Partiti e politici
Elite senza ghigliottina
Guardare le élite, anche da vicino magari intravvedendole in mezzo all’asociale fumo di un toscano appena tagliato dalla ghigliottina, è stato il mio sport preferito da quando smisi col rugby perché era un giuoco di bestie giocato da gentiluomini e anche stare tra i gentiluomini mi imbarazzava. Le ho guardate con intrigato interesse, quasi voyeuristico, lungo i miei cinquantanni di vita e accarezzandone la storia in quattro passaggi fenomenali: la spinta straordinaria del Popularis Gaio Giulio Cesare che culminò con il colpo di stato di Cesare Ottaviano contro la élite degli Optimates; la Rivoluzione Americana quando un gruppo di possidenti terrieri reietti dalla patria e cantati da Tocqueville distillarono dal loro animo The Pursuit of Happiness contro una Monarchia che pur fu madre di tutte le Democrazie; la Rivoluzione dei Girondini letta da Furet contro il materialismo storico giacobino di Jaures, Michelet e Lefebvre. E, infine italianissimo, l’avvento del fascismo come autobiografia di una nazione, sue élite comprese.
Cedendo ad un briciolo di lirismo populares Jacopo Tondelli e, più silenziosamente, Lorenzo Dilena che guardano l’Italia con milanesità naturale o bene acquisita hanno spiegato su Gli Stati Generali che le “élite carine” sono tutte schierate col Sì, con il No solo Sanculotti e nessun Montagnardo e che il redde rationem della qualità “carine” e la loro legittimità ad essere tali si avvicina come se il 4 dicembre romano fosse il 10 Agosto del 1792 a Parigi.
Ecco, non è vero. A voler leggere con gli occhiali della rivoluzione francese ma dimenticando la ghigliottina (speriamo ma non si sa mai, come insegna il fascismo) il No è strapieno di Montagnardi consapevolissimi di esserlo e orripilati dalla idea di finire ai giardinetti, Giacobini che non sanno di esserlo perché non hanno mai aperto un libro in vita loro e infine, sì, Sanculotti di estrazione varia che condividono cose con un Sì certamente Fogliante e senza la statura di Girondino: l’essere tutti, ma proprio tutti, “Carini”. Forse un po’ meno politically correct ma mica tanto: Zagrebelsky, Onida, Rodotà, Travaglio sono un organico pezzo dei “Carini” quanto Maroni e Dibattista se è vero che difendono esattamente quei valori e quei metodi che selezionarono l’universo “carino”.
La questione è dunque un’altra e ha a che fare con la lotta per il potere che una élite fallimentare sta conducendo per sopravvivere almeno in parte a se stessa nel disastro immane nel quale ha gettato le nostre esistenze: quella èlite che ha portato il nostro paese alla pur difficile impresa di avere il Debito pubblico più alto del mondo, il sistema fiscale più inutile e iniquo dai tempi dei balzelli sul ponte del manutengolo comitale, una crisi economica senza via di uscita più lunga di un conflitto mondiale, la fine del sogno post bellico del domani migliore dell’oggi.
Gli uni si attaccano alla figura del Primo Console, l’unico in grado di traghettarne popolarità, legittimità e potere nel nuovo corso. Gli altri si vogliono legati intimamente al giacobinismo popolare che vive di una tregua tra opposti pronta inevitabilmente a deflagrare il giorno dopo la vittoria.
Per un girondino, disposto obtorto collo a essere popularis con Gaio Giulio ma convinto Hamiltoniano, questa pappa è indigeribile, ricattatoria, insopportabile nella intrinseca e reciproca incoerenza dei due schieramenti. E se alla fine la riverenza alla democrazia costringerà alla scheda rimmarrà nello stomaco il disprezzo per i “carini” tutti, ma tutti, che hanno fottuto la vita altrui e pure tolto la possibilità elettorale di giudicarli.
Si guardi dentro questa élite di Carini Universali e guardi come ha conciato il paese: non chieda una verifica di se stessa, non ci presenti dei sopraffini Talleyrand; la legittimazione deriva solo dalla responsabilità di sentirsi élite e comportarsi come tale nel guardare alla società che si vuole guidare e non dalla tensione alla eterna riproducibilità. Siate élite meritevoli del termine, tirateci fuori dal pozzo e avrete un busto a fianco di Garibaldi. Continuate così e il cippo lo avrete al cimitero. Per intanto la ghigliottina la uso ancora per il mio sigaro sbuffando amaramente e con, questo sì, elitario distacco.
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