Partiti e politici
Elezioni UK, la rimonta del Labour e la credibilità di un leader
Giovedì 8 si vota nel Regno Unito, e quella che sembrava una partita chiusa per i conservatori si è progressivamente (pun intended) aperta durante la campagna elettorale.
Gli ultimi sondaggi ci dicono che i laburisti hanno ridotto lo svantaggio e c’è chi arriva a sperare l’inimmaginabile. Una sconfitta per Teresa May, che ha indetto le elezioni anticipate per cercare di rafforzare la maggioranza in parlamento potrebbe aver sbagliato completamente i calcoli. Di sicuro c’è che se una vittoria labour è ancora una flebile speranza, forse una non vittoria tory però è all’orizzonte.
Il risultato delle elezioni inglesi credo ci debba interessare per due ragioni, oltre che per i mille legami sentimentali di ciascuno.
Innanzitutto il primo ministro che emergerà dalle elezioni di domani dovrà gestire Brexit e May sembra considerare anche l’ ipotesi di arrivare a marzo del 2019 senza un accordo (no deal ) piuttosto che siglare un accordo svantaggioso con l’EU. Corbyn, soft remainer durante la campagna referendaria, ambisce invece ad un accordo che minimizzi gli sconquassi per il paese, e sa bene che libertà di movimento delle merci implicherà un libero movimento delle persone. Non è nemmeno da escludere che con un governo labour possa essere indetto un nuovo referendum o che in qualche modo si trovi come invertire la rotta.
Secondariamente il risultato è interessante per tutti quelli (me inclusa) che si stanno interrogando su quale sia la strada che la sinistra debba prendere per riuscire a farsi a votare da coloro che tradizionalmente dovrebbe rappresentare. Il Labour Party ha prodotto un documento programmatico, il “manifesto”, che è, a detta di molti, la cosa più stimolante ed evocativa che sia uscita dalle stampanti del partito da trent’anni a questa parte. È un programma decisamente di sinistra, che non si vergogna di rivendicare un ruolo dello stato in economia, che parla chiaramente di aumentare le tasse ai redditi elevati e alle società e di redistribuzione verso i servizi forniti dallo stato che sono stati così maltrattati da anni di conservatorismi e terze vie. Si parla di rinazionalizzare le ferrovie, di investire nel servizio sanitario, nella scuola, di abolire le tasse universitarie, di fermare la privatizzazione delle poste, di creare una banca d’investimento pubblica per finanziare infrastrutture, di costruzione di case popolari. Sono tutte scelte di campo nette, di chi non teme di spaventare l’elettore moderato, con buona pace di Downs . E sembra che stia funzionando, che il Labour party abbia penetrato le fasce del non voto (del Can’t Be Arsed Party) in particolare tra i giovani e sia riuscito a mobilitare l’elettorato che sta facendo campagna “pancia a terra” nei collegi in bilico.
Il Labour quindi ha recuperato la sua vecchia constituency, esprimendo forte e chiaro il desiderio di rappresentarla e sembrerebbe che l’elettorato d’opinione, che era stato sedotto dalla cool britannia, lo voterà lo stesso magari anche solo per provare a disfarsi dei tories più che per amore di un partito decisamente ancorato a sinistra.
Credo però che sia indubbio che questa operazione stia avendo successo perché il partito ha un leader credibile in questo ruolo di paladino dei ceti medio-bassi e di nemico dell’establishment. Jeremy Corbyn è il parlamentare di Islington North dal 1983 ed è sempre stato un backbencher, uno della minoranza. Non solo non ha mai fatto parte dei governi “new” labour ma ha anche spesso votato contro il suo partito durante i governi Blair e Brown. Non è mai stato sedotto dal glamour che circonda Westminster, continua a vivere in una casa normale e addirittura coltiva un orto urbano nel suo tempo libero, non un hobby da jet-set diciamo.
Jez, dopo un’opposizione giudicata flebile, è sbocciato in campagna elettorale, dimostrando anche che quello che gli riesce meglio è parlare di quello che vuole fare per la gente e offrire una visione. Insomma, il Labour in tre mesi non poteva fare di più, ora stiamo a vedere.
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