Partiti e politici
Europa che vieni, Europa che vai
Le elezioni parlamentari nel Regno Unito e in Francia ci consegnano scenari politici inediti e diametralmente opposti. Da una parte la rinascita di un bipolarismo quasi perfetto oltremanica, all’insegna di posizioni piuttosto estreme sia a destra che a sinistra e di poco entusiasmo verso l’Unione Europea, e dall’altra l’annichilimento del bipolarismo e l’ascensione di un partito dichiaratamente centrista e appassionatamente europeista.
La scommessa persa della May
Avevamo scritto, al momento dell’annuncio delle elezioni anticipate, che Theresa May aveva tutti i motivi per provare a rafforzare la maggioranza in vista dei negoziati per la Brexit. Erano dalla sua parte sia i sondaggi che i precedenti storici. Questa era però un’elezione particolare: non si sceglieva solamente chi dovesse guidare il paese, ma anche chi dovesse condurre le negoziazioni con l’UE. L’imprevedibilità risiedeva quindi in quella parte, apparentemente consistente, di cittadini britannici contrari all’uscita dall’Unione, che avevano nelle elezioni dell’8 giugno un’occasione di rivincita.
Il risultato finale ci consegna però un dato diverso da entrambi gli scenari che potevamo prefigurarci: Theresa May indebolisce la maggioranza, il partito più dichiaratamente europeista, i Lib-Dem di Tim Farron, perde leggermente consenso e Jeremy Corbyn, il candidato più volte dichiarato dai suoi stessi compagni di partito ineleggibile nonché famoso per la sua mancanza di entusiasmo nel progetto europeo, registra un drastico aumento di voti per i Laburisti.
Fonte: UK election full results, The Guardian. Nota: il sistema di collegi uninominali fa sì che sia possibile un aumento di consensi ma una diminuzione di seggi, come è avvenuto per i conservatori.
Nel 2015 Laburisti e Conservatori erano i primi due partiti, ma entrambi con percentuali minori rispetto a quelle raggiunte nel 2017, anno record per ambedue. Per risultati percentuali migliori, dobbiamo tornare indietro alla prima Thatcher per i Conservatori (1979) ed al secondo Blair per i Laburisti (2001, che aveva comunque ottenuto due milioni di voti in meno, in termini assoluti). Da dove vengono questi voti? Parrebbe principalmente dallo UKIP, che è praticamente scomparso da un’elezione all’altra, passando dal 12,6% al 1,8%, in aggiunta ai circa due milioni di votanti in più rispetto al 2015 (affluenza dal 66,1% al 68,7%).
Ai tempi della Brexit, il Regno Unito vede quindi una polarizzazione del suo elettorato verso i due partiti maggiori, che in questo frangente storico sono dominati da fazioni abbastanza estreme, e non particolarmente europeiste, all’interno dei rispettivi schieramenti.
L’exploit di Macron
Nel mentre, dall’altra parte della Manica, un ex ministro dell’economia forma un movimento slegato dai principali partiti riuscendo prima a conquistare la presidenza della repubblica e poi, proprio domenica scorsa, anche la maggioranza parlamentare. Un’impresa considerata solo pochi mesi fa impossibile, ma coadiuvata da contingenze molto particolari.
A sinistra un presidente uscente, e di conseguenza un partito socialista, dal consenso infinitesimale. A destra un candidato repubblicano travolto dagli scandali e un partito, il Front National, che sebbene abbia aumentato i consensi negli ultimi anni, difficilmente poteva aspirare a vincere il ballottaggio. In ogni caso, Emmanuel Macron è riuscito, questo lo riconoscono tutti, a far tornare l’Europa pop, a un anno di distanza da quella Brexit che poteva rappresentarne la fine, e contro la moda imperante, anche a casa nostra, di usarla come capro espiatorio.
Fonte: Résultats du second tour des Législatives, Le Monde. Nota: Les Républicains erano UMP alle elezioni 2012, e La France insoumise è confrontata al Front de Gauche nel 2012 essendo Mélenchon il candidato di allora.
La République en marche non esisteva nel 2012 e infatti è passata da 0 a 308 deputati. Anche La France insoumise e il Front national hanno aumentato i seggi, ma in maniera trascurabile. Sia i repubblicani che i socialisti ne hanno persi, i primi un bel po’ e i secondi quasi tutti. Al tempo dei venti populisti che sferzano in tutto il continente, un trentanovenne conquista la Francia sulle note dell’Inno alla gioia. O meglio ne conquista meno della metà, visto che il tasso di astensione ha raggiunto il 57,4%, il più alto nella storia della Quinta Repubblica.
Il quadro finale è eterogeneo, inedito e di difficile interpretazione complessiva. Le popolazioni di due paesi (ancora) europei molto importanti scelgono strade e metodi completamente opposti. Da una parte l’affidamento ai vecchi partiti, dall’altra la loro sconfitta. Da una parte un’affluenza record, dall’altra un’astensione senza precedenti. Da una parte l’euroscetticismo (con l’eccezione di una buona fetta dell’elettorato Labour), dall’altra l’europeismo. Sarà interessante vedere, quando riusciremo ad avere una legge elettorale, quale combinazione sceglierà l’Italia, o se ne inventeremo di nuove.
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