le cose al suo posto, disvelando…….

Si nota una certa fascinazione per la teoria secondo la quale le bufale in Rete starebbero modificando la nostra organizzazione sociale, che come sappiamo è composta dall’informazione più paludata e organica, in grado – solo lei – di stabilire il livello della nostra tranquillità o della nostra inquietudine. Ed è davvero molto “cool” oggi occuparsi della Rete, non avendo – la Rete – neppure un modesto avvocato d’ufficio disposto a sollevarne i destini, capace di raccontarla per quello che davvero è, uno straordinario e indisciplinato contenitore di sentimenti (che vanno dai gattini al rancore senza soluzione di continuità). Nessuno difende la rete perchè la rete è ovviamente indifendibile, essendo un luogo che non ha regole e dove – soprattutto – non c’è il denaro a regolare il rapporto tra cliente e operatore dell’informazione.

Questo grande movimento che attribuisce alla Rete ogni male, ogni distorsione del tessuto sociale, vive uno strano paradosso: è la stesso che si considera “estraneo” all’informazione più paludata, quella dei giornali o dei telegiornali, che per figaggine ha già bypassato i concetti del buon, vecchio, giornalismo, che ne ha le palle piene dei raccontatori cartacei che magari non scarpinano più, è proprio quello che del giornalismo sa quasi nulla (vedere i partecipanti al convegno di Montecitorio per farsene un’idea), che probabilmente il giornalismo non lo ha neppure praticato e che con il potere ha sempre avuto una certa, qual, vicinanza. Non si spiegherebbe altrimenti come mai oggi questo popolo intero si scaglia con veemenza contro la Rete, senza essersi scagliato in precedenza, in tutti questi anni, contro il giornalismo paludato, ingessato, piegato, alle volte anche corrotto, che ha infestato i nostri giornali e la nostra televisione. Una recentissima ricerca della Columbia University ha stabilito in un 40% la percentuale di bufale che girano su Facebook, come a determinare un nuovo ordine mondiale del consenso. È appena il caso di ricordare a quei professori che in Italia, per esempio, la stessa percentuale si può serenamente applicare e da molto tempo ai giornali e alle televisioni. Per cui la rete è una figlia molto legittima della nostra (dis)informazione più paludata, e il risultato di oggi è solo il frutto malato di molti e molti anni indietro.

E poi, cari signori convegnisti, c’è un punto chiave del rapporto Rete-bufala che fingete di ignorare: nessuno online stringe un contratto, nessuno paga una quota X per avere un prodotto informativo Y, infatti tutti coloro che del giornalismo hanno un’idea poco lusinghiera credono di poter acchiappare la Verità a costo zero proprio in Rete. E senza rete. Senza protezione, senza filtri, senza qualcuno che selezioni per te, con grande serietà e grande professionalità, una informazione di qualità. Quella che sarebbe la mediazione giornalistica (quella migliore). Se tutto è gratis, anche le bufale lo saranno e non ci può indignare nè preoccupare se qualcuno in quella gratuità ci sguazza, come in uno stagno malato all’origine. Il crimine vero, cari convegnisti, è quando si stringe un contratto: io ti do un euro e cinquanta, tu mi dai una buona informazione. Qui, esattamente qui, ci sarebbero gli obblighi di legge. Qui passa il nostro ordine mondiale dell’informazione. Qui dove si paga. Ma oggi si paga per avere un’informazione malata, piegata sul potere. Di questo vedo che la convegnistica non parla. Ci sarà un motivo.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.