Partiti e politici

Elly, lei è maramalda con un partito di deboli

31 Gennaio 2020

Se nella storia americana, nessuno ha mai pensato di fondare l’Udeur o liste tipo “La Fulgida”, “La Rapida” o “La Coraggiosa” un motivo ci deve pur essere. E il motivo è semplice, cristallino. Perché i padri fondatori temevano i partiti, ne temevano la forza distruttiva, l’idea che molti, troppi, partiti, liste, listarelle, avrebbero potuto mandare a ramengo la tranquillità e la stabilità di una nazione. E se da circa un secolo e mezzo esistono solo Democratici e Repubblicani, questo ne è il segno migliore, la traduzione più felice. Ogni tanto qualcuno ci prova a diventare il “Terzo”, ma davvero con scarsi risultati, oltretutto il sistema è congegnato in maniera tale che far emergere un qualcosa di partitico oltre i due colossi è impresa assolutamente titanica. In più, all’interno di questo bipolarismo, ogni Stato americano tende a far valere le sue sensibilità, per cui c’è chi sostiene che in realtà l’America ha cento partiti racchiusi in due. Dentro i due grandi contenitori, sono le persone a giocare una partita fondamentale. Si battono, mettono sulle bancarelle la mercanzia di cui dispongono e poi, all’interno del loro polo di “appartenenza”, vanno disperatamente in cerca del consenso su idee molto spesso divergenti. È la democrazia, bellezza, che fa sì che nessuno dei candidati possa ricattare il partito: o fate così o me ne vado, perché in realtà la struttura partito non esiste. Ci si rivolge direttamente agli elettori, i quali, se per caso si sentono ricattati, ti accompagnano alla porta in un nanosecondo. Tutto è fallibile, tutto è imperfetto, certo, ma il sistema americano regge e regge ancora piuttosto bene. Con un solo, grande, obiettivo di fondo: mettere in sicurezza gli elettori.

Sul tema: mettere in sicurezza gli elettori, veniamo all’Italia. Come si fa a mettere in sicurezza un elettore al tempo della disperazione? Passo indietro: cos’è la disperazione di un elettore italiano, soprattutto. La disperazione di un elettore è, generalmente, il suo disamore per i partiti, unito alla convinzione ormai granitica ch’essi sono irriformabili, svuotati di ogni decenza e di ogni dignità, pronti ad accordi di potere un tempo – ed era pur il tempo di compromessi – inimmaginabili. Vero che in politica nulla è mai inimmaginabile, ma qui siamo onestamente alla pura patologia. A questo giro, poi, si è superata ampiamente la barriera del suono, (ri)costruendo un governo sull’onda parafascista del precendente. Levatrice malvagia del (ri)venuto al mondo, il giovanotto Renzi che abbisognava di tempo per la sua semina di Italia Viva (poi si sorprendono se non schioda dal 4%). Zingaretti ha subìto. Insomma, un’oscenità in purezza. Pretendere che gli elettori apprezzassero era forse un filino azzardato.
E qui veniamo ai giorni nostri. Come nel più prevedibile helzapoppin, dal minuto successivo al successo di Bonaccini in Emilia, il Partito Democratico ha iniziato la sua classica tarantella. “Dobbiamo guardare fuori dal nostro recinto, allargare i confini”, ha subito illustrato il segretario, stessa cosa che disse Renzi nelle sue prime parole appena eletto al Nazareno, quando, con un minimo di sano realismo, invitò a riflettere che se i voti del Pd non bastavano a vincere si doveva far razzia nel campo della destra. Da lì, iniziarono i suoi guai. Ora, invece, si pensa di riguadagnare voti a sinistra. Già, ma quale sinistra? Quella delle Sardine, ovviamente, e quella volitiva ed efficace di Elly Schlein, la quale con la sua lista ha conquistato la bellezza di 22mila preferenze, grazie alle quali si permette di dettare l’agenda al Pd: «Basta guardare al centro» è il primo concetto (nelle stesse ore, invece, Gualtieri tranquillizzava i moderati), «Dovete scegliere tra Bartolo e Minniti», il secondo. Praticamente, un programma di legislatura. Una sottile arma di ricatto, un atteggiamento discretamente maramaldo a essere gentili. Quando al Partito Democratico arriva il vento di una performance degna di nota, e quella di Elly lo è stata, il primo riflesso è: chiamiamola, parliamoci, diamole le chiavi di casa. Riassunto nell’idea di Marianna Madia, è stato: “Facciamola presidente del partito” (bum!). Negli stessi minuti, un altro buontempone, però rimasto nell’ombra, offriva la medesima posizione a Chiara Gamberale, la quale si dichiarava addirittura disponibile. Dire che la situazione del Partito Democratico è confusa è rappresentarne molto per difetto la condizione psichica.

Gli elettori una roba così ovvio che non la votano. O meglio: la votano i soliti noti, ma il recinto non si allarga. Ma cosa succederebbe in America? Che la signora Elly, forte del consenso elettorale appena guadagnato, invece che fare la voce grossa con “I forti di forte coraggio”, avrebbe l’obbligo di portare le sue buone cose di fronte ai cittadini-elettori. Chiedendone il consenso in vista dell’impresa più ardua di conquistare il Paese.

Passerebbe di piazza in piazza, forte e brava com’è, battendosi per allargare a sinistra, quella sinistra inclusiva del dottor Bartolo, non quella “criminogena” del ministro Minniti e i suoi famigerati accordi con la Libia. In America non potrebbe rivolgersi alle cariatidi del partito, perché la struttura partito non esiste, non esisterebbe il pascolo comodo del Nazareno, dovrebbe dire a Gualtieri: hey ministro, ti aspetto fuori, duellando con lui sull’idea di mercato&solidarietà, insomma scazzerebbe con tutti per convincere gli elettori che le sue idee sono le migliori. Poi alla fine tirerebbe le reti in secco per vedere quanto pesce c’è rimasto. Se poi alla fine della sua battaglia perde, e ci può stare, certo è un dolore, ma pazienza. Dentro il parlamento americano, potrà battersi ancora come un leone e, con la massima serenità e consapevolezza, negare il voto al suo partito se ritiene che la dignità di un’idea non è stata rappresentata sufficientemente.

Qui da noi vincono i braccini corti. Invece che sfidarla sul terreno delle riforme, le cariatidi vogliono già Elly presidente, ma per depotenziarla! È chiaro che se mette piede al Nazareno, inizia la fine della sua ottima carriera. E qui si apre una questione seria nel Partito democratico: ma che immagine restituisce, se non è neppure in grado di “pescare” all’interno delle personalità di riferimento un uomo, una donna, in grado di essere un significativo presidente del partito e invece si costringe a inseguire la stella del momento, in un gioco di sudditanza politica di rara malinconia? Aprire all’esterno, allargare i confini, espressioni ormai vuote, senza una vera profondità.

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