Partiti e politici
Europee senza Europa
C’è stato un momento in cui le elezioni europee del 2019 venivano viste in Italia come uno spartiacque, un evento epocale che, in un modo o nell’altro, sarebbe finito nei libri di storia; poi però la tensione è calata e oggi, a pochi mesi dal voto, l’Europa sembra scomparsa dalla nostra agenda politica.
I partiti di maggioranza sono in imbarazzo: hanno appena finito di spiegarci che gli euroscetticismi della campagna elettorale di un anno fa e i proclami stentorei del tardo autunno (sul 2,4% non arretreremo di un millimetro) erano solo strategie negoziali per strappare alla Commissione un margine più ampio di flessibilità sui nostri conti pubblici, per cui di uscita dall’euro e di riforma dei trattati non si parla più; così, nell’ineludibile necessità di avviare la campagna per le Europee, ciascuno si rifugia nei suoi oldies but goldies. Il M5S mobilita il suo leader di Maio e il gemello diverso di Battista in una scampagnata a Strasburgo in diretta facebook che lancia, come madre di tutte le battaglie, l’abolizione degli sprechi, cioè la sede unica per il Parlamento Europeo: un po’ pochino come programma di legislatura – e infatti il Movimento fatica a trovare non diciamo alleati, ma persino coinquilini coi quali condividere il gruppo all’Europarlamento. Da parte sua, Salvini ripiega sulla consueta retorica contro l’invasione dei migranti, ma la sua polemica ha le ali spuntate: in effetti, è difficile rimproverare all’Europa di non farsi carico dell’accoglienza dei richiedenti asilo mentre si osteggia la riforma del Regolamento di Dublino e si cerca l’alleanza con i nazionalisti xenofobi di tutto il Continente, cioè con i più decisi a non far entrare dai propri confini neppure un immigrato. Anche qui, le convergenze programmatiche con i potenziali alleati sono piuttosto risicate: l’accolita dei sovranisti dediti all’ognun per sé non può infatti convergere che sulla blindatura delle frontiere esterne dell’Europa, mentre l’uscita dell’euro e/o dall’Unione ha perso consenso dopo la vicenda di Brexit e non viene più evocata neppure dalla Le Pen.
Se Atene piange, Sparta non ride: le forze di opposizione sono infatti altrettanto confuse e infelici. Il Pd, che era partito lancia in resta con il progetto di un’alleanza transnazionale, europeista senza-se-e-senza-ma, è rimasto spiazzato dal crollo di popolarità del suo campione in pectore, l’imbolsito Macron, e si rifugia perciò in una lista unitaria nazionale che sembra soprattutto una scialuppa di salvataggio; quanto a Forza Italia, condannata a oscillare in eterno tra una posizione moderata merkeliana e la tentazione dell’alleanza con i sovranisti per riagganciare la Lega, si vede costretta a rispolverare l’immarcescibile Cavaliere e a sperare nel miracolo. Non va meglio alla sinistra radicale, a sua volta indecisa fra il suo tradizionale internazionalismo e un sovranismo di facciata che dovrebbe servire a recuperare un po’ di credito presso le classi popolari.
In tanta confusione, il rischio è che le elezioni Europee si trasformino – come di consueto – in una specie di sondaggio sul gradimento del governo: il reddito di cittadinanza e la quota 100 arriveranno infatti a fagiolo per raggranellare il massimo del consenso, proprio come accadde con i famosi 80 euro di Renzi; così, la campagna elettorale finirà fatalmente per essere centrata su tematiche nazionali. Eppure, mai come oggi l’Unione Europea avrebbe bisogno di una seria riflessione, per salvarsi dalla disgregazione alla quale possono condannarla proprio la noncuranza e la superficialità delle principali forze politiche europee, che sembrano tutte convinte della necessità di cambiare l’Europa, ma non riescono a chiarire neppure a sé stesse in quale direzione farlo.
L’unica voce che propone una visione più elaborata e coerente del futuro del’Ue è quella di Diem25, la piccola formazione transnazionale di sinistra fondata da Yanis Varoufakis: il suo obiettivo principale è democratizzare l’Europa, innanzitutto rendendo più trasparenti le sue istituzioni e poi riformandole, allo scopo di aumentare il potere di controllo dei cittadini europei e di metterle al servizio del benessere comune – anziché, come è accaduto fino ad oggi, degli interessi dei vari oligopoli economici del Continente. Si tratta quindi di una visione solidamente europeista, ma alternativa a quella di chi intende portare avanti il funzionamento attuale delle istituzioni europee o, addirittura, rafforzarne i poteri senza sottoporle a un maggiore controllo popolare.
Riuscirà il giovane movimento, insieme ai suoi alleati italiani, a far emergere la sua proposta nel nostro dibattito pubblico o dovremo rassegnarci a mesi di sterili polemiche sul caso di cronaca del giorno, di slogan e di comizi riciclati, di battibecchi e di vuote promesse? Purtroppo c’è poco da essere ottimisti, anche a causa di un sistema dell’informazione spesso pigro e attento solo all’audience immediata; allora, le elezioni di maggio saranno state l’ennesima occasione persa, forse l’ultima possibile.
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