Partiti e politici
Europa, la grande assente
Per tutta la legislatura che si sta concludendo, l’Unione Europea è stata al centro del discorso politico: quasi sempre per attribuirle la colpa delle fatiche e delle disgrazie nazionali. Diversi partiti hanno scelto il sovranismo come propria parola d’ordine e hanno ventilato la possibilità dell’uscita dall’euro o addirittura dall’Unione; altri, al contrario, hanno rivendicato il proprio spirito europeista – chi con qualche contraddizione, chi con l’orgoglio di mostrarlo nel simbolo della propria lista.
Sorprendentemente, però, nella campagna elettorale l’Europa è stata la grande assente: l’attenzione si è centrata tutta sui due “grandi classici” capaci di smuovere la “pancia” degli italiani, l’immigrazione e le tasse; ma i leader politici non hanno sentito il bisogno di fare riferimento alla cornice europea, che pure “contiene” tutte le politiche nazionali. Lo scontro, che pochi mesi fa sembrava campale e inevitabile, tra nazionalisti e europeisti è evaporato e ha lasciato spazio alle consuete scaramucce, che ispirano la diserzione delle urne anche all’elettore più stoico e motivato (tanto per cambiare, il dato dell’astensionismo sarà il più clamoroso e il più ignorato del 4 marzo).
Hanno dunque fatto molto bene gli intellettuali che, con una lettera aperta, hanno sollecitato una delle liste che si presentano al voto a prendere posizione sul tema dei nostri rapporti con l’Europa: in verità sarebbe stato giusto rivolgere lo stesso invito a tutte le forze politiche perché, Emma Bonino a parte, nessuno ha una posizione davvero chiara sul merito.
La lettera-appello identifica l’ormai innegabile fenomeno della concentrazione della ricchezza e del potere nelle mani di una élite ristrettissima come frutto di una precisa ideologia economico-politica, il neoliberismo, e dell’egemonia della Germania, insieme ai suoi alleati e alla Francia, nella guida dell’Unione. Le prospettive future sono tratteggiate a tinte fosche: è impensabile che i Trattati europei vengano modificati a sfavore di questo “nucleo forte” di Paesi; anzi, la situazione peggiorerà drasticamente se verrà approvata la riforma della governance europea proposta da Macron e Merkel, pensata ovviamente a proprio favore.
Della grave situazione gli estensori della lettera incolpano tutti i partiti italiani, ma in particolare quelli della sinistra storica, rei di una “adesione incondizionata al neoliberismo” e per questo abbandonati dai loro elettori (un destino in realtà comune a larga parte della sinistra continentale). Alla lista che si propone di dare una nuova rappresentanza all’elettorato di sinistra si chiede quindi di “riconoscere i propri errori” e di dare “precisi segnali di discontinuità“: “non ha senso vagheggiare una ipotetica Europa più giusta (…), occorre invece porsi il problema di cosa fare per non farsi schiacciare dall’Europa che c’è“. Il segnale preciso richiesto è il seguente: “proporre che sia possibile sottoporre preventivamente al giudizio della Corte Costituzionale, anche su iniziativa dei cittadini, le norme e gli accordi che hanno origine dall’Unione Europea. Come del resto avviene in Germania“.
Posso dire di condividere la critica all’impostazione ideologica dei Trattati europei; da profana di economia, ciò che trovo particolarmente grave è la prevista e voluta mancanza di solidarietà, o anche solo di coordinamento, tra i Paesi membri. Da Maastricht in poi, i Trattati fissano infatti degli obiettivi di bilancio che ciascuno Stato è chiamato a perseguire in perfetta solitudine: il mantenimento del limite del 3% nel rapporto deficit/Pil (anzi la sua progressiva riduzione in vista del pareggio di bilancio, previsto dal Fiscal Compact) e l’abbattimento dello stock del debito pubblico sono la strada obbligata e solitaria per realizzare l’auspicata convergenza delle economie dei Paesi europei (che, immagino, avrebbe dovuto essere una pre-condizione per la condivisione della moneta… ma qui il discorso si amplia ancor più al di fuori delle mia capacità di argomentazione). Dall’Europa arrivano i Fondi di Coesione per dare una mano ai Paesi in difficoltà, ma anche sanzioni per quelli che si scostano dagli obiettivi di medio termine prefissati: questa pretesa che “ognuno si salvi da sé”, senza una vera collaborazione, mi sembra il vero vulnus e la vera essenza della visione neoliberista, ben più della severità dei parametri di bilancio adottati o del merito delle strategie suggerite ai Paesi inadempienti (come quelle della famosa lettera di Draghi e Trichet al governo italiano).
Proprio per questo, la richiesta degli intellettuali firmatari dell’appello mi sembra sbagliata. Al di là degli aspetti giuridici (le norme di derivazione europea vengono approvate dal Parlamento, dunque non si capisce perché si dovrebbe coinvolgere la Corte Costituzionale; la quale peraltro, essendo il principio di pareggio di bilancio scritto nella nostra Carta, potrebbe obiettare ben poco alle richieste di rigore provenienti dalle istituzioni europee…), l’idea che il nostro Paese metta unilateralmente in discussione gli obblighi che ha (liberamente) sottoscritto con la firma dei Trattati mi pare rientrare nella stessa logica individualista, che non va alla radice del problema – cioè il fatto che quegli obblighi sono sbagliati e inefficaci perché derivano da una costruzione difettosa, che necessita di un cambiamento radicale.
Sarà forse utopistico pensare, come propone il programma di Liberi e Uguali, a “un’Europa più giusta, più democratica e solidale“, a “superare la dimensione intergovernativa che detta i doveri e non garantisce i diritti con politiche di dura austerità” e a “dare maggiore ruolo al Parlamento europeo che elegga un vero governo delle cittadine e dei cittadini europei“; ma ai miei occhi questa appare l’unica strada praticabile per rendere l’Unione Europea una realtà davvero unitaria, con una comunità di destini che superi finalmente gli egoismi nazionali e dia nuovo senso al nostro stare insieme. E’ una strada lunga e difficile, per la quale non basta la “federazione leggera” proposta dalla Bonino: è necessaria la creazione di partiti transnazionali, che aiutino i cittadini europei ad ampliare la loro visione oltre i propri confini ed è necessario un vero processo costituente, che costruisca democraticamente nuove istituzioni capaci di integrare le funzioni dei vari Paesi e individui una base comune di valori e di obiettivi condivisi.
E’ questa la via giusta e come è possibile percorrerla? Sono gli interrogativi che, dal 5 marzo, dovrebbero essere posti al centro del dibattito non solo nelle forze politiche di sinistra, ma in tutto il Paese, affinché le elezioni europee del 2019 siano l’occasione per cambiare davvero le cose e non l’ennesima opportunità sprecata.
(immagine: by MPD01605 [CC BY-SA 2.0], via Wikimedia Commons)
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